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I dunmeh a Washington, spaventati da Erdogan
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Il titolo della notizia, come la dà Reseau Voltaire, è più esplicito: «La lobby israeliana si appella al Congresso USA perchè blocchi il processo Ergenekon in Turchia» (1).

«Ergenekon» è l’organizzazione militare riservata nota come la Gladio turca: una delle reti «stay behind» installate dalla NATO nei Paesi dell’Alleanza, con lo scopo iniziale di condurre la guerra clandestina in caso di avvento al potere dei comunisti, e più in generale di mantenere quei Paesi nell’area dell’impero americano. Col tempo, queste reti hanno interpretato i loro compiti in modo, come dire?, molto più vasto e creativo: attentati false flag, colpi di Stato per mettere al potere «governi forti di centro», azioni clandestine su ordine CIA, o anche senza ordini, nello spirito atlantico.

Da mesi in Turchia  è in corso un processo che vede arrestati ex-generali e dirigenti di polizia, oltre ricchi personaggi civili, accusati di essere membri di Ergenekon, e di aver tramato un tentato colpo di Stato per rovesciare il governo del premier Erdogan, e sostituirlo con una giunta militare. Le giunte sono ricorrenze storiche nella Turchia moderna fin dal putsch che portò al governo e alla dittatura di Ataturk: ma al contrario dei golpe che avvengono in qualunque altro Paese, i putsch turchi vengono di solito salutati dai media europei e americani con favore, in quanto «in Turchia l’esercito è il garante della laicità».

Questa frase in codice allude al fatto che gli alti gradi militari turchi sono per lo più «dunmeh», ossia discendenti dei seguaci del falso messia Sabbatai Zevi, che nel 1666, sull’esempio del loro messia, si convertirono apparentemente all’Islam, mantenendo però segreti culti ebraici, a volte aberranti (2). Due secoli dopo, questa comunità assunse un laicismo radicale anti-musulmano, ispirato dalla Massoneria italiana e francese, governando il Paese con pugno di ferro; i militari da allora, quando non hanno preso direttamente il potere, hanno «sorvegliato» la democrazia turca, stroncando ogni partito che facesse riferimento alla fede popolare: il partito di Erdogan è stato oggetto continuo di questa persecuzione.

Nonostante ciò, Erdogan ha vinto le elezioni. Lo sventato golpe di Ergenekon, e la messa sotto indagine dell’organizzazione segreta, rischia di svelare ben più che il golpismo storico e massonico dei militari; rischia di gettare piena luce sul potere occulto che i cripto-giudei dunmeh esercitano da quasi un secolo sul Paese.

Per esempio, le indagini hanno rivelato stretti legami di Ergenekon con il Mossad: l’uomo-chiave di collegamento, il rabbino Tuncay Guney (3), si è sottratto all’inchiesta con la latitanza (vive ora, pare, in Canada). Si sospetta che Ergenekon sia il mandante dell’assassinio del missionario italiano don Andrea Santoro, un prete ucciso nel 2006 a Trebisonda, attentato ovviamente attribuito a «terroristi islamici». Un movimento fondamentalista accusato di vari attentati e stragi, Hizb ut-Tahrir (che proclama di voler instaurare «il califfato»), s’è scoperto essere una creazione di alti gradi di Ergenekon; il capo dell’organizzazione islamica, un individuo noto come «Cemalettin B.», impartisce i suoi ordini da Israele, dove risiede.

Proprio nei giorni scorsi, il patriarca Bartolomeo, primate della chiesa ortodossa turca a Costantinopoli, ha dichiarato che gli assassinii dei religiosi dimostrano la volontà da parte di «forze clandestine» di «usare le minoranze non musulmane del Paese per delegittimare il governo in carica» (4): insomma ha descitto una strategia della tensione, in cui gli assassinii di preti sarebbero degli attentati false flag.

Per i «laici» turchi il pericolo è estremo. Come hanno reagito?

Il 18 novembre scorso, sono andati a parlare al Congresso USA chiedendo agli americani, nè più nè meno, di «bloccare il processo ad Erghenekon», facendo le dovute pressioni sul governo Erdogan. Ergenekon non esiste, hanno spiegato i delegati turchi-dunmeh ai senatori USA; si tratta di «un mito creato dal governo islamista di Erdogan per screditare il generale Mehmet Yasar Buyukanit», il capo di Stato Maggiore, un laicissimo dunmeh, «e gli ufficiali filo-americani che lo sostengono», onde «instaurare uno Stato islamico» in Turchia.

