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Israele verso la guerra totale?
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E’ cominciata, e durerà cinque giorni, la più grande esercitazione della storia dello Stato d’Israele. Oltre alle forze armate, di polizia e sanitarie, oltre ai vigili del fuoco, vi è coinvolta l’intera popolazione civile. Suonano le sirene dell’allarme aereo, e la gente deve correre ai rifugi, in alcune zone in tre minuti, in altre addirittura entro pochi secondi. I ministri terranno riunioni d’emergenza; tutto avverrà con estremo realismo.

Significativo il nome dell’esercitazione: «Turning Point 3», punto di svolta. Ancor più significativo lo scenario della simulazione: una guerra simultanea contro Hamas, Hezbollah, Siria e Iran, in contemporanea alla pratica di «tattiche contro-insurrezionali contro gli arabi israeliani», ossia contro la minoranza palestinese che ha (per il momento) la cittadinanza d’Israele. E attacchi contro la striscia di Gaza, in reazione a presunti lanci di razzi da là.

O, per dirla con le parole di Shlomo Dor, portavoce della Difesa, «Ci alleniamo allo scenario-catastrofe di attacchi simultanei contro Israele condotti su tutti i fronti e con mezzi diversi».

Perchè ovviamente Israele non fa che difendersi: Siria e Iran e Hezbollah – in modo coordinato – spareranno missili sul povero popolo minacciato nella sua stessa esistenza, cittadini arabi si faranno saltare in aria come terroristi suicidi, ci saranno incendi e tegole rotte, morti e feriti. E Israele risponderà.

Siamo certi che vincerà ancora una volta.

Ma l’esercitazione intanto intensifica la paranoia degli israeliani, già alquanto parossistica, e giustificherà il tanto ben preparato attacco aereo contro l’Iran; può ben darsi che, già che ci sono, i sionisti ne approfittino davvero per sferrare la guerra regionale contro tutti i loro nemici simultaneamente, come previsto dalla simulazione. In ogni caso, è un bel tintinnare di sciabole per intimidire i vicini. Ed anche Obama, che in questi stessi giorni sta viaggiando in Medio Oriente per cercare di riconquistare la fiducia degli Stati musulmani, perduta da Bush.

Il governo israeliano ha infatti risposto picche alla richiesta di Obama (reiterata da Hillary Clinton) di mettere fine all’espansione degli insediamenti illegali in Cisgiordania; una vera sfida contro un’amministrazione che Sion ormai considera nemica, e non tanto incisiva da dover essere obbedita.

«La richiesta americana di impedire la “crescita naturale” degli insediamenti è irragionevole, e fa venire in mente ciò che disse il Faraone: ogni figlio nato (dagli ebrei) lo getterai nel fiume»: così ha replicato  il ministro della Scienza Daniel Herschkowitz (1).

Questo sobrio commento dice bene quale sia la mentalità e la paranoia messianica del governo israeliano oggi. Obama è identificato col Faraone biblico, che volle ridurre la fertilità degli ebrei «in esilio» in Egitto affogandone i bambini; il piccolo Mosè fu salvato dalle acque del Nilo, e cresciuto si vendicò degli egiziani con gli interessi. Si sa come YHVH fece finire il Faraone, affogato mentre le acque dal Mar Rosso si richiudevano. Gli ebrei minacciano ad Obama lo stesso castigo, diciamo così, divino.

Il ministro dell’Interno Eli Yishai ha sottolineato il concetto, con gli stessi toni minacciosamente biblici: «La richiesta americana di congelare le costruzioni (di nuove case negli insediamenti illegali) significa che  Obama vuole l’espulsione (sic) dei giovani ebrei che vivono lì. Spero che l’amministrazione USA lo capisca. Altrimenti, non voglio essere un profeta apocalittico, ma affronteremo lotta e conflitto. Le concessioni che ci chiedono sono un impedimento alla sicurezza che noi non possiamo tollerare».

