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L’eurocrazia è nuda
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A poche ore dalle disastrose elezioni per Sarkozy, la sua ministra delle Finanze, Christine Lagarde, ha chiesto alla Germania – nè più nè meno – di mettere un freno al suo surplus commerciale, perchè la forza del suo export danneggia le economie più deboli nella zona euro. La Merkel si prepara alla battaglia.

Der Spiegel, sempre più organo ufficioso del potere tedesco, esce con un articolo che è una «dolorosa presa di coscienza»: Quale? «L’euro è basato su una menzogna». I 16 membri dell’eurozona hanno continuato a comportarsi come se avessero ancora una moneta propria. Hanno violato le loro stesse promesse di oculata gestione dei bilanci, convinti che qualcun altro, alla fine, avrebbe pagato i loro conti.

E i media italiani? Sottolineano esultanti la batosta a Sarko e l’alto astensionismo francese contro il governo di centrodestra, perchè vi vedono il preludio alla caduta dell’odiato Salame. Fingendo di non capire che il nostro sistema elettorale (calderolum o porcata) non è nemmeno lontanamente il doppio turno alla francese, fatto apposta perchè alla prima tornata ciascuno possa votare secondo pancia e tifoseria, e alla seconda per un governo stabile, che obbliga i partiti ad unirsi.

Sulla carta, per la Francia si delinea una maggioranza «di sinistra», ma è una sinistra del tutto diversa dalla «sinistra» italiana. E’ una sinistra nazionale. E il vero luogo dello scontro strategico – qui in Italia del tutto ignorato – lo porterà nella UE. Germania e Francia, i pilastri della comunità sul cui patto l’Europa si regge, è entrata in crisi. Con conseguenze dirompenti.

Che cosa rimprovera Parigi (destra o sinistra poco importa) a Berlino? Lo dice Jacques Sapir (l’economista che auspica un protezionismo europeo) con una chiarezza inarrivabile per i bocconiani nostrani:

«La Francia e gli altri Paesi hanno sofferto dal 2002 della politica della Germania, che ha trasferito sui lavoratori una parte dei costi delle protezioni sociali prima gravanti sulle imprese. In tal modo la Germania ha fatto scendere i suoi costi di produzione di circa il 10% e non solo; ha anche contratto la propria domanda interna. E’ questo che ha permesso alla Germania di realizzare profitti commerciali impressionanti, ma a danno dei vicini» legati all’euro.

E’ la politica che gli inglesi chiamano «beggar thy neighbours», ossia concorrenza al ribasso contro i vicini (in quanto la competitività è ottenuta con lo smantellamento dello Stato sociale): esattamente quella politica che ci avevano detto impossibile nel quadro dell’Unione Europea. 

Eravamo tutti amici, prima, e ci abbiamo fatto tanta retorica; alla prima difficoltà, ognuno di nuovo per sè, contro tutti gli altri.  E la Germania si comporta esattamente come se l’euro fosse la sua moneta sovrana: quale di fatto è. Dunque, alla prova dei fatti, esiste una sovranità monetaria. E ci avevano detto di no. La forza delle cose ha smascherato la finzione. (Jacques Sapir et l'élection présidentielle de 2012)

William Boykin
   Jacques Sapir
L’Europa  è esaurita, dice Sapir. S’è visto nelle reazioni davanti alla più grande crisi del secolo: nessun piano di rilancio comune, ma solo l’addizione di piani nazionali, ciascuno insufficiente. E minacce di punizioni per chi non stava alle regole, indebitandosi: l’Europa parla sempre di sanzioni a chi sfora i limiti arbitrari che ha imposto, ma è incapace di parlare di solidarietà e di sforzo comune. I Paesi membri sono costretti giocare sulla spesa pubblica già periclitante, mentre ocorrevano grandi misure di politica industriale. Ma è la Commissione – accusa Sapir – s’è opposta  ad ogni politica di rilancio industriale; le direttive europee sulla concorrenza, occhiutamente  imposte contro i «sussidi pubblici», aggravano la crisi e accrescono le divergenze, fino a infliggere alle economie europee un nuovo shock deflazionista.

La libera concorrenza globale? Di grazia, quale libera concorrenza? Gli USA hanno appena  escluso la EADS (il consorzio europeo dell’Airbus) dal gigantescco contratto per la fornitura di aerei cisterna per la US Army – un contratto già vinto – per darlo a Boeing. E’ una gravissima violazione dei sacri principii del liberismo; adesso in USA vale la parola d’ordine «Compra americano».

E la Cina, il primo esportatore mondiale, è forse liberista? A parte il fatto che mantiene sottovalutato artificialmente lo yuan per decreto di Stato, onde rendersi più concorrenziale, il suo mega-piano di rilancio economico (450 miliardi di dollari) è fatto apposta per favorire gli ordinativi alla produzione nazionale.

Insomma le due più grandi economie mondiali praticano a tutto spiano – diciamo la parola-tabù – il protezionismo. Con i mezzi più sleali. E’ questo - dice Patrick Artus, economista della Naxitis, una delle  principali banche francesi - che spiega la violenza anormale della contrazione del commercio mondiale. Non è solo la debolezza della domanda interna dei Paesi; è anche la «sostituzione delle importazioni con le produzioni nazionali in un gran numero di Paesi».