I delegati hanno però avvertito gli americani a non fare aperte pressioni, perchè questo alimenterebbe «le teorie complottiste» che già circolano in Turchia, secondo cui la NATO avrebbe instaurato una «Stato segreto» che da decenni governa le pubbliche istituzioni e manipola la democrazia nel Paese.

Questo seminario ai parlamentari USA è stato organizzato da una lobby chiamata «ARI Foundation», con sede a Washington, il cui scopo dichiarato è «promuovere i buoni rapporti tra Washington ed Ankara». Interessante fondazione: ad esaminarla da vicino, si ottiene una visione molto chiara dei modi di azione dietro le quinte della nota lobby. La ARI ha una filiale ad Istanbul (ARI Movement) ed una (ovviamente) a Bruxelles, presso la UE: ARI Europe Association. Pubblica un periodico in inglese, il Turkish Policy Quarterly. Fra i dirigenti di questa rivista figurano interessanti figure di primo piano (5). Quali?

Primo nella lista è Morton Abramowitz, un noto ebreo-americano, già ambasciatore in Turchia e dirigente del Carnegie Endowment for International Peace, una «fondazione culturale» che ha promosso molte rivoluzioni colorate per conto del Dipartimento di Stato (6).

Alexander Adler, ebreo-francese, membro del Conseil Répresentatif des intitutions Juives (CRIF) a Parigi: storico e giornalista, esponente in gioventù del Partito Comunista Francese su posizioni maoiste, ma oggi (parole sue) «vicino alle posizioni dei neoconservatori USA».

Altri membri della ARI sono:

Heinz Kramer, un esponente dell’ebraismo in Germania, politologo. Alan Makovsky, membro di primo piano del Washington Institute for Near East Policy (WINEP), noto altoparlante in USA della propaganda israeliana: Makovsky si è occupato della questione curda, e sostiene che l’invasione turca dell’Iraq del nord per debellare il PKK «ha danneggiato la possibilità della Turchia di diventare membro a pieno titolo dell’Unione Europea». Carl Bildt, ex primo ministro svedese e noto mondialista. Anthony Giddens, studioso britannico, allievo di Norbert Elias, ispiratore delle politiche internazionali di Tony Blair. L’ambasciatore Nelson Ledsky, un alto funzionario ebreo-americano che – secondo le sue parole – «è stato impegnato ad organizzare partiti e organizzazioni civiche in Russia, Ucraina, Armenia, Georgia, Azerbaijan, Turchia, Kazakhstan e Kirghizistan», insomma ad innescare rivoluzioni colorate per il Dipartimento di Stato. Eccetera.

Nella direzione della ARI figurano, beninteso, anche nomi turchi: alcuni che rivelano l’origine dumneh, come «Kemal Dervis», già ministro economico dei «laicissimi» governi precedenti, e Suleiman Demirel, ex presidente turco di infinite giunte militari.

E chi scrive sulla rivista della ARI, l’autorevole Turkish Policy Quarterly? Troviamo personalità come Dominique Strauss-Khan, Eric Edelman (ambasciatore USA in Turchia), Alejo Vidal Quadras, un ebreo spagnolo che è europarlamentare... nonchè – tenetevi forte – il celebre Richard Perle, membro permanente dell’American Enterprise Institute, la «fondazione culturale» a cui si devono le invasioni di Iraq e Afghanistan. Richard Perle era al Pentagono l’11 settembre, insieme ai tre vice-ministri isaeliani Paul Wolfowitz, Douglas Feith e il rabbino Dov Zakheim, che se ne andarono un anno dopo, a «missione compiuta».

Insomma è chiaro: sotto altro nome, la ARI Foundation non è che uno dei tanti bracci della nota lobby. Creata all’indomani dell’11 settembre per promuovere «il nuovo secolo americano» anche in Turchia, è strettamente collegata con l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) e al JINSA (Jewish Insitute for National Security Affairs), la potente centrale di congiunzione fra i militari israeliani e il complesso militare-industriale  americano.

Ma ci sono dei turchi nella ARI? Sì. Il direttore della ARI si chiama Yurter Ozcan: che abita a Washington, ed è stipendiato dal già citato WINEP, Washington Institute for Near East Policy, altoparlante di Israele. Certamente un prestanome, probabilmente  un dumneh.

