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Le radici del potere opaco: l’età della rivoluzione
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La Lega Hung da setta mistica e contemplativa a setta segreta dopo l’avvento della dinastia Manchu

Nel 1644 saliva al trono il primo imperatore T’sing: l’inizio della dinastia straniera dei conquistatori tartari, i Manchu, che aveva detronizzato i cinesi Ming. Fu questo l’evento che spinse l’antica confraternita Hung, dedita al mistico «viaggio dell’anima», a trasformarsi in società segreta di militanti politici e sovversivi. Schlegel trovò onnipresente nei rituali, nelle parole di passo, nelle lettere patenti della società Hung, un motto che doveva risalire a quegli anni: «Cacciare i T’sing e reinsediare i Ming». Uno slogan e un programma politico.

Del resto, gl’imperatori tartari non tardarono ad identificare ogni gruppo religioso come nemico del loro potere, e reagirono con ferocia inaudita. Nel 1662, il Sacro Editto del secondo imperatore manchu scatenava la persecuzione del Buddhismo e del Taoismo; segui la persecuzione del Cristianesimo, introdotto nel 1650 dai Gesuiti: solo meno esplicita e più obliqua, perché la nuova religione straniera era protetta dalle delegazioni delle potenze europee. In questo quadro anche l’appartenenza alla Lega Hung divenne un delitto capitale.

Significativamente, Wynne scrive:

«I Manchu confusero l’adesione alla Hung e l’adesione alla Chiesa... cristiani e ‘fratelli’ della Triade furono accomunati nella repressione (...) senza che questa riuscisse a strappare alla Lega Hung il velo del segreto, chè anzi l’organizzazione cominciò a celarsi dietro diversi nomi di società apparentemente innocue (…). La forza numerica della Lega crebbe enormemente, specie nelle provincie di Canton e di Fukien», in quei territori meridionali della Cina che non avevano conosciuto l’antica occupazione mongola.

Schlegel trovò, narrato nei testi della Lega, un fatto - storico e insieme leggendario - che fissava nel 1674 l’anno iniziale dell’opposizione alla dinastia occupante. La storia parlava di un ordine di monaci-guerrieri che risiedeva in un monastero di Shaolin, nella provincia di Fukien, da principio leali alla dinastia tartara. Essi avevano aiutato il secondo imperatore Manchu, Kang Hsi, a
respingere l’invasione di un’orda dello Stato di Selu (Mongolia Interna), contro cui l’armata imperiale s’era rivelata impotente. Dapprima, Kang Hsi coprì  di favore quei monaci; ma poi, istigato dai suoi ministri, volle eliminarli.

Una notte del 1674, il monastero di Shaolin fu circondato dalla truppa imperiale e incendiato. Centoventotto monaci passarono dal sonno alla morte per fuoco; solo cinque fuggirono. Sono i Cinque Patriarchi che la Lega Hung considera suoi fondatori.

La storia - o il mito - continua infatti: fuggiti nella notte senza mèta, i cinque superstiti giunsero a un torrente. Videro galleggiare sull’acqua una ciotola di porcellana bianca, la presero per dissetarsi. Sull’oggetto, erano incisi gli ideogrammi fu ‘tsing  fu meng, «Cacciare i T’sing e restaurare i Ming».

Un’ala imperiale a cavallo inseguiva i fuggiaschi. Questi salirono su una collina per nascondersi, e videro una spada di legno di pesco infitta nel terreno. Caratteri erano incisi sulla spada: yi lung chang chu, «Due draghi si contendono una perla». Apparvero due donne misteriose, che presero quella spada e con essa respinsero i cavalieri. La fuga dei cinque continuò, fra pericoli e pene.

Secondo la versione popolare del mito, nota anche ai cinesi che non sono membri della Lega, infine un uomo ebbe il coraggio di nascondere i fuggitivi nella sua casa: si chiamava Ch’en Chen-nan, era stato un ministro sotto la precedente dinastia, ora uno studioso del Tao. Strinse con i cinque
fuggiaschi un patto di sangue: nacque cosi la «Società Cielo e Terra», la Triade politica.