«L’Europa resta l’ultimo fedele praticante del libero-scambismo, quando tutti gli altri credenti hanno abbandonato il tempio», commenta Emmanuel Levy su «Marianne» (in Francia, anche gli ebrei sono meglio dei nostri). Addirittura, l’eurocrazia previene ed aggrava le norme dettate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO): ha reso l’Europa aperta a tutti i venti e a tutte le merci, sicchè sono gli europei, oggi, a pagare il prezzo più alto in de-industrializzazione, delocalizzazioni, disoccupazione e perdita di potere d’acquisto. Un’apertura che danneggia soltanto, senza alcun compenso, mantenuta per mera adesione dottrinaria  al dogma. (Guerre commerciale EU-Europe: l'UE avance les mains liées)

Anzi, peggio. L’eurocrazia non si stanca di imporre pesi improri sulla nostra competitività già vacillante: vedi l’obbligo di ridurre le emissioni di gas serra del 20%, vedi la tassa sul riscaldamento globale che saremo i soli ad imporci. Vedi la politica monetaria della BCE che mantiene l’euro carissimo, mentre gli USA svalutano i dollaro (e la Cina lo yuan, agganciato al dollaro). Al punto che l’EADS (Airbus) si sta preparando a delocalizzare le sue produzioni in zona dollaro, dove non deve temere la pietra del gas-serra nè la palla al piede dell’euro stratosferico.

Altri disoccupati, altre competenze perdute. E il 63% dei francesi che hanno perso il lavoro, l’hanno perso per la concorrenza straniera: mica solo cinese, ma anche tedesca. Ma allora, a che serve l’Europa? L’Europa è nuda.

Rassegnarsi al peggio, al calo nell’abisso del sottosiluppo permanente? No, un’altra Europa è possibile.

Si può immaginare che la BCE finanzi i debiti pubblici creati dalla crisi agli stessi tassi con cui – dopotutto – rifinanzia le banche devastatrici e devastate. Si può immaginare l’imposizione di dazi doganali fondati sulla differenza di situazioni sociali ed ecologiche degli altri Paesi (non solo la Cina ma anche i paesetti neo-europei ex satelliti sovietici di 2-5 milioni di abitanti, che per volontà USA ci siamo accollati).

«Ma l’Europa non cambierà senza un duro confronto, fino alla spaccatura», dice Sapir. E propone al governo (destra o sinistra non importa) «una prova di forza», a cui «dobbiamo prepararci per trarne il miglior partito. Non è da temerla. Sarebbe l’occasione per rimettere in questione l’architettura della costruzione europea». E quale sarebbe la prova di forza?

«Andare avanti per qualche tempo da soli», applicando la sola Francia misure di protezione sociale e monetaria. Per esempio (propone  Sapir) lo statuto della Banca di Francia potrebbe essere modificato in modo «unilaterale», sì da autorizzare la Banca Centrale ad acquistare Buoni del Tesoro: in tal modo, «la Banca Centrale francese emetterebbe euro per semplice scrittura contabile, diritto che può arrogarsi perfettamente, e che farebbe abbassare velocemente il tasso di cambio del’euro. Inoltre, avremmo così le condizioni di finanziamento della politica strutturale di rilancio industriale».

Naturalmente queste misure implicano «uno scontro con la Germania, e di convincere gli altri 11 Paesi membri». Mettiamo che tutti ci siano contro, e nessun accordo sia possibile: «Ciò porterebbe all’esplosione della zona euro e al ritorno alla sovranità monetaria» per la sola Francia. Un esito che presenta più pericoli per i tedeschi – perchè la moneta germanica subirebbe un rincaro che strangolerebbe le sue esportazioni; nè potrebbe pià contare sui cosiddetti «cattivi scolari dell’eurozona per compensare gli effetti del suo eccedente commerciale». La Francia  riconquisterebbe le quote di mercato perdute, mentre sarebbe il modello tedesco (austerità interna e accelerazione dell’export) ad essere condannato.

Ma un altro esito è possibile: i partner dell’eurozona  ammettono che la BCE deve cambiare, essere meno dottrinaria, e sopportare la sua parte del peso degli indebitamenti pubblici dovuti alla sua politica restrittiva precedente.

«La scossa prodotta dalle azioni unilaterali della Francia avrebbe il merito di aprire un grande dibattito in Europa; e sono certo che se dovremo all’inizio agire da soli, non resteremo soli per molto tempo», dati i vantaggi evidenti della svalutazione competitiva e dei dazi  contro le merci provenienti da Paesi «socialmente ed ecologicamente incivili».

