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Scomuniche fra rabbini
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Dal novembre scorso il Rabbinical Council of America (RCA), la più grande organizzazione nel mondo del rabbinato ortodosso, richiede ai suoi membri di firmare una dichiarazione dogmatica, adottata dalla RCA nella convenzione annuale del 1996.

La clausola recita così: «Alla luce di urtanti sviluppi sorti recentemente nella comunità ebraica, dichiaro che la seguente affermazione riflette la mia fede: Nel giudaismo non c’è e non ci sarà mai spazio per la credenza che Mashiach ben David (il Messia figlio di David) comincerà la sua missione solo per subire la morte, la sepoltura e la resurrezione prima di completarla».  (RCA Bans 'Messianic Rabbis')

Che cosa succede? Ebrei si stanno convertendo in massa alla fede in Gesù, conquistati dalle amorose parole di Benedetto XVI?

Non esattamente. L’altoltà del Rabbinical Council è diretto contro il movimento ultra-talmudico degli Chabad Lubavitcher; fra di loro serpeggia la credenza che il loro adorato rabbino Menachem Mendel Schneerson, benchè morto dal 1994, è pur sempre il Messia.



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Il Rebbe Schneerson prima della "resurrezione"



Nato nel 1902, Schneerson (per gli adepti semplicemente «the Rebbe»), dagli anni ’50 ha trasformato la sua piccola setta hassidica di famiglia (era il settimo dei rabbini Schneerson) in una potente multinazionale della fede, con reti di sinagoghe, tipografie e case editrici, scuole, centri comunitari, ostelli per la gioventù (come Nariman House a Bombay) e campi-scuola.

I suoi attivissimi membri si possono vedere nelle strade di New York mentre cercano di attrarre alla fede ebrei secolari con l’offerta di filatterii, libri di preghiere a scritti del Rebbe, come nei corridoi del Congresso o ricevuti alla Casa Bianca, dove sono ascoltati e temuti ed accendono ogni anno la Menorah.

Benchè promotori assoluti della diversità radicale degli ebrei dai goym, non limitano la loro predicazione ai loro confratelli etnici; si sono dati il compito non di convertire, ma di istruire i gentili ad obbedire alle sette leggi noachiche, i ‘comandamenti’ che secondo il Talmud sono obbligatori per il resto del genere umano.

Forti in USA, Francia e Australia, sono in vistosa espansione anche nelle ex-repubbliche sovietiche. Sono la faccia più pubblica dell’ebraismo; quando vedete in metrò o in via Condotti un tizio barbuto, col cappellone nero da cui escono riccioloni, e una redingote nera da cui spuntano sacre biancherie, è sicuramente un Lubavitcher.

Un successo così travolgente e un così devoto attivismo «missionario» spiega la forza motrice sotterranea del movimento: il messianismo. I Lubavitcher lo vivono in una forma che l’ebraismo non ha più conosciuto dal 1666, il culmine dell’ascesa del falso messia Sabbatai Zevi, in cui credettero freneticamente le masse ebraiche del tempo, fino a quando Zevi, per scampare alla decapitazione minacciatagli dal califfo ottomano, adottò l’Islam. Anche i Lubavitcher non si limitano a credere di star vivendo in tempi messianici; credono che «il Messia può venire da un momento all’altro»; anzi, come indica il loro slogan più noto, «Mosiach Now», il Messia (è) adesso: sottinteso, è il nostro Rebbe. E’ Menachem Mendel Schneerson.



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NEW YORK - 25 giugno 2009: una donna prega sulla tomba del defunto Lubavitcher Rebbe, Rabbi Menachem Mendel Schneerson, nel 15 ° anniversario della sua morte, al vecchio cimitero di Montefiore nel quartiere Queens di New York City. Circa 50.000 fedeli ebrei provenienti da tutto il mondo hanno visitato la tomba.



Il culto di rabbi Schneerson come Messia è cresciuto negli anni; Schneerson vivo, s’è manifestato in un culto della personalità che ha profondamente alterato il movimento, sia nelle istituzioni sia nella teologia, dato che ogni parola del Rebbe diveniva Legge. Per anni, gli zeloti hanno atteso soltanto che rabbi Schneerson si rivelasse - ossia dichiarasse se stesso il Messia, prendesse la guida di Israele Eterno e ponesse i re di questo mondo sotto il suo scettro, con ciò riscattando la creazione.

Rabbi Schneerson lasciò fare. Si discute oggi se il Rebbe credesse davvero di essere il Messia. Certo è che incoraggiò i suoi accoliti a crederlo, nè negando nè confermando, ma nemmeno sottraendosi al culto. Del resto, la teologia dei suoi rabbini precedessori, gli altri sei Schneerson del passato, era intrisa di messianismo personale e concreto.



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«Moshiach Now!», era il grido con cui lo accoglievano i suoi fedeli: il Messia adesso! Il Messia subito! Il Messia qui!, sottintendevano.