La versione interna, nota agli adepti, è più circostanziata. I cinque avrebbero errato senza mèta dalla città di Foochow alla città di Shek Seng, nello Kwangtung, dove trovarono rifugio in un monastero taoista. L’abate del monastero, Wan Yun Lung, mischiò il suo sangue con il loro sangue in una coppa di vino; insieme giurarono di «cacciare i T’sing e restaurare i Ming». Come parola di riconoscimento, assunsero l’ideogramma che si pronuncia Yi in cantonese e Ghi in lingua hokkien, e che significa «Rettitudine» e, insieme, «Patriottismo». Seguì una battaglia contro gli inseguitori imperiali; i monaci ebbero la meglio, ma l’abate fu ucciso. Gli successe, ormai come gran maestro della Lega Hung, quel Ch’an Chen evocato nella versione popolare.

Nella storia entrano anche cinque misteriosi «mercanti di cavalli»; fu con il loro aiuto che i cinque Patriarchi di Shaolin si sparsero nella Cina, per fondare le cinque logge-madri della Società. I mercanti di cavalli, fondatori di cinque logge minori, sono designati dal rituale con il nome collettivo di Cinque Generali Tigre.

Le cinque logge principali sorsero nelle tre grandi province marittime e meridionali della Cina, Chekiang, Fukien, Kwangtung, nell’occidentale Yunna, e nella provincia intermedia dello Kwangsi.
Le cinque minori nei contigui territori di Fukien, Hupeh, Szechuan, Kansu. Ciò significa, fa notare Wynne, che «la società Hung durante la sua incarnazione politica è rimasta generalmente confinata a sud dello Yangtze», e in particolare «che nulla unisce la Hung con la provincia dello Shantung, che giace a nord dello Yangtze nella valle del Fiume Giallo»: precisazione la cui importanza sarà chiara in seguito.

Qui, stiamo ancora semplicemente delineando il quadro in cui si produssero i complessi, ambigui eventi in cui ci caleremo. Ci limitiamo dunque a dire che «le ribellioni che seguirono» nei decenni dopo il 1674 e ricordate dall’Encyclopedia Sinica, a cominciare da Formosa nel 1787, per riavvampare nel 1814 e nel 1817 nel meridionale Kwangsi e a Canton, la grande città del sud, furono tutte anti-dinastiche, e tutte dagli osservatori occidentali - che si riferivano all’opinione comune fra i cinesi - attribuite all’impulso segreto della Lega Hung.

Dovremo riparlare dell’imponente ribellione dei Taiping, che divampò dal popolo Hakka e sconvolse per quindici anni lo Kwangtung: ci basterà anticipare che essa ebbe origine in ambienti cinesi più o meno cristianizzati, e che ottenne rapidamente l’appoggio della Lega Hung, la quale si celò tanto accortamente dietro quella maschera pseudo-cristiana da ottenere il sostegno esplicito dei missionari occidentali.

Cosi, ci limiteremo ad anticipare di sfuggita alle rivolte ispirate dalla Triade che condussero infine alla cacciata dei T’sing tartari e alla nascita della repubblica nel 1912. Nel 1895, un’altra rivolta esplose nello Kansu; i ribelli, che occuparono la capitale provinciale, erano quasi tutti musulmani. La repressione dell’imperatore tartaro fu spietata: le sue truppe, entrate in città, procedettero a decapitazioni di massa. Tra i capi della rivolta che riuscirono a fuggire, c’era un giovane medico. Il suo nome era Sun Yat Sen, il Gandhi della Cina.

Riparò ad Hong Kong. Di qui cominciò il suo lungo viaggio in Occidente, da cui tornò cristiano, imbevuto di cultura anglosassone ed entusiasta della democrazia americana. Nel 1912, Sun Yat Sen fu proclamato presidente della neonata repubblica; nel 1925 annunciò le sue dimissioni, per
facilitare il difficile tentativo di radunare tutti i partiti, comunista compreso, in un governo di intesa nazionale. Fece quest’annuncio a Nanchino, parlando alla folla radunata davanti alle antiche tombe dei Ming: ed evocò gli «Spiriti dei Ming» a testimoniare che «i Manchu e il loro dispotismo erano stati cancellati, e la Cina era di nuovo sotto un governo cinese».