Dunque, se Obama vuol congelare gli insediamenti al punto in cui sono (non chiede nemmeno di smantellarli) vuole costringere i poveri ebrei ad un nuovo esodo. E come racconta il libro dell’Esodo, gli ebrei cacciati dall’Egitto se ne andarono dopo aver rubato i preziosi degli egizi e aver ammazzato tutti i primogeniti: ecco cosa significa «lotta e conflitto».

Fa un po’ paura constatare che la Bibbia è  adottata come manuale operativo, e come cornice per interpretare i fatti attuali,  da un regime che dispone di 2-300 testate atomiche.

«Gli USA devono smettere di favorire i palestinesi» (!), ha rincarato un altro responsabile di cui Haaretz non dà il nome, ma che è facile intuire membro della cerchia più vicina a Netanyahu (forse Uzi Arad, consigliere della sicurezza nazionale, o Dan Meridor, vice-premier).

«Tutti gli accordi presi con l’amministrazione Bush non valgono più niente?» (2).

Bush aveva stretto un accordo con Sharon ed Olmert, in base al quale Israele poteva continuare ad ampliare gli insediamenti illegali in Cisgiordania. Obama è proprio il Faraone cattivo. Sarà punito, da YHVH o dal suo braccio armato, la nota lobby? Eppure Obama ha fatto di tutto per accontentare Sion, e non fare la fine del cattivo Faraone.

Il 21 maggio, il ministro della Difesa Robert Gates ha spiegato pubblicamente di aver avuto ordine dal presidente di «aggiornare i piani USA di attacco all’Iran». I piani sono stati aggiornati, e «tutte le opzioni sono sulla tavola», ha aggiunto l’uomo del Pentagono. Tutto ciò, a quanto pare, cedendo all’AIPAC (American Israeli Political Committee: la lobby) che da settimane sta intimidendo i parlamentari del Congresso perchè a loro volta facciano pressioni su Obama per la linea dura contro l’Iran.

Ai primi di maggio l’AIPAC ha convocato, in una conferenza di tre giorni a Washington, i membri dei due partiti, democratico e repubblicano, per dettare le consegne su come dev’essere la politica americana verso l’Iran (3). Nessuno dei parlamentari, tanto meno i capi di entrambi i partiti, hanno osato rifiutare. Tutti presenti davanti a 7 mila delegati ebraici, e davanti a Tzipi Livni (per chiarire che sull’Iran non c’è diversità di posizioni fra lei e Netanyahu), all’ex ministro israeliano della Difesa Ephraim Sneh, e all’ambasciatore israeliano in USA Michael Oren: scena umiliante, vedere i parlamentari americani prendere nota delle direttive di membri di uno Stato estero.

E i democratici hanno dovuto assistere agli applausi frenetici che da quella potente platea di ricchissimi finanziatori e di capi israeliani ricevevano i repubblicani, che facevano una dichiarazione più incendiaria dell’altra a favore di Israele – e contro Obama.

Newt Gingrich, l’ex presidente della camera bassa, ultrà repubblicano, è stato applauditissimo quando ha detto: «Obama non otterrà nulla dalle trattative con gli iraniani, perchè essi sono di fatto malvagi» (sic).

Gingrich, che sarà candidato repubblicano alle presidenziali del 2012, ha aggiunto che Obama manifesta «le debolezze di Carter». E’ stato in risposta a questa conferenza che Obama, evidentemente su pressione dei deputati e senatori democratici terrorizzati di apparire non abbastanza filo-sionisti, ha dato ordine al Pentagono di aggiornare i piani d’attacco all’Iran.

Ma c’è anche un altro motivo per cui Israele prepara la guerra con esercitazioni-catastrofe, ed è quel che avviene in Libano. Non a caso, in risposta alle esecitazioni «Turning Point», il piccolo Stato ha messo in allarme le proprie truppe.