Così, quando rabbi Schneerson è defunto a 92 anni nel 1994, i suoi fedelissimi attesero tre giorni prima di seppellirlo. Ciò violava le più elementari prescrizioni della Legge ebraica, commenta sarcastico Ariel Levi di Gualdo, «ma da qualche parte dovevano aver letto... et resurrexit tertia die secondum Scriptura» (1).

Rabbi Schneerson non risorse il terzo giorno. Ciò non ha scoraggiato i suoi adepti; le «opere» erano ormai un business troppo grosso e redditizio per smantellarle. La maggior parte dei Lubavitcher continua a credere che Schneerson sia il Messia e stia per risorgere. Alle obiezioni di altri rabbini scettici, citano un commento della Gemara, trattato Sanhedrin, in cui rabbi Nachman di Breslavia (un altro maestro hassidico morto nel 1810, creduto anch’egli un messia ai suoi tempi): il Moshiach può ben venire anche dal regno dei morti. Dunque Schneerson è ancora vivo (come Elvis); è quel che credono i Lubavitcher in maggioranza.

Una minoranza che non ci crede ha prodotto uno scisma. Ma il peggio è il sospetto che il movimento ha suscitato nelle altre comunità ultra-ortodosse, sospetto rafforzatosi negli anni, alimentato da una certa invidia per il proselitismo del Lubavitcher che sta sottraendo fedeli agli altri gruppi, e concretatosi da ultimo in accuse di eresia.

Eppure i Chabad Lubavitcher seguono alla lettera tutti i più minuti comandi della Legge, anzi ce ne aggiungono di loro per osservanza più stretta. Ciò non ha impedito a rabbi Eliezer Shach, capo spirituale dell’hassidismo lituano, di definire i Chabad «una setta» e (sarcastico) «una religione fra le più vicine al giudaismo»; al che i Chabad hanno risposto definendo rabbi Shach «il rappresentante del demonio in terra».

William Boykin
   Rabbi Ovadia Yusef
Insulti analoghi s’è guadagnato rabbi Ovadia Yusef, il capo dei sefarditi e del partito israeliano Shas, che ha definito i Chabad «idolatri». Molti altri lo bollano come una revivescenza dell’eresia di Sabbatai Zevi, pericolosa per l’integrità dell’ebraismo.

Ma l’accusa più circostanziata è venuta dal noto rabbino ortodosso David Berger, americano: in un suo libro intitolato «The Rebbe, The Messiah, and the Scandal of Orthodox Indifference», egli comprova che una parte almeno del movimento Lubavitcher non si limita a credere che il defunto rabbi Schneerson sia il Messia; professa che il defunto è Dio stesso incarnato. Il che, conclude rabbi Berger, impone la scomunica del movimento dal giudaismo.

William Boykin
   Rabbi David Berger
Da qui la formula di fedeltà che i rabbini ortodossi americani fanno firmare ai loro adepti: la credenza nel Messia morto, che risorgerà per completare la sua missione, non avrà mai spazio nel giudaismo.

E’ solo l’inizio di una guerra intestina che può avere sviluppi dirompenti. Per intanto, alcuni rabbini Lubavitcher hanno cominciato a denunciare come eretici altri rabbini Lubavitcher.

Il 22 gennaio 2010 Gedalya Axelrod, importante rabbino Chabad in Eretz Ysrael, ha scritto e pubblicato una lettera di rovente denuncia contro Zimroni Tzik, un altro rabbino Lubavitcher che presiede la «Casa Chabad» nella località di Bat Yam.

«Mi è stato detto personalmente», scrive l’accusatore, «che Zimroni mangia durante l’Asoroh Beteves (il digiuno che commemora l’assedio di Gerusalemme da parte di Nabuccodonosor, che quest’anno cadeva il 5 gennaio), e durante tutti i digiuni prescritti dai Chazal (letteralmente «i nostri savii anziani di venerata memoria», gli estensori del Talmud)... Attesto che le sue opinioni riguardo all’unicità di Dio sono eresia ed apikorsus (miscredenza), come quelle del suo stretto amico Shmuel Frummer... il suo atteggiamento ricorda da vicino la setta di Sabbatai Zevi. In forza della halachoh, deve essere scomunicato, cherem e niddui, se non si pente, e rimosso dalla nostra comunità. Per cui, con il cuore bruciante e addolorato, lancio l’appello di evitare assolutamente questi malfattori». (Rabbi Axelrod Warns Against Tel Aviv Event Sponsored by Bat Yam Chabad House)

In Australia, rabbi Zvi Hirsch Telsner, che presiede la Yeshiva dei Lubavitcher a Melbourne, ha dal canto suo scomunicato quattro altri Lubavitcher della fazione messianica estrema, colpevoli di aver festeggiato e mangiato nel 10 di Tevel, giorno di digiuno (se il Messia è arrivato, allora i divieti della Legge non valgono più).