L’Intelligence Service non dubitò che Sun Yat Sen, «benché cristiano, aveva pagato un reverente tributo alle antiche tradizioni della Lega Hung», a cui aderiva dalla giovinezza.

Ci preme notare che Schlegel aveva previsto mezzo secolo prima, con sorprendente precisione, questa funzione illuminatrice della Lega, la undercurrent mistica sottesa alla sua azione politica «moderata» ed «illuministica», e persino la convergenza fra la sua ideologia e un generico «cristianesimo», che Sun Yat Sen cosi curiosamente incarnava.

«Quali che siano oggi le sue condizioni», aveva scritto, «non dubitiamo che quando la pace sarà ristabilita in Cina... la Lega tornerà ad essere quello che sicuramente è stata, un’associazione di fratelli seguaci dei grandi precetti predicati da Cristo non meno che da Confucio».

Ed è degno di nota ripercorrere il processo mentale per cui Schlegel era giunto a questa conclusione. L’analisi degli ideogrammi nei rituali Hung l’aveva convinto che lo slogan con cui la società segreta era emersa all’azione politica, «Cacciare i T’sing e restaurare i Ming», non era solo un programma politico.

«La dinastia Ming significò originariamente la Dinastia della Luce», scriveva, «mentre ci sono due caratteri che in cinese si pronunciano T’sing: il più importante indica ciò che è oscuro, o anche l’oscurità stessa, l’altro la dinastia Manchu. Ma l’ideogramma che indica la dinastia tartara Manchu è composto dall’ideogramma di ‘oscuro’ a cui viene aggiunto l’ideogramma di ‘acqua’, raffigurato da tre gocce stilizzate. Sicché basta togliere i tre punti davanti al carattere di ‘oscurità’ per alterare lo slogan politico ‘cacciare i T’sing e restaurare i Ming’ in un’allegoria dell’eterna lotta della Luce contro le Tenebre».

Lo slogan della Lega Hung proclamava dunque, a un livello esoterico, la lotta fra Yang e Yin, la superiore legittimità del principio virile, diurno-destro e luminoso su quello femminile, notturno e oscuro.

Sul termine T’sing («oscurità»), nel sottolinearne la sua omologia con Yin, il femminile-notturno-sinistro, Schlegel aggiungeva:

hang_2.jpg«Benché lo si traduca come ‘oscurità’ che riassume meglio, per menti occidentali, il suo significato generale, l’ideogramma evoca qualcosa di più sottile. Il radicale dell’ideogramma denota ciò che è colorato, certi colori naturali, specificamente il nero, il blu e il grigio. Dunque, in un certo senso, T’sing indica la qualità dell’opaco, in antitesi all’ideogramma “Luce”, che rappresenta anche lo Spirito. T’sing è tutto ciò che è opaco, non inteso però come un inerte non-essere-trasparente, ma - per la sua omologia con “Yin” - come una forza che attivamente si oppone alla Luce. Infatti l’ideogramma T’sing significa anche la forza vitale nell’uomo e, con l’aggiunta del carattere per «cuore», le passioni. Ancora una volta, ciò che viene evocato è qualcosa di opaco e renitente: “la luce dello spirito imprigionata nella materialità”, potrei dire. In un senso più lato, T’sing rappresenta di fatto l’universo materiale che oscura lo spirito».

Ciò, concludeva Schlegel, illumina il senso esoterico dell’enigmatica frase che i cinque monaci-guerrieri di Shaolin lessero nella spada di legno di pesco: «Due draghi si contendono una perla».

La perla è il simbolo dell’impero; i due draghi, sono Yin e Yang, le due Forze opposte. In questo caso, esse si contendono dunque il Potere sul mondo.

L’attivismo politico della Lega Hung rappresenterebbe meno una degenerazione di un’antica società iniziatica originariamente volta alla salvezza dell’anima, quanto una sua «esteriorizzazione» all’azione politica, resa necessaria dalla minaccia che il potere mondano venga sequestrato totalmente dalla Forza Opaca.