In Libano sono imminenti le elezioni, e di recente sono state smantellate diverse reti di spionaggio e provocazione ebraiche: fatti che fanno temere ad Israele una schiacciante affermazione elettorale di Hezbollah e dei suoi alleati (i cristiani di Aoun) contro la fazione filo-americana. Israele non dimentica di aver ricevuto da Hezbollah una dura sconfitta nel 2006, e vuole la vendetta.

Tanto più che è proprio l’intelligence Hezbollah ad aver distrutto le reti di spie ebraiche, e il processo alla trentina di arrestati rischia di rivelare particolari imbarazzanti per Sion:

«Ci sono agenti», ha detto Nasrallah (il capo di Hezbollah) in un comizio il 22 maggio scorso, «che hanno confessato di aver consegnato pacchi di esplosivo. Altri collaboratori hanno confessato di aver compiuto missioni di ricognizione sul campo. Altri hanno facilitato l’entrata e l’uscita di (agenti) israeliani per compiere le loro missioni nel nostro territorio. Sono agenti esecutivi. Deve essere fatta piena luce; queste trame israeliane devono essere esaminate a fondo fino a trovare informazioni a proposito di tanti crimini, specie dal 2005 in poi».

L’allusione è all’omicidio del presidente libanese Rafik Hariri, fatto saltare in aria in un mega-attentato nel febbraio 2005. L’assassinio spinse di nuovo il Libano sull’orlo della guerra civile, fatto che «prodest» solo ad Israele, il cui modus operandi consiste da sempre nello destabilizzare i nemici, istigando discordie civili e divisioni etnico-religiose. Ma dell’attentato fu prontamente accusata la Siria, e un Tribunale speciale internazionale fu prontamente allestito per volontà di Bush, con a capo un procuratore ebreo-tedesco di nome Detlev Mehlis (omonimo e forse parente di un famigerato segretario di Stalin e promotore del terrore rosso sovietico, Lev Zacharovic Mehlis) che raccolse immediatamente testimoni pronti a confermare la tesi. Recentemente, Mehlis s’è dimesso dopo che è stato comprovato che i suoi testimoni erano stati subornati. Le persone da lui accusate (quattro generali libanesi, ritenuti pro-siriani) sono stati rilasciati per mancanza di prove, e un nuovo tribunale internazionale è stato insediato. Si comincia da capo.

Ma stavolta – oh, sorpresa! – qualcuno ha cominciato ad affermare che il nuovo tribunale ha già trovato i colpevoli dell’assassinio Hariri: sono gli  Hezbollah, con la complicità dell’Iran (4).

Questo qualcuno ha un nome: si chiama Erich Follath, un giornalista tedesco, che ha sparato la sua sensazionale «esclusiva» sul settimanale germanico Der Spiegel il 24 maggio. Il titolo già dice tutto: «BREAKTHROUGH IN TRIBUNAL INVESTIGATION - New Evidence Points to Hezbollah in Hariri Murder».

Il guaio è che lo stesso Erich Follath, sullo stesso Spiegel, il 24 ottobre del 2005 aveva scritto un articolo espplosivo in cui preannunciava che il trbunale speciale di Mehlis aveva già la prove della colpevolezza della Siria. Titolo di allora: «BYE-BYE, HARIRI!" - UN Report Links Syrian Officials to Murder of Former Lebanese Leader».

Nè in quel vecchio articolo nè in questo nuovo Follath cita una sola prova, o una sola fonte per nome. E i due articoli, a quattro anni di distanza, sono praticamente uguali: solo che là dove quattro anni fa era scritto «Siria», oggi Follath ha scritto «Hezbollah» (5).

