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Lo Stato d'Israele risarcisce l'ONU!
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Lo Stato d’Israele ha deciso di risarcire l’ONU con 10 milioni di dollari per gli edifici gestiti dalle  Nazioni Unite e bombardati durante l’attacco a Gaza nel dicembre 2008-gennaio 2009. Lo rivela Yedioth Aharonot (in ebraico), precisando che il ministro della Difesa Ehud Barak ha informato del risarcimento il segretario Ban ki-Moon, «benché (Israele) non abbia volontariamente preso di mira quegli edifici». E’ la prima volta che il regime israeliano risarcisce qualcosa a qualcuno. (Israel To Pay 10 M. In Compensation To The UN)

Nell’attacco a Gaza del gennaio 2009 (22 giorni di fuoco, 1.600 morti e 6 mila feriti gravi) due carri armati israeliani cannoneggiarono la scuola che l’ONU aveva aperto nel campo-profughi di Jabaliya, presso Gaza City; vi si erano rifugiati centinaia di palestinesi terrorizzati, nel disperato tentativo di salvarsi dai bombardamenti sotto un edificio, chiaramente identificato sul tetto dal simbolo dell’ONU: 42 i morti. Poche ore prima, era stata distrutta a cannonate anche la scuola Ash-Shouka, che l’ONU gestiva a Rafah, nella parte meridionale della Striscia. Bombardata con bombe al fosforo anche la sede centrale dell’agenzia ONU per i Rifugiati (UNRWA), il cui magazzino con tutti i materiali di soccorso e i sacchi di riso, granaglie ed altri  alimenti d’emergenza era stato distrutto dall’incendio; personale locale delle Nazioni Unite era stato ferito. L’ONU stessa aveva diramato le foto che documentano la distruzione.



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Il responsabile dell’UNRWA a Gaza, John Ging, aveva dichiarato allora: «Eppure prima del conflitto in corso avevamo fornito alle autorità israeliane le coordinate GPS di tutte le nostre installazioni a Gaza, scuole comprese». Persino Barak Obama aveva rotto giorni di silenzio sull’attacco con una dichiarazione: «La perdita di vite civili a Gaza e in Israele è per me fonte di profonda preoccupazione». Subito dopo la portavoce della Casa Bianca Dana Perino aveva precisato: «Non abbiamo informazioni sul fatto (l’uccisione di 42 rifugiati nella scuola). Non dobbiamo saltare a conclusioni affrettate e vedere cosa diranno le prove. Quel che sappiamo è che Hamas si nasconde spesso dietro innocenti e usa gente innocente, bambini compresi, come scudi umani». Nessuna conclusione affrettata, in questo caso.

Le conclusioni le raggiunse mesi dopo il Rapporto Goldstone commissionato dalle Nazioni Unite, così sunteggiate da Amnesty International (http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2565):

Le forze israeliane hanno commesso violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario corrispondenti a crimini di guerra e, in alcuni casi, anche a crimini contro l’umanità. In particolare, le indagini su numerosi attacchi contro la popolazione civile od obiettivi civili hanno rivelato che questi sono stati intenzionali e che alcuni sono stati lanciati al fine di spargere il terrore tra la popolazione e senza alcun giustificabile obiettivo militare. Le forze israeliane hanno inoltre usato civili palestinesi come scudi umani;

Le forze israeliane hanno commesso gravi violazioni della IV Convenzione di Ginevra, in particolare compiendo uccisioni, torture e trattamenti inumani con intenzioni dolose, procurando volutamente gravi sofferenze e gravi danni fisici e alla salute, causando vaste distruzioni di proprietà non giustificate da necessità militari, in modo illegale e sconsiderato. Per queste azioni vanno accertate le responsabilità individuali;

Israele ha violato l’obbligo di rispettare il diritto della popolazione di Gaza a un adeguato standard di vita, che comprende l’accesso a cibo, acqua e alloggio adeguati. Il rapporto fa riferimento, in particolare, ad azioni che hanno privato gli abitanti di Gaza dei mezzi di sostentamento, del lavoro, dell’abitazione, dell’acqua, nonché della libertà di movimento e del diritto di entrare e uscire dal proprio Paese e, infine, che hanno limitato l’accesso a un rimedio efficace. L’insieme di queste azioni può corrispondere al crimine di persecuzione, che è un crimine contro l’umanità;