Piuttosto impressionato, l’agente inglese Wynne commentava a proposito di questo passo di Schlegel:

«Forse qualche lettore potrà intravvedere qui una spiegazione delle deplorevoli condizioni del mondo odierno, e non solo in Cina. A cominciare dalla rivoluzione bolscevica in Russia nel 1917, lo Zeitgeist occidentale che nel passato era ispirato più o meno alle idee cristiane, sembra aver deviato sempre più verso la ‘sinistra’ (Yin), fino alla quasi totale eclisse dei principii Yang che avevano dominato prima. Devastate le norme stabilite di moralità politica, rifiutati i precedenti valori e principii che reggevano i rapporti civili, la civiltà stessa minata dalla sfida che la Forza ha sferrato alla Legge; e l’uomo minacciato dal ritorno alla giungla».

Wynne aggiungeva che, come in Europa questa deriva aveva suscitato forze politiche che s’appellavano a un «riarmo morale che reagisse allo Yin per tornare allo Yang, e cosi preservare la civiltà cosi faticosamente costruita», similmente in Cina, «il governo nazionalista del Kuomintang ha lanciato nel 1934 il movimento ‘Vita Nuova’ proprio con lo scopo di evocare un riarmo morale, e più recentemente, nel 1938, il cosiddetto ‘Movimento di Mobilitazione Spirituale’, che proclama la necessità del patriottismo e dell’abnegazione, per preservare l’unità spirituale del popolo e la capacità di resistere alle invasioni esterne».

Patetici propositi, visto che quella Lega Hung a cui Sun Yat Sen aveva ispirato la sua azione moderata e illuminata pareva essere già da gran tempo infettata e invasa proprio dal Potere Opaco, che era forse nata per combattere. Almeno dal 1864, anno in cui fini la rivolta dei Taiping, la Triade era largamente degenerata in mafia criminale. Una «macchina organizzata di estorsioni», scrive Wynne, «chiusa nella potente armatura della segretezza e forte della capacità di condannare a morte i ‘traditori’, e perciò protetta dalle defezioni interne e dalle interferenze esterne».

Eppure l’idea di una macchina organizzata e monolitica contrasta curiosamente, e tragicamente, con il fenomeno che gli stessi inglesi notarono: le feroci rivalità che opponevano l’una all’altra le bande criminali segrete che si ispiravano, o si proclamavano parte, della stessa Lega Hung. Ad Hong Kong, dove la polizia britannica valutava nel 1900 che «un terzo della popolazione maschile della colonia e parecchie donne sono membri più o meno attivi della Triade», doveva reprimere le improvvise, ferocissime battaglie di strada, con incendi e saccheggi, che divampavano fra almeno quattro «logge della società Triade»: la loggia Man On, la Hok Ghi Hin, la Hoi Lok, la Fuk On She.

Era noto agli occidentali che la Triade, per i suoi scopi «patriottici» e per sfuggire alle persecuzioni imperiali, s’era celata e infiltrata in quella sorta di tradizionali confraternite cinesi della buona morte, il cui motivo apparente - forse bisognerebbe dire essoterico - era di garantire funerali decenti ai suoi membri poveri. Già nel 1842 il tenente Newbold aveva riferito sulle più rilevanti di queste società-schermo a Canton, i cui nomi stessi alludevano, secondo lui, alla comune origine dalla Triade: la Grande Società Ascendente, le Giacche Bianche, le Barbe Rosse, le Spade Corte, la società del Loto Bianco, la società Terra e Mare, la società dell’Alba Virtuosa. Ben presto le autorità coloniali dell’Indocina francese, delle Indie Orientali Olandesi, dell’India e della Birmania, del Siam e di Malacca, seppero che società con questi nomi si erano insediate fra la popolazione dei cinesi, immigrati a cominciare dal diciottesimo secolo.

Vennero anche a sapere che tali società avevano cominciato ad estrarre, con minacce, tangenti dai cinesi che non erano loro membri. Ma chiudevano più di un occhio. Gli immigrati cinesi erano laboriosi e appartati; le loro confraternite, evidentemente vogliose di tener fuori i bianchi dai loro affari, cercavano di evitare ogni frizione con le autorità coloniali: il che fu attribuito a buona volontà. Negli uffici, si finì per considerarle in qualche modo una forma di autogoverno informale della comunità.