Ma questa volta le supposto rivelazioni di Follath sono state smentite non solo da Hezbollah, ma persino i suoi avversari in Libano non le hanno prese sul serio. Saad Hariri, il figlio del presidente assassinato, ha rifiutato di commentarle; Walid Jumblatt, il capo dei drusi, ha commentato che l’articolo «è un gioco di nazioni che vogliono sviare la giustizia ed usarla per cose in cui non crediamo». Quanto al tribunale speciale, la sua portavoce Radyia Ashuri ha smentito nei termini più recisi: «Non sappiamo dove Spiegel abbia preso quelle informazioni. Noi abbiamo la chiara politica di non “soffiare” nessuna informazione del tribunale attraverso i media».

Significativo il commento di Nasrallah: «Gli israeliani stanno facendo azioni preventive, prima che si scopra che le loro reti di spie erano coinvolte negli assassinii in Libano». E’ anche un tentativo, ha aggiunto il capo di Hezbollah, «di influenzare le imminenti elezioni in Libano».

Così si può intuire perchè Israele abbia bisogno di una nuova guerra, e in fretta. Hezbollah sta per vincere le elezioni coi suoi alleati cristiani. La verità sull’assassinio di Hariri rischia di saltar fuori, il che non aiuterebbe certo a recuperare i rapporti con l’amministrazione Obama.

Non basta: la polemica in corso in USA sulle torture adottate ad Abu Ghraib rischia di far scoprire che i torturatori, o i loro istruttori in tortura, fossero in realtà specialisti israeliani (6). Un segreto di pulcinella per i ben informati, come dimostrato da questa foto, ma assai dannoso per l’immagine di Israele come Stato che lotta per la sua stessa esistenza, se raggiunge il grande pubblico.



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Inoltre, contravvenendo agli ordini a cui tutta la diplomazia occidentale si conforma – boicottare Hamas – il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha incontrato a Damasco Khaled Meshal, che di Hamas è il leader di primo piano; e ciò nonostante Mosca sia membro del «quartetto» dei negoziatori per la questione palestinese. L’unico membro del quartetto a «parlare» con Hamas. Un segnale provocatorio, proprio mentre Avigdor Lieberman, il ministro degli Esteri razzista di Giuda, si prepara a viaggiare a Mosca con la speranza di migliorare i rapporti con il potere russo.

Ulteriore aggravante, un alto diplomatico russo a Londra, Alexander Sternik, ha dichiarato che la minaccia posta dai missili dell’Iran è «grandemente esagerata dagli USA» come pretesto per posizionare i missili-antimissile in Polonia. Ciò mentre perfino la Rand Corporation, il più influente  think tank vicino ai militari, in un rapporto consiglia il presidente Obama di avviare un dialogo strategico con l’Iraq; e il rapporto asserisce che Hezbollah e Hamas non sono cinghie di trasmissione della politica iraniana, ma se mai alleati indipendenti, su cui Teheran esercita un’influenza, ma non l’autorità. E conclude che l’Iran non si sta facendo la bomba atomica.

In generale, Israele riesce a mantenere sempre meno la cappa di silenzio sulla grave situazione situazione umanitaria di Gaza (7). Il tempo stringe.

Israele risponde con una frenetica iper-attività: manda un emissario a partecipare alla riunione dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) per cercare di convincere i Paesi sudamericani (Venezuela e Bolivia in primo luogo) a spezzare le relazioni con l’Iran che sono molto strette (Israele sospetta che da lì arrivi il minerale d’uranio raffinato da Teheran), intensifica gli attacchi terroristici sul territorio iraniano (dopo il sanguinoso attentato alla moschea iraniana di Zahedan, 25 morti, le forze di sicurezza di Teheran hanno sventato un attentato alla bomba su un aereo di linea).

Ma non basta. Sicchè il governo Netanyahu ha fretta di giustificare un attacco aereo israeliano contro le basi nucleati di Teheran, nonostante Washington abbia avvertito Israele di non farlo in questo momento.

Su Haaretz, il commentatore Aluf Benn attribuisce a Netanyahu l’intenzione di provocare «una guerra nel nord» (contro Hezbollah e la Siria) con la speranza di trascinare nel conflitto, l’Iran: «In questo modo, l’incursione di Israele contro le installazioni nucleari iraniane sarebbe considerato autodifesa».