I gruppi armati palestinesi hanno violato il principio di distinzione lanciando razzi e mortai che non possono essere diretti con sufficiente precisione contro obiettivi militari. Questi attacchi, contro insediamenti civili che in alcun modo potevano essere considerati obiettivi militari, costituiscono deliberati attacchi contro i civili, in quanto tali sono crimini di guerra e in alcuni casi possono costituire crimini contro l’umanità;

I gruppi armati palestinesi non hanno sempre agito in modo tale da distinguersi dalla popolazione civile e hanno esposto quest’ultima a rischi inutili, lanciando razzi da luoghi situati vicino ad abitazioni civili o a edifici protetti;

La Missione di accertamento dei fatti non ha rinvenuto prove sul fatto che i gruppi armati palestinesi abbiano trasferito la popolazione civile verso zone poi sottoposte agli attacchi israeliani o che l’abbiano costretta a rimanere nei pressi, né sul fatto che le strutture ospedaliere siano state usate dall’Amministrazione de facto di Hamas o dai gruppi armati palestinesi per nascondere attività militari, né che le ambulanze siano state usate per trasportare combattenti né, infine, che i gruppi armati palestinesi abbiano preso parte ad attività militari dall’interno degli ospedali o delle strutture delle Nazioni Unite usate come rifugi».


Benchè Israele abbia mobilitato tutti i suoi mezzi di propaganda e di pressione internazionali contro il Rapporto Goldstone, l’impresa è riuscita solo a metà. Evitato l’esame del Consiglio di Sicurezza (col veto americano), il rapporto è stato accettato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 5 novembre 2009 con 114 voti a favore, 18 contro e 44 astenuti. In base alla risoluzione dell’Assemblea Generale, Israele ed Hamas devono condurre una propria credibile inchiesta interna sui crimini di cui sono stati accusati; se entro sei mesi Israele non la presenta, il caso può essere portato davanti al Tribunale Penale Internazionale: una eventualità che Netanyahu ha paragonato, per pericolosità, alla «minaccia nucleare iraniana».

L’operazione di pressione continua, e dunque non è probabile che i capi israeliani finiscano davvero davanti al Tribunale. Ma il rapporto Goldstone sta comunque provocando una rivoluzione psicologica  nell’atteggiamento delle opinioni pubbliche più informate e di alcuni leader europei.

In nessun luogo questo cambiamento è più evidente che in Germania, dove ogni critica ad Israele soleva essere tabù. Gerhard Fulda, un diplomatico oggi esponente della Società Germano-Araba, in agosto ha levato alta la voce sull’annessione dei territori nel Golan, a Gerusalemme, in Cisgiordania occupata, definendoli «illegali». Fulda ha chiesto all’Europa di smettere di impegnare periodicamente fondi per ricostruire le infrastrutture civili a Gaza distrutte da Israele, sapendo che quelle infrastrutture saranno di nuovo distrutte il prossimo conflitto. Fulda ha anche denunciato l’uso israeliano di ribattezzare località palestinesi con nomi tratti dall’Antico Testamento, usando parole inaudite: «A nostro parere, non si possono accettare pretese territoriali basate su motivi religiosi. La fede ebraica non è al disopra del diritto internazionale». (Gaza One Year After. The World Has Changed)

Ancora più straordinaria è stata la decisione di tradurre il voluminoso Rapporto Goldstone in tedesco: e che ad assumersi il compito sia il gruppo editoriale «Semit», una rivista bimestrale di ebrei tedeschi decisi a distanziarsi dalle politiche di Israele, e dunque di farsi rappresentare dall’ente «ufficiale» ebraico, «Zentralrat der Juden in Deutschland», che accusano di essere semplicemente l’altoparlante degli estremisti al governo in Israele. Abraham Melzer, editore e direttore di «Semit»,  si propone di far avere la traduzione del Rapporto (quasi 600 pagine) a tutti i parlamentari del Bundestag e agli uffici governativi.