Come vedete, di ben altro si parla in Francia che di pro e contro-Sarko, il Salame loro. Jean-Francois Kahn (altro ebreo migliore, economista) propone «una convergenza repubblicana» (destra e sinistra) su un preciso progetto in venti punti, Si va dalla tassazione dei movimenti di capitali speculativi alla creazione di una banca pubblica per i prestiti alle imprese; dalla nazionalizzazione delle banche salvate dallo Stato ad una detassazione dei capitali reinvestiti nell’azienda, e a una sovratassazione di quelli distribuiti in dividendi. Un salario massimo (contro i superbonus) fissato per legge. E, udite udite, il lancio di un grande prestito a tassi degressivi (che renda il 5% ai prestatori della classe media e il 2% ai ricchi), eventualmente esteso a investitori europei, il cui introito sarà consacrato al rilancio eonomico. I fondi raccolti saranno gestiti da una holding pubblica: 200 miliardi di euro, spera Kahn, che poi sono «meno di quello che è stato versato in quattro anni in dividendi dalle imprese del CAC 40», le più grosse aziende quotate in Francia. (20 propositions pour un New Deal, par Jean-François Kahn)

Anche Kahn parla di «rottura». La rottura è necessaria: «Non si tratta più di contentarsi di circoscrivere il rischio finanziario, ma di cambiare il modello». E’ la indispensabile rottura «verso le politiche di abbandono della sovranità – e dunque della democrazia – a profitto dei mercati e delle potenze economiche e finanziarie. Ormai destra e a sinistra dovrebbero aver capito che al fondo della strada della deregulation e della delegittimazione dell’azione pubblica, non c’è la prosperità.

Occorre rimettere in causa i trattati scandalosi (e di fatto inapplicabili) che hanno messo fuorilegge l’intervento del politico nel campo economico, in nome dei dogmi del liberismo e della presunta efficacia dei mercati». Su questo viene proposta la «convergenza repubblicana».

In Francia. Facciamo il confronto con «il dibattito politico» in Italia, e i motivi per cui una parte teme, e l’altra si aspetta esultando, un’alta astensione dell’elettorato, specie di centro-destra. Da una parte Berlusconi che si fa intercettare mentre trama, goffamente, per silenziare Santoro, Ballarò e «Parla con me»: compiendo il solo atto letale in politica, quello di patente stupidità. Se fosse stato meno stupido, si sarebbe accorto che da 15 anni la presenza assidua di Santoro e Ballarò e Travaglio non ha impedito al suo elettorato di votarlo; anzi, probabilmente ogni puntata di Santoro covinceva elettori stanchi e delusi a prendere le sue parti.

Adesso ha commesso quel che in politica è peggio che un crimine, l’ultima di troppe scemenze. E ancor più scemo, cerca di trasformare elezioni regionali nell’eterno referendum pro e contro di lui. Stavolta, non funzionerà.

Ma attenzione alle «sinistre», quelle che, Berlusconi debellato, ci guideranno. Visto che il Salame e i suoi incapaci hanno fatto il noto pasticcio con le liste, e poi cercato (goffamente, vanamente, inefficacemente) di metterci una pezza con una leggina, rimettendosi stupidamente ai giudici nemici, ecco che «la sinistra» grida alla dittatura, e strilla che «le regole vanno rispettate», che «le regole sono la democrazia».

Proprio loro. Quando la Bonino praticava di persona gli aborti e si faceva fotografare nell’azione, «le regole» vietavano l’aborto. E quando Pannella fumava pubblicamente spinelli, «le regole» punivano penalmente questi atti. E Di Pietro e Borrelli, quando usavano la galera preventiva per estorcere confessioni, non stavano a pensare alle «regole» (dette leggi) sulla libertà personale e la pesunzione d’innocenza; e tanto meno quando Scalfaro evitò le elezioni anticipate formando un governo suo, a forza di telefonate.

I giudici quando intercettano il governante odiato, violano le «regole». E quando danno le intercettazioni a Travaglio perchè le pubblichi, infrangono altre «regole», anzi precise leggi, per dimostrare che non sono un ordine, ma una tifoseria. Eppure quelli violavano le regole fra gli applausi: ma certo, la sinistra viola le regole sempre per «fare avanzare il progresso».

Allora le regole valgono meno. Allora si guarda alla sostanza, non alla forma. Anche se l’aborto vietato per legge, eppure praticato, era alquanto più «regola» delle leggine elettorali regionali e dei torbidi regolamenti di presentazione delle liste. Ma se la scelta è tra la «regola» e l’obbligo di consentire il voto ad una parte della cittadinanza – caso tipico dove la sostanza fa premio sulle formalità – allora la sinistra riscopre la sacralità delle «regole»: la volontà è non far votare, come nelle dittature poliziesche a cui vanno le preferenze della sinistra con Di Pietro.

Attenzione a chi facciamo vincere, in Italia. Mica siamo in Francia. Da noi non c’è il sistema maggioritario a doppio turno, ma la porcata di Calderoli. E non si discute di «affrontamento» con la Germania che ci ha distrutto, nè di «rottura» o «esplosione» della UE. Men che meno di convergenza repubblicana. L’essersi mostrato stupido è il delitto imperdonabile che perderà il Salame.

Ma siete sicuri che ci sia da qualche parte intelligenza, invece che solo astuzia, furbizia, voglia di azzittire ogni opposizione con «le regole»?




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