I governatori bianchi erano lieti di riconoscere tacitamente, nella persona che la voce popolare sussurrava essere il capo-bastone locale della Triade, la qualità di rappresentante ufficioso del gruppo etnico; lo consultavano quando nascevano problemi, e gli affidavano il compito di tenere l’ordine all’interno della comunità d’immigrati. Che questo personaggio - Kapitan China, come veniva chiamato nel gergo internazionale delle colonie - esercitasse il suo potere a capo di una banda di ricattatori, li preoccupava meno. «Il detto cane non mangia cane è sconosciuto tra i cinesi, il cui edificio sociale posa interamente sul fatto che i potenti s’ingrassano sulla pelle dei deboli», commentava - very british - Wynne. Ma venne il momento in cui i colonialisti dovettero amaramente ricredersi.
 
Le radici del potere opaco La scuola ipnotica

Una disciplina occulta, segreta e tenebrosa si fa strada ai primi del ‘900 nella struttura delle Triadi

Col tempo, gli inglesi non mancarono di notare che la degenerazione criminale delle confraternite, che la voce popolare e le loro vaghe inquisizioni indicavano come emanazioni della Triade, s’era accompagnata ad un maligno tralignamento dei riti interni.

J. Hutson, un agente britannico operante nello Szechuan, segnalava nel febbraio del 1920, sulla New Chinese Rewiew (Volume II, numero l), l’emersione di un culto opposto alla sfera Yang, diurna e luminosa, che era stato della Hung League. Si tratta, scriveva «di una sorta di Scuola Ipnotica», sempre «profondamente connessa con la mistica taoista», ma con una strana connotazione femminile.

«Il centro polare di queste sette ipnotiche è una dea vivente di grazia, di solito una ragazza di sedici o diciott’anni», riferiva Hutson; e questo personaggio - notava - è identificata all’antica dea Si-Wang Mu, «Regina Madre d’Occidente», la cui sede è nella leggendaria catena montuosa del Kw’en Lun, che è probabilmente il Pamir -occidentale rispetto alla Cina - e con l’asse del mondo, il Monte Meru della tradizione indiana. I miti che circondano Si-Wang Mu del resto sono «di evidente origine indù»: si tratta dell’ipostasi cinese di Kali, la dea della Natura e libido universalis.

L’ascetica interna alla Scuola Ipnotica era incentrata «sulle trances ipnotiche, ottenute con un severo addestramento della mente e del corpo, una rigorosa concentrazione e la completa sottomissione ad un particolare spirito demoniaco. Quando l’addestramento è completato, l’intera personalità dell’adepto è soggetta al controllo mesmerico di questo demone, che impartisce ordini attraverso un prete taoista chiamato Ho-Chu-Lao».

Questi sacerdoti, aggiungeva Hutson, «benché conoscano le arti dell’esorcismo e molte delle dottrine del Tao, non sono né celibi né eremiti, e nemmeno appartengono al sacerdozio regolare». E’ necessario notarlo: qualità curiosamente identiche caratterizzano, nel buddhismo del Tibet, l’ordine dei Berretti Rossi - i cui membri non s’astengono né dal sesso, né dall’alcol, né dalla carne, e nemmeno dal praticare forme non sempre benigne di magia, e tuttavia sono considerati i possessori della più profonda sapianza mistica.

L’inglese notava anche che l’ascesi di questo tipo di sette comportava, ad un certo punto, un completo rovesciamento di valori.

«All’inizio, queste società attraggono i membri della classe ricca dei proprietari terrieri con voti vegetariani... promettono l’immortalità a chi si astiene dalla fornicazione, dal vino e dal porco». Solo ad un determinato grado dell’iniziazione l’adepto aveva la «rivelazione» del suo demone, a cui doveva obbedire fino al delitto e all’omicidio. Allora l’adepto «era succubeo di incantamenti e di formule magiche di cui esiste grande abbondanza. La principale di queste formule fascinanti, detta l’Incantamento della Dea di Grazia, viene pronunciata dopo la purificazione del corpo e della bocca. Questa tecnica è molto diffusa nel Nord, che è la sua sede originaria».

Altra caratteristica, lo spiccato carattere comunistico.