La rivista di Melzer ospita una sorta di forum permanente di voci tedesche (ebree o no) che riconoscono la necessità di liberare le istituzioni tedesche dai «meccanismi psicologici di controllo nati dalla tragedia della Seconda Guerra mondiale». E’ stato pubblicato in tedesco il libro di Avraham Burg, già presidente della Knesset ed oggi aspro critico delle politiche israeliane,  significativo fin dal titolo: «Hitler Besiegen: Warum Israel sich endlich vom Holocaust loesen muss», ossia: «Sconfiggere Hitler – L’Olocausto è finito. Dobbiamo risorgere dalle ceneri», in cui argomenta che l’ossessione olicaustica è diventata una palla al piede per Israele, il mondo ebraico in genere, e la Germania: Israele ha dunque bisogno di una nuova identità. Inviato a parlare a Francoforte Burg ha rincarato: il sionismo è compiuto, dunque è ora di andare «oltre il sionismo».

E’ stato pubblicato anche un saggio del grande giornalista israeliano Ilan Pappe, «Die etnische Saeuberung Palaestinas», ossia «La pulizia etnica della Palestina», un’opera storica sui massacri e le espulsioni di massa avvenuti nel 1947-48 sotto Ben Gurion. Quando Pappe è stato invitato a parlare a Monaco il 23 ottobre scorso, la «comunità» s’è mobilitata per farlo tacere: la Deutsch-Israelische Gesellschaft di Monaco ha chiesto ufficialmente al Comune di negare la sala al traditore; il comune ha prontamente obbedito, ma la conferenza, affollatissima, s’è tenuta in una sala privata.

Uguali ripercussioni si notano nel mondo ebraico americano: «Israele è il solo regime di apartheid del mondo occidentale», ha scritto su The Nation Henry Siegman. E non si tratta di un «antisemita»: Siegman è stato dal 1978 al ‘94 direttore esecutivo dell’American Jewish Congress.

«L’insaziabile tendenza di Israele a creare fatti compiuti sul terreno», scrive Siegman, «è riuscita ad assicurare un processo coloniale irreversibile. Come conseguenza di questo “successo”, a lungo perseguito da successivi governi israeliani allo scopo di rendere impossibile la soluzione a due Stati, Israele ha varcato il limite di “sola democrazia del Medio Oriente” per diventare il solo regime di apartheid nel mondo occidentale».

Continua Siegman: «Quando Olmert ha detto che Israele diverrà uno Stato di apartheid il giorno in cui la popolazione araba nel Grande Israele supererà quella ebraica, ha sbagliato in un aspetto. La proporzione relativa delle popolazioni non è il fattore decisivo in questa transizione. Il punto di non ritorno si raggiunge quando uno Stato nega l’auto-determinazione nazionale ad una parte della sua popolazione (anche se sia una minoranza) alla quale d’altro canto nega anche i diritti di cittadinanza. Quando diventa permanente il rifiuto di uno Stato di riconoscere diritti individuali e nazionali ad una vasta parte della sua popolazione, quello Stato cessa di essere una democrazia. Quando il motivo di questa doppia spoliazione di diritti è l’identità etnica e religiosa della popolazione, quello Stato pratica una forma di apartheid, o razzismo, non molto diverso da quello del Sudafrica fra il 1948 e il 1994. Le prerogative democratiche che Israele riconosce ai suoi cittadini ebrei non cambia questo carattere. Per definizione, una democrazia riservata a cittadini privilegiati, mente tutti gli altri sono tenuti a bada dietro posti di blocco, filo spinato e muri di separazione guardati dall’esercito – non è una democrazia, ma il suo contrario».

Non che questi segnali stiano cambiando i comportamenti del regime. L’8 gennaio scorso squadre di F-16 con la stella di David hanno bombardato di nuovo con missili Arial la Striscia di Gaza, apparentemente per distruggere i tunnel scavati dai palestinesi verso l’Egitto, solo loro canale di rifornimenti essenziali, con l’aiuto dell’Egitto: per solo questo nuovo Muro, Israele spenderà 1,5 miliardi di dollari (occorrono lastre d’acciaio da affondare a 30 metri di profondità, onde bloccare le gallerie). Gli attacchi, avvenuti in una zona densamente abitata, hanno fatto almeno 4 morti. Il giorno prima, aerei israeliani hanno di nuovo violato lo spazio aereo del Libano – sopra la testa delle forze ONU d’interposizione (Unifil) – sparando su zone nei pressi del confine israelo-libanese, le alture del Golan siriane, le fattorie Sheba. Come al solito, il governo Obama ha regalato 800 milioni di dollari in armamenti e munizioni, che ha «posizionato in Israele» dando ad Israele il diritto di «usarli in caso di emergenza».