«Decreto - scrive il rabbino - che fino a quando i perpetratori di tali azioni non appaiano davanti a un Beis Din di tre rabbini, e chiedano perdono e correzione per quel che hanno fatto, siano ostracizzati da tutti i membri della comunità. Non siano considerati parte del minyan e mezuman, nessuno risponda Amen dopo i loro Brocho. Non si deve dare loro ana Aliyah alla Torah, nè siano onorati con nessun’altra Mitzvah. Nessuno parli con loro o tratti con loro affare alcuno».

Qualunque cosa vogliano dire le parole del gergo teologico di cui è infarcita la lettera, c’è un particolare imbarazzante: Telsner, il rabbino scomunicatore, nel 2004 firmò un documento, intitolato Psak Din, in cui i firmatari dichiararono: è halacha (secondo la Legge) che il Rebbe è il Messia. Non «era», ma «è», benchè Schneerson fosse morto da dieci anni. Insomma anche rabbi Telsner è un messianico, che aspetta la risurrezione del vecchio. Solo che fa parte della fazione che vieta di dirlo ad alta voce.  La dottrina deve restare occultata quanto possibile agli altri ebrei, proprio come facevano i seguaci di Sabbatai Zevi.



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Rabbi Telsner di Melbourne davanti a uno striscione che dichiara: il Rebbe è il Messia-Re (Melek)


E’ da vedere se questa frattura «teologica» avrà ulteriori sviluppi; se il potente movimento Lubavitcher sarà ridimensionato dalla controffensiva dei rabbini ortodossi. O addirittura ostracizzato.

Dai tempi dei farisei di cui sono discendenti, i rabbini hanno sempre temuto e cercato di reprimere le risorgenze del messianismo, politicamente pericolose: soprattutto oggi, dove la «teologia» ebraica maggioritaria preferisce additare nello Stato d’Israele, con le sue armi, il Messia collettivo, che ha realizzato concretamente l’antico Patto: la conquista della terra promessa, la pulizia etnica degli «amorrei e gebusei, cananiti e filistei», e il potere sui goym (2).



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Le varie sette ebraiche, spesso in lotta fra loro, discusse con preoccupazione da questa rivista ebraica. Molte delle sette, che si proclamano «pure», sono fortemente influenzate dal protestantesimo americano dei telepredicatori


E poi, l’ultima volta che alcuni ebrei credettero a un Messia Risorto, si sa quel che è successo. 



1) Ariel Levi di Gualdo, «Erbe Amare», Bonanni 2007, pagina 42.  L’amico Ariel Levi (ebreo colto e convertito al cattolicesimo) mette in luce la natura inautentica, artificiosa della setta «I Lubavitcher si parano di fiabe legate alla veccchia mitteleuropa e alla Russia dei primi Ottocento esaltando tradizioni chassidiche e askenazite. In realtà sono un vivace fenomeno della società americana più zotica. Macché shtetl prussico! Molti di costoro sono venuti al mondo in Australia da genitori australiani... la natura selvaggia e i salti dei canguri hanno causato nella loro psiche un balzo all’indietro verso le sperdute radici ebraiche europee... e poco dopo sono a studiare da polacchi in un quartiere di Brooklyn dove iniziano a recitare da chassidim askenazi (...)  da villani slavi nati due scoli fa nelle steppe, dove hanno raffazzonato un ebraismo da vivace volgo convertendo la mazurka in canto sinagogale. A volte questi settari sono tollerati da certi rabbinati in modo interessato, specie dal rabbinato israeliano. Ciò non si deve al rispetto delle loro credenze, ma all’ossequio verso i tanti soldi che maneggiano. Diverso è l’atteggiamento di molte scuole dell’ortodossia ebraica d’America... Il debole rabbinato d’Italia ha reagito secondo la sua maniera: il problema c’è, però non va affrontato, dunque non esiste».
2) Questa versione del messianismo l’ha spiegata chiaramente il rabbino Di Segni al Papa, come ha ricordato il nostro Copertino: «Lo Stato di Israele è un’entità politica, garantita dal diritto delle genti. Ma nella nostra visione religiosa non possiamo non vedere in tutto questo anche un disegno provvidenziale. Nel linguaggio comune si usano espressioni come ‘terra santa’ e ‘terra promessa’, ma si rischia di perderne il senso originario e reale. La terra è la terra d’Israele, e in ebraico letteralmente non è la terra che è santa, ma è eretz haQodesh la terra di Colui che è Santo; e la promessa è quella fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, di darla ai loro discendenti, i figli di Giacobbe/Israele, che in effetti l’hanno avuta per lunghi periodi. Nella coscienza ebraica questo è un dato fondamentale e irrinunciabile che è importante ricordare che si basa sulla Bibbia alla quale voi e noi diamo, pur nelle differenti letture, un significato sacro». 


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