Conclude Benn: «La guerra con l’Iran non è inevitabile. Ma il primo ministro  ha intrapreso un altro passo per preparare il pubblico alla possibilità che scoppi. Netanyahu avvicina Israele alla guerra» (8).




1) «Obama's decrees are like Pharaoh's'», Jerusalem Post, 31 maggio 2009.
2) Barak Ravid: «Israel to U.S.: 'Stop favoring Palestinians», Haaretz, 31 maggio 2009.
3) «AIPAC meets to write US policy on Iran», Press.TV, 4 maggio 2009.
4) Rannie Amiri, «Spies, Lies and Mr. Lebanon's Demise», Counterpunch, 31 maggio 2009.
5) Si tenga presente che la Germania è, fra gli Stati europei, uno dei più importanti  fornitori di armamento ad Israele (a cui ha regalato quattro sottomarini strategici che portano missili intercontinentali a testata nucleare). Il massimo esportatore europeo di armi a Sion è però la Francia, che fra il 2003 e il 2007 ha venduto agli israeliani 446 milioni di euro di armamenti, specie puntatori al laser ed altra apparati sofisticati che Israele non riesce a ottenere nemmeno dagli USA. Ciò in totale violazione delle norme europee sulla vendita di armi ai Paesi in guerra. Non si tratta di un divieto totale: per Israele la UE ha un occhio di riguardo, e si limita ad esigere che per venderle armi i fabbricanti  europei debbano chiedere una licenza. Con tale licenza, la UE ha venduto a Israele, nel 2003-2007, ben 846 milioni di euro di armi. Non a caso il Centro Simon Wiesenthal Europe ha invitato gli elettori europei ad andare numerosi alle elezioni europee del 7 giugno: «L’assenteismo elettorale può favorire i partiti estremisti come il British National Party, il Front National, il neonato Parti Anti-Sioniste, il greco LAOS e la polacca Lega delle Famiglie», che sono «antisemiti». http://www.ejpress.org/article/36777
6) Matthew Kalman, «Were Abu Ghraib abuses learned from Israel?», San Francisco Chronicle, 27 giugno 2004.
7) «An Italian parliamentarian Tuesday (May 26) slammed the international community's idle stance towards the Israeli blockade of Gaza Strip. Those who do not say "no" to this siege and "no" to the oppression in Gaza are against the freedom of Palestinian people, said Italian senator Fernando Rossi, who arrived in Gaza Monday night with a European aid convoy. "Every one of us, either those who entered Gaza or those who remained outside... is sharing a Gazan thought and heart," he told a press conference with deposed Hamas Minister of Works Ahmed al-Kurd. Egypt only allowed 20 European activists into Gaza and prevented the others from entering. It also allowed 40 trucks with medical aid into the coastal strip. Israel sealed off the Gaza Strip in June 2007 when Hamas routed security forces of Palestinian President Mahmoud Abbas and seized control of Gaza. Egypt also maintained the closure of Rafah crossing point, the only way for Gazans to the outside world, since a U.S.-brokered protocol said the crossing can not open without the presence of Abbas' forces and EU monitors.(Reference for text: Xinhua. Photo: via Google/file)». Alla camera dei lords, la baronessa Tonge ha accusato Israele di aver commesso «crimini di guerra di fronte agli occhi del mondo» ^ http://curtmaynardsnewestblog.blogspot.com/2009/05/baroness-tonge-israel-stands-accused-of.html. Delegazioni internazionali sempre più numerose chiedono di visitare la striscia di Gaza, e ne escono con dichiarazioni durissime. I «liberi» media fanno quello che possono, sopprimendo queste dichiarazioni. Ma stanno diventando troppe.
8) Aluf Benn, «ANALYSIS / Netanyahu bringing Israel closer to war with Iran», Haaretz, 26 maggio 2009.


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