Continua impeterrita la costruzione di insediamenti illegali negli abitati palestinesi, il taglio degli olivi arabi; continuano le impunite angherie quotidiane del «coloni». La pulizia etnica, se possibile, si accelera e si aggrava: l’Autorità Israeliana di Occupazione ha decretato che tutti i palestinesi che vivono a Gerusalemme, fuori del Muro che isola Gerusalemme Est dai Territori Occupati, non saranno più considerati residenti nella città santa: sono almeno 50 mila persone.

Le centrali di propaganda sono istruite a battere la grancassa come sempre, sostenendo che il rapporto Goldstone toglie ad Israele, anzi a tutto il mondo libero, il diritto di difendersi dai terroristi (1).

Però un certo nervosismo, una certa insicurezza, si sparge. Ne è indice un fatto curioso avvenuto a Parigi. Nei giorni scorsi, il ministero della Giustizia e il ministero degli Esteri di Sarkozy hanno deciso di costituire un «polo genocidio e crimini contro l’umanità» presso il Tribunale di Grande Instance (TG1) di Parigi perchè – come recita pomposamente il comunicato ministeriale «le vittime della barbarie umana hanno il diritto di vedere i loro carnefici perseguiti e condannati. L’umanità ha il diritto di difendersi contro l’oblio. La Francia, patria dei diritti dell’uomo, non sarà mai un santuario per gli autori di genocidii, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. La creazione di un ufficio “genocidi e crimini contro l’umanità” presso il Tribunale di Grande Istanza di Parigi riafferma la volontà francese di lottare senza debolezze contro la loro impunità» (Le Monde, 6 gennaio 2010).

Questo comunicato ha suscitato una terribile preoccupazione nel CRIF, il Comitè Répresentatif des Innstitutions Jouives de France, che ha subito chiesto spiegazioni in alto loco.

Il risultato viene riportato con toni trionfali dal bollettino del CRIF in prima pagina:



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Vale la pena di  tradurre l’incipit del comunicato:

«In seguito all’annuncio di un progetto di legge che prevede la messa in opera di un polo genocidio e crimini contro l’umanità al Tribunale di Grande Istanza di Parigi, il CRIF ha immediatamente preso contatto con il ministero della Giustizia. Gli uffici del guardasigilli hanno rassicurato il CRIF specificando che questo progetto non ha alcun legame con il Medio Oriente. Si tratterà, ha precisato Place Vendome, di razionalizzare le procedure d’inchiesta riguardanti i responsabili del… Ruanda».

Che sollievo! Credevano che parlassero di loro, invece parlavano dei boia ruandesi. Che paura però,  all’inizio... E che coda di paglia.




1) In tale operazione non poteva non brillare Fiamma Nirenstein. Ecco il sobrio e moderato giudizio che la deputata israeliana alla Camera ha dato del Rapporto Goldstone sul Giornale («E’ il palestinismo la vera malattia dell’ONU», 17 settembre 2009):