«Il pedaggio d’entrata è modesto, ma poi i membri devono mettere tutti i loro beni in comune, e dipendere dalla setta anche per il riso e il vestiario». Accade che spesso «il capo-villaggio e persino il magistrato di distretto» sia membro di queste sette fanatiche, notava ancora Hutson, «e quando scoppiano tumulti, il magistrato può sopprimere e persino sequestrare la sede della confraternita a cui è segretamente affiliato, avendo però cura di risparmiarne i capi e i propagandisti».

«Nel 1905 una setta ipnotica proveniente dallo Shensi ha provocato rivolte nell’est e nel sud dello Szechuan; era nota come Società del Té Chiaro, e la ‘ballata del piantatore di tè’, originaria delle province a nord dello Yangtze, era usata nei suoi riti».

Hutson riferiva i nomi di altre società appartenenti alla scuola ipnotica. Due, la Società della Lanterna Rossa e la Società del Pugno Chiuso, sono altrettanti nomi assunti dai Boxer nella loro ribellione, nel 1900. Un altro nome, Società del Loto Bianco, era già stato additato da Schlegel come uno degli schermi della Hung League.

Altre società turbolente e pericolose venivano segnalate in quegli anni, tutte associate con il Nord, con un nome fatale - Han - e un mito d’origine, «I Tre del Giardino dei Peschi», che sono elementi presenti - in un modo ambiguo che Wynne, come vedremo, chiarirà - alla Lega Hung.

C’era anche una «Scuola Reazionaria», Han Liu, i cui membri chiamano se stessi La Progenie, anch’essi collegati con i preti taoisti, ma irregolari, già notati a capo della Scuola Ipnotica. Gli adepti erano dediti alla magìa nera e alla stregoneria.

«Una malattia in famiglia, una piccola ferita, un cattivo presagio diventano fra costoro la scusa per organizzare un’orgia notturna, con lo scopo di espellere uno spirito malvagio. La musica suonata in quei concerti era un diavolio di probabili origini sciamaniche: Un culto che ha amplissime ramificazioni in Asia centrale», scrive Hutson, «dove la diversità di razza e di religione non osta dal partecipare ai suoi convegni segreti. Sui confini col Tibet, nessun cinese potrebbe del resto trafficare e commerciare con i tibetani senza essere membro delle confraternite sciamaniche. Sarebbe sicuramente rapinato e ucciso al suo primo viaggio».

Il punto che preoccupava i colonialisti erano le usanze «deplorevoli» degli adepti sciamanici. In Cina, segnalano gli agenti britannici, dopo i preoccupanti rituali notturni per cacciare gli spiriti, i partecipanti tornano a casa commettendo, sul percorso, furti e rapine, apparentemente «per divertimento». Erano stati appurati casi in cui gli adepti avevano «mangiato il fegato o il cuore di un loro nemico, o ne avevano smembrato il corpo, vendendolo come carne di bue in luoghi lontani».

Voci non facilmente controllabili parlavano di sacrifici umani offerti «alla bandiera di uno spirito o a un camerata caduto». Gli adepti - che la voce popolare chiamava ho-erh-liu, i Dissoluti - praticavano il matrimonio per rapimento.

Gli Ipnotici e i Reazionari-Dissoluti parevano inestricabilmente connessi con le torme immense di mendicanti e ladri erranti, riuniti in confraternite segrete di malaffare, che tormentavano la Cina esausta, e nascevano dalle tremende condizioni sociali prodotte dall’anarchia e dalla corruzione. Nello Szechuan, all’inizio del secolo, numerose bande di miserabili diventati predoni, guidati da capi saliti a sinistra fama, avevano provocato lo spopolamento di alcune provincie; quando taluni abitanti avevano osato tentare il ritorno, avevano trovato la loro poca terra e le loro case occupate da estranei violenti, i membri delle bande.

Ad essi, veniva dato il nome collettivo di ku-lu-tzu: nome che - si noti - i Boxers, nella loro rivolta «politica», adottarono per sé, e che alluderebbe onomatopeicamente alla lagna querula dei mendicanti; l’ideogramma della parola unisce anche il senso della pietà per il povero che chiede la carità, e della paura che ispira quando la sua querula richiesta diventa la pretesa minacciosa di una folla di miserabili.