Ma non è stato il presunto-turco Ozcan ad istruire i parlamentari americani nel seminario del 18 novembre. La relazione è stata tenuta da Gareth Jenkins, un giornalista britannico, che ha intitolato la sua lezione «Tra realtà e fantasia: l’indagine Ergenekon». Jenkins è collegato con la «Paul Nitze School of Advanced International Studies» (7), un istituto finanziati da ricchi ebrei interno alla John Hopkins University.

E’ stato Jenkins a spiegare che Ergenekon, la Gladio turca, è una «fantasia», inventata dal governo Erdogan per screditare gli alti gradi militari del Paese e distruggere l’opposizione laica al governo islamista. Le inchieste in corso, ha detto testualmente, sono così raffazzonate, che «la Turchia ha perso l’occasione di avere la sua Mani Pulite»: lasciando intendere quali furono i veri ispiratori della grande inchiesta giudiziaria italiana che decapitò la DC e il PSI, per salvare Gladio.

E’ stato Jenkins a consigliare il governo USA a premere sui turchi perchè il processo Ergenekon venga bloccato; ma non in modo aperto per non alimentare «teorie del complotto» di cui la Turchia è fin troppo piena, bensì «dietro porte chiuse». E non facendo pressioni direttamente su Erdogan, «un carattere irascibile», bensì su elementi delle istituzioni «più in grado di ascoltare» i consigli. Jenkins ha concluso di essere molto preoccupato «per il futuro della democrazia in Turchia».

Da quando  Erdogan ha denunciato le atrocità israeliane a Gaza, praticamente rompendo le relazioni con Israele, egli ha mostrato evidenti «tendenze autoritarie».

Fra i presenti, si è notato il senatore e candidato presidenziale sconfitto John McCain, a fianco di Anthony Blinken, consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, il vice-presidente democratico in carica. Questo Blinken è un membro attivissimo della ARI Foundation, la pretesa lobby «turca laica».

Dobbiamo dunque attenderci una prossima «rivoluzione colorata» per instaurare ad Ankara la democrazia minacciata dall’«islamista» Erdogan?




1) Thierry Meyssan, «Le lobby israélien en appelle au Congrès US pour stopper le procès Ergenekon en Turquie», Réseau Voltaire, 20 novembre 2009.
2) Si veda il mio «Cronache dell’Anticristo», EFFEDIEFFE.
3) Su questo rocambolesco personaggio si veda la voce che lo riguarda su Wikipedia. «Güney says he comes from a Jewish family that descends from Egypt, and that they practiced their faith in secret (crypto-Judaism); http://en.wikipedia.org/wiki/Tuncay_G%C3%BCney - cite_note-kissinger-71; he is now rabbi «Daniel Levi» at the Jacob’s House («B’nai Yakov» in Hebrew) Jewish Community Center».
4) Yasemin Budak, «Plotters planned to overthrow government by using us, says Bartholomew»,
Zaman, 26 novembre 2009. Il patriarca Bartolomeo regna sulla minoranza greca in Turchia, ed è l’autorità riconosciuta per 300 milioni di greco-ortodossi nel mondo.
5) Si veda il sito dell’ARI, http://www.arifoundation.org/about.html
6) Diana Johnstone, nel  suo saggio sulla «crociata» di Bush col pretesto dell’11 settembre ( «Fool’s Crusade», Pluto Press, 2002, pagina 9) descrive così questo personaggio: «Abramowitz continued to act from behind the scenes as an eminence grise for ) Secretary of State)Albright. He helped found the high-level International Crisis Group, a chief policy designer fro Bosnia and Kosovo. He was omnipresent behind the scenes of the Kosovo drama, both in making policy and in shaping elite business, government, and media opinion. He acted as an advisor to the Kosovo Albanian delegation at the Rambouillet talks, whose programmed breakdown provided the pretext for NATO bombing».
7) Paul Nitze (scomparso nel 2004) è stato un alto diplomatico e politico ebreo, sottosegretario di Stato, che ha forgiato per quarant’anni la politica di Washington verso l’Unione Sovietica, lanciando allarmi infondati sulla presunta superiorità militare atomica dell’URSS. Un falco, un precursore dei neocon.


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