«La relazione della commissione Goldstone non mostra alcun interesse per la verità, ma solo per l’ennesima criminalizzazione di Israele. E stabilisce un principio: bisogna arrendersi ai terroristi che colpiscono i civili. La relazione della commissione Goldstone sull’operazione «Piombo fuso» è un pericolo per tutti noi. E’, nero su bianco, il proclama che stabilisce che bisogna arrendersi di fronte al terrorismo sistematico che colpisce e usa i civili. Se si dà una rapida occhiata alle 575 pagine prodotte per stabilire che cosa è accaduto a Gaza nella guerra del 2008-2009, si vede che la commissione istituita dall’ONU non ha avuto alcun interesse alla verità, ma solo alla ennesima criminalizzazione di Israele: l’ONU incarna qui, ancora una volta, un esempio del palestinismo moralista che sfrutta, in funzione della delegittimazione antioccidentale, i sensi di colpa del mondo contemporaneo e cerca, nella pratica immediata, la morte civile e fisica dello Stato ebraico. L’ONU dedica ogni anno due terzi delle sue risoluzioni sui diritti umani alla condanna di Israele; la sua assemblea, dove sono già risuonati i discorsi antisemiti del presidente Ahmadinejad, adesso procede con una versione flautata, quella del giudice Goldstone, e niente di meglio che sia un ebreo con una figlia che vive in Israele. Andiamo per ordine. Israele attaccò solo perché messo all’angolo da tredicimila missili caduti sul suo territorio dal 2000 e nonostante le mille richieste all’ONU di fermare Hamas dopo che aveva interamente sgomberato Gaza. L’organizzazione terrorista finanziata dall’Iran, devota alla distruzione di tutti gli ebrei del mondo, proseguì però nei suoi lanci. Le richieste di Israele all’ONU ottennero uno sbadiglio simile a quello che Goldstone ha dedicato al cittadino di Sderot David Bedein quando è andato alla seduta del Comitato per testimoniare le sofferenze della gente del suo Paese. In secondo luogo, il richiamo continuo alla legge internazionale che si fa in tutto il rapporto, delle cui bugie ci occuperemo fra un momento, ignora i crimini di Hamas, non mettendo in relazione la guerra col bombardamento cui ha sottoposto Israele. Solo Israele è sotto accusa e lo era fin dall’inizio, tanto che persino personaggi antisraeliani come Mary Robinson, commissaria ONU organizzatrice della Conferenza di Durban del 2001, hanno rifiutato di partecipare al comitato ritenendolo «non equilibrato». E’ evidente invece che i principali violatori della Convenzione di Ginevra sono coloro che combattono sparando sui civili, usando strategicamente come scudo umano fisso le proprie donne e i propri bambini e travestendo i propri combattenti coi panni dei civili. Hamas, dunque. Insomma, Goldstone non risponde alla domanda del mondo contemporaneo su come combattere al di là della convenzione di Ginevra in situazioni, per esempio, come quelle descritte da noti inviati, in cui la gente terrorizzata veniva obbligata a proteggere gli uomini di Hamas restando prigioniera per far loro scudo nelle proprie case, nelle scuole, negli ospedali, nelle ambulanze. Goldstone condanna Israele per aver combattuto in una situazione di grande difficoltà in cui erano in gioco i civili, e dimentica che il quartier generale di Hamas era situato nei sotterranei dell’Ospedale Shiba, e che Israele non l’ha toccato benché ne facessero un uso cinico. Da chi ha ricavato le proprie informazioni Goldstone, che accusa Israele di aver colpito volontariamente i civili e di aver fatto fra i 1.200 e i 1.400 morti? E sono verificabili? La risposta è che il rapporto è pieno di bugie consapevoli. (Niente di meglio dunque per Israele che sottoporsi al processo internazionale, e difenderi dimostrando che sonotutte bugie inverificabili, ndr). La commissione era già formata in origine da personaggi come la professoressa di Diritto Christine Chinkin che, prima dell’inchiesta, aveva ‘rifiutato categoricamente’ il diritto di Israele all’autodifesa e che, sempre in anticipo, aveva dichiarato Israele ‘aggressore e perpetratore di crimini di guerra’. Se si va a guardare da vicino le fonti consultate, troviamo che molte non sono identificabili. Le altre, sono semplicemente le ONG antisraeliane più politicizzate: Betzelem e il Palestinian Center for Human Rights sono citate 70 volte, l’organizzazione palestinese Al Haq altre 30, e così via. L’assunzione che siano stati colpiti intenzionalmente luoghi e persone appartenenti al mondo civile, fa uso di errori fattuali: Abdullah Abdel Hamid Muamar, 22 anni, ucciso, viene definito dal Palestinian Center «uno studente», dunque un civile. Anche Human Rights Watch, un’altra delle fonti preferite, ne fa una vittima innocente, ma secondo una pubblicazione delle Brigate Al Qassam, Muamar era un membro di Hamas, e appare sul un website arabo mentre regge un missile Qassam. Secondo una ricerca dell’esercito israeliano, 564 morti erano membri armati di Hamas, 100 erano della Jihad Islamica; i membri del Fatah, pure presenti, non sono contati, e i poliziotti del regime di Hamas, categorizzati come civili, erano per l’84% parte del meccanismo di sicurezza di Hamas; fra loro, Muhammad el Dasuqi, un membro del Comitato della Resistenza, era per esempio probabilmente uno dei terroristi che attaccò un convoglio dell’ambasciata USA nel 2003. L’attacco alla scuola dell’ONU nel campo profughi di Jabaliya, che all’inizio fu indicato come una grande strage, fu poi smentito: la scuola, anche secondo fonti locali, non fu in realtà attaccata, l’esercito sparò a una struttura nei dintorni, dove si erano acquartierati i militanti di Hamas. In realtà, il Centro Interdisciplinare di Herzliya sostiene, secondo i dati riportati dal giornalista Ben Dror Yemini, che fra il 63% e il 75% dei colpiti sono stati uccisi perché erano coinvolti nella guerra. Erano circa 900 persone, e a questi vanno aggiunti, purtroppo, i civili usati come scudi umani. Hamas è il vero colpevole di crimini di guerra».