Il popolino non pronunciava volentieri quel nome; si riferiva cautamente ai membri di queste confraternite come ai «ratti», termine che ben indicava le loro abitudini notturne e l’abilità di sparire all’arrivo del nemico o della Polizia. Le truppe imperiali della dinastia T’sing infatti, con molta fatica, cercarono per qualche tempo di disperdere quelle bande fameliche e feroci, definite burocraticamente con il nome sorprendente di Ostruzionisti (la terminologia ideologica cominciava a prendere piede in Cina). Il risultato fu la loro riduzione a un più spiccato nomadismo. G1i Ostruzionisti erravano vivendo in tende (di solito di colore blu), e s’offrivano, tal quali gli zingari slavi, come suonatori e saltimbanchi alle feste e ai funerali rurali, dove per lo più organizzavano giochi d’azzardo truffaldini. Nelle loro cerchie vigeva una gerarchia discendente: gli adepti della casta superiore, la Cassa Rossa, erano dediti al furto con destrezza e al borseggio. Ma chi veniva arrestato scendeva nel cerchio della Cassa Nera, costretto ad operare come rapinatore notturno: la Polizia imperiale infatti marchiava a fuoco sul viso coloro che catturava, per segnalarli come borsaioli. Gli uomini della Cassa Nera portavano armi, e bruciavano incenso alla Dea di Grazia. Era il gradino più basso della sub-società criminale.

Eppure percorsi interni e misteriosi, anche rituali, univano queste bande di paria con gli strati più alti della società cinese. Alla fine del secolo scorso, il distretto dello Kwan Hsien fu sconvolto da una rivolta nata per opporsi alla costruzione della ferrovia finanziata con i capitali dei «barbari stranieri». La guidava una società, che gli inglesi chiamarono Railway League, e che in cinese si chiamava Tung Chi Hui, «Società dello scopo unito per la protezione della Via»: la massa turbolenta di questa società era fornita dagli Ostruzionisti, dai mendicanti; ma i capi della rivolta erano elementi della Società Confuciana, Tang Tzu Hang.

«Ed è facile capire», scrive Hutson, «che le persone ammesse alla Società Confuciana sono di ben diverso calibro dai membri delle altre società citate; questa è per eccellenza la corporazione dei funzionari, dei letterati che chiamiamo ‘mandarini’, e degli studenti superiori. Nella sua forma presente essa data dalla dinastia Tang, quando ‘I Tre del Giardino dei Peschi’ per fedeltà agli Han e ai Liu, furono chiamati Han Liu».

Più avanti queste allusioni diverranno chiare. Per ora, basti notare l’associazione di una rivolta misoneista e xenofoba - opposta dunque allo spirito Hung, incarnato da Sun Yat Sen - con la parola «Han». I capi della Railway League, mandarini confuciani, erano anch’essi chiamati Han Liu. Non sfuggirà l’abilità di questa stretta cerchia di intellettuali immobilisti di mobilitare, per uno scopo oscurantista, gli strati marginali, il sottoproletariato, la feccia criminale della sconvolta società cinese: un modello «rivoluzionario» che precorre quello del bolscevismo, e che sarà portato a perfezione da Mao.

L’analogia è accentuata dal fatto che la Railway League, dopo che i suoi briganti ebbero devastato per anni lo Kwan Hasien, alla caduta della dinastia Manchu si affrettò a proclamarvi un governo separatista, che rifiutava di riconoscersi nel programma illuminista di Sun Yat Sen. La «Repubblica Han» - cosi si chiamò - distribuì decorazioni a molti delinquenti comuni «per servizi resi al Paese», e assunse i capi delle bande criminali come alti e onorati funzionari del suo governo. Gli Han Liu, i mandarini confuciani, restarono dietro le quinte pur controllando tutto con l’emanazione di minuziose, paralizzanti normative; i criminali gestirono il potere secondo la loro inclinazione. I benestanti della regione furono spietatamente spogliati dal nuovo potere, ma anche i poveri furono angariati e sottoposti ad ogni sorta di arbitrio, fino a provocare uno spopolamento dei terreni agricoli e, di conseguenza, la fame.