Fonte > http://fiammanirenstein.com/

Il 18 ottobre, dopo il voto dell’Aseemblea generale, la Nirenstein tornava all’attacco sul Giornale («Dall’ONU un bel regalo al terrorismo»):

«... adesso siamo tutti a rischio. Il voto che due giorni fa ha promosso il rapporto del giudice Goldstone che descrive a modo suo la guerra di Gaza per 575 pagine è, anche se siamo abituati al peggio quando si tratta di Israele, un amaro pasto che ci rimangeremo per i prossimi anni a tutte le latitudini in cui si presenti un conflitto non convenzionale; una guerra, cioè, in cui non siano due eserciti a fronteggiarsi, ma un esercito da una parte e dall’altra milizie fanatizzate e terroriste che ritengono loro diritto e, anzi, loro dovere fare uso della popolazione civile per condurre la loro guerra. Immaginiamo per esempio che in queste ore l’esercito pakistano nella sua offensiva anti-Al Qaida e anti-talebana, indispensabile per evitare che le bombe atomiche (90) di quel Paese finiscano all’estremismo islamico, sia regolato da norme che proibiscono categoricamente di affrontare il nemico se per caso si nasconde dentro strutture a uso civile, case, moschee, scuole. Immaginiamo che in Afghanistan sia impossibile, pena la condanna morale e anche penale, per gli USA, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, creare dei posti di blocco, magari fitti, e circondare un territorio così da impedire che ne escano terroristi carichi di esplosivo. Immaginiamo che tutto questo sia definito una patente violazione dei diritti umani, una persecuzione ‘volontaria’ della popolazione civile, proibita secondo la legge internazionale e quindi un reato da essere giudicato prima al Consiglio di Sicurezza e poi dal Tribunale internazionale dell’Aia, perché è questo l’iter che adesso dovrebbe compiere l’adozione della risoluzione di Goldstone, finendo per allineare sul banco degli imputati i militari israeliani. Figuriamoci anche che queste decisioni debbano basarsi sulle bugie preferite delle organizzazioni che professionalmente sono impegnate a distruggere Israele e a farne il nemico pubblico numero uno: questi sono i testimoni scelti da Goldstone per costruire il suo rapporto. E quindi le realtà che vi sono descritte sono semplicemente balle: per esempio, i testimoni negano sempre la presenza di combattenti di Hamas in certe zone, per spiegare che Israele ha sparato sulla gente. Ma proprio là, il sito stesso di Hamas si vanta della bella battaglia ingaggiata dai suoi. Il rapporto nega l’uso delle ambulanze per trasportare armi, l’uso come trincee degli edifici dell’ONU e di case private, come riferito da molti testimoni, nega che tutto lo Stato Maggiore di Hamas si fosse acquartierato sotto un ospedale, ignora l’uso delle moschee come depositi d’armi... Infine: nessuno venga più a dire che vuole la pace. Per stringere un accordo che cede territorio, Israele deve prendere rischi enormi in nome della sua gente, che, come hanno dimostrato i ritiri da Gaza e dal Libano, resta alla mercé dei missili del nemico. Se le si toglie il diritto a difendersi, come potrà farsi ancora più piccola a favore del nemico?».

Un’autodifesa così veemente che finisce per essere un’ammissione di colpa: la Nirenstein confferma che per Israele le Convenzioni di Ginevra (e in genere il diritto umanitario) sono carta straccia, e vuole che il mondo civile le cancelli, perchè altrimenti Israele non sa come «difendersi».
 



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