Come diceva il popolino, sotto quel governo non c’era istanza di appello contro le vessazioni perché «la rapina avveniva in accordo alla legge». Era una buona descrizione, fatta con un ventennio d’anticipo, di ciò che Lenin avrebbe definito l’essenza della dittatura del proletariato: «Un potere non limitato da alcuna legge».

Il partito repubblicano, ossia il Kuomintang, provò a sradicare il bubbone in un modo caratteristicamente taoista, tentando di piegare l’albero giovane anziché sradicarlo. Fondò una nuova confraternita, l’«Associazione della Cina Occidentale», in cui erano invitati ad entrare i membri della Railway League: gli elementi più compromessi con il passato erano rigettati, gli altri - i più «puliti» - diventavano soci del nuovo gruppo. Alle personalità più importanti venne data una targhetta d’argento che segnalava l’appartenenza alla nuova società e ne rivelava obliquamente il loro coinvolgimento alla vecchia.

Proprio gli Han Liu, gli intellettuali confuciani, rifiutarono di venire cosi mitemente riformati: «Fedeli a se stessi», commenta Hutson (ossia al loro immobilismo), rientrarono nella clandestinità. La loro Società Confuciana fu dichiarata illegale come tutte le altre (anche l’Associazione della Cina Occidentale dovette fondere le sue targhette e annullarsi). Nondimeno, rimase intatta la rete che consentiva loro di esercitare un potere occulto, attraverso la paura, quasi in ogni casa e in vasti strati della società, non esclusi i funzionari legittimi: essi avrebbero potuto dire di sé quello che Mao avrebbe detto dei rivoluzionari, capaci di vivere nella società «come i pesci nuotano nell’acqua».

Certo, fenomeni come questo potevano essere spiegati - come ben sapevano i colonialisti britannici - come «un sintomo della condizione patologica prodotta nelle comunità etniche tradizionali dall’improvvisa tensione culturale a cui le sottoponeva la potente, pervasiva pressione dell’influsso europeo». Quel potere brutale - particolarmente malvagio nella Cina invasa dall’oppio inglese - eppure supremamente tecnico ed efficiente, sconvolgeva fino alla radice le più profonde certezze dei letterati confuciani. Per secoli, costoro - i custodi dell’impareggiabile cultura cinese, superiore a tutte - s’erano abituati ad identificare qualunque straniero con «l’inferiore culturale»: definizione, curioso a dirsi, accettata dai vicini dell’Impero del Centro e suoi occasionali invasori - tartari, coreani e giapponesi. Invece i diavoli bianchi erano insieme certissimamente barbari e «superiori» in un modo incomprensibile, che non poteva essere attribuito solo alla loro potenza militare, alle loro macchine, ai loro cannoni e ferrovie.

Davanti alla loro invincibile, oltraggiosa sicurezza, i rappresentanti dell’Impero del Centro, i superatori dei difficilissimi esami di Stato imperiali, i cultori sottili degli ideogrammi e dell’immobile sapienza in essi contenuta, sperimentavano la più sconvolgente crisi d’identità, quella che in Cina si riassume nel termine «perdere la faccia». Misoneismo e xenofobia erano reazioni
ovvie, in queste circostanze. Gli inglesi inoltre, dalle loro esperienze coloniali, sapevano che lo stress culturale imposto ai popoli tradizionali comportava anche il sorgere fra loro di società segrete difensive, dove riaffioravano culti magici e arcaici caratteristici (tipica, la credenza in formule e incantamenti capaci di assicurare l’invulnerabilità contro le armi da fuoco dei bianchi), prima condivisi solo da strati inferiori, marginali e arcaici della società tradizionale; e spesso, queste associazioni assumevano la forma di «gruppi sedicenti cristiani, indipendenti dal controllo dei bianchi, che denunciano insieme l’influsso culturale europeo e l’atteggiamento anti-europeo».

Talvolta in tali gruppi, il cosiddetto cristianesimo si riduceva a un «culto di Satana», inteso come spirito di rivolta contro la legge dei bianchi.

In Cina ci fu tutto questo. Ma la tensione anti-occidentale interferiva con una più antica lotta in corso, quella a cui alludevano «due draghi che si contendono la perla» sulla spada leggendaria di cui parlava la Lega Hung. La rivolta dei Taiping fu segnata da questa interferenza.

(Continua)



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La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
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