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La preferenza etica. Quale?
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Dopo l’articolo «Una verità sui consumi energetici» , provo a rispondere ad alcuni lettori.

«Blondet scrive un articolo documentatissimo e assai equilibrato. Ma mi sfugge la direzione della sua preferenza etica. Seguendo l’articolo si apprende che il pensiero (e l’azione) politicamente corretti di questi tempi ci porteranno verso la fine della civiltà, cosa che non mi è parso in altri articoli che il Direttore gradisse (se non altro perché la fine del benessere NON riguarderà certo le oligarchie che l’hanno determinata). Di contro nella chiusa finale giustamente si sottolineano gli splendori culturali e morali dei così detti secoli bui’, assimilabili a quelli che potrebbero attenderci. Resto quindi perplesso, di fronte ad un lessico che mi appare sostanzialmente antitetico». (Franco Pd)

E un altro:

«Resto anch’io perplesso sul reale pensiero che sottende l’articolo: è vero che secoli cosiddetti bui hanno portato valori eccelsi della civiltà e che invece oggi nel benessere le società ricche degenerano e producono disvalori. Ma allora che fare? O meglio cosa auspicare? Io sono sempre stato portato a pensare che la Terra potrebbe dare benessere materiale a molte più persone solo se a governare il sistema ci fossero dei valori più alti, che ovviamente oggi, pur nel benessere abbastanza generalizzato, non ci sono. La teoria proposta è affascinante ma la domanda di fondo (‘verso cosa dobbiamo orientare le nostre energie?’) resta drammaticamente senza risposta».

Che cosa non avete capito del discorso, cari lettori?

Il suo aspetto apocalittico. Quello che rende impossibile decidere la mia «preferenza etica». Si può auspicare la fine delle società dei consumi nella vaga speranza che sorgano di nuovo società tradizionali. Ma lo si può fare al prezzo della scomparsa di alcuni miliardi di esseri umani, che l’alto consumo di energia attualmente mantiene in vita? Come credente, non posso auspicarlo.

Mi sono limitato a far notare che tutte le risorse spirituali – anzitutto la fede, o comunque il porre come primo scopo dell’uomo il contatto col divino – che servirebbero ad affrontare la scarsità prossima ventura, ci mancano. Si dovrebbe auspicare che esse vengano sviluppate mentre ancora esiste una certa quantità di benessere, e non infuriano ancora la fame e il freddo e il buio; ma – purtroppo lo sappiamo – proprio la società del benessere, ossia nichilista, tutta intesa alla «distrazione», al «divertimento» e all’acquisto di «simboli di status» – è il maggiore ostacolo all’affermazione massiccia di valori spirituali.

L’uomo-massa (quello per cui «esistere è essere quello che già è», soddisfatto di sè, che «vive a suo gusto», la cui vita manca di programma) è supremamente indocile, anzi ermeticamente chiuso: imparerà solo nella propria carne. Esso merita profondamenta la fine che lo (che ci) attende. Ma lo può desiderare un cristiano?

Faccio un caso di cui ho conoscenza diretta. Un quarantenne, che chiamerò Piero, che guadagna 980 euro mensili in una piccola industria. S’è recentemente separato, ha un’amante, un fuoristrada comprato a rate, e s’è preso un appartamentino in affitto. Adesso l’azienda ha smesso di pagarlo, presto sarà disoccupato, non è in grado di pagare l’affitto, insomma lo attende la miseria da secoli bui. E’ il momento per fargli notare che sarebbe stato meglio se non avesse rotto la sua famiglia, se non fosse uscito dalla protezione primordiale che la famiglia dà? Si può solo sperare che gli restino le energie animali più primitive, la volontà di sopravvivere che forse esiste ancora nell’uomo-massa. Ma a quale prezzo per la civiltà?

Non tutti diventeranno come «Giorgio» di cui parla un altro lettore:

«Non ha neanche la licenza elementare, non sa leggere e scrivere, coltiva i suoi campi, alleva le sue capre, cura galline, conigli ed oche. Non è sposato e, dicono i maligni, (non mancano mai!) che non abbia mai conosciuto donna. E’, forse, l’ultimo PURO di questo mondo, parla solo in dialetto, basta vederlo negli occhi e, stare cinque minuti con lui, ti fa passare gastrite, colite, cervicale... E’ la persona più serena che io conosca».

Conclude il lettore: «Ripeto, se l’energia finisse, abbiamo solo da guadagnarci».

Aspetti a vedere cosa diventa una società a corto di energia: quanti Pieri, per continuare ad assicurarsi il fuoristrada (o la coca) ammazzeranno si l’un l’altro, e soprattutto sacheggeranno i deboli, i vecchi, i malati. Una società senza risorse interne diventa questo, la fine del diritto e del potere coercitivo pubblico (che è già gravemente malato), il dominio della violenza e dell’ingiustizia, ossia del più forte. Per un Giorgio, sorgeranno mille Pieri.

Per questo  non è giusta la leggerezza ottimistica di «spitfire», che scrive:

«‘Caro Blondet, quanto pessimismo nella sua conclusione! Può significare la morte dell’uomo, ma anche la sua rinascita: quando il corpo si frusta, l’anima si aggiusta! Buona Quaresima a tutti’».

Anzi, vi scorgo la incapacità di afferrare l’aspetto apocalittico della realtà attuale, tipica di individui che non hanno esperienza delle durezze della vita, che vivono – mentre calano nell’epoca della crisi – nella realtà virtuale offerta dal capitalismo ultimo: in questo senso siamo tutti uomini-massa; possiamo dire «Quando il corpo si frusta l’anima si aggiusta» solo perchè non abbiamo mai provato veramente che cos’era la «vita» per il volgo (il futuro uomo-massa) nelle epoche della scarsità energetica: era anzitutto «limitazione» di possibilità, restrizione, oppressione. La povertà senza prospettive di miglioramento era il suo status normale. Intere popolazioni si sottomettevano a padroni, alla servitù, per sopravvivere; la loro vita era radicalmente «dipendente».

Ma non si pensi all’oppressione solo giuridica e sociale. Ancora più importante era la dipendenza dai fenomeni cosmici, naturali: le malattie che riducevano l’abilità di faticare, la malnutrizione, le siccità e la grandine che riducevano i raccolti, e vanificavano le fatiche bestiali con cui s’era lavorato il campicello. Allora, non esistendo previdenza sociale, non c’era che da affollarsi davanti alle chiese per  elemosinare, o mettersi al servizio di un ricco e potente. Ma anche per il ricco e potente la vita era un ambito di povertà, difficoltà (limitazione) e pericolo; la libertà individuale del diritto germanico (il diritto dei secoli bui) aveva l’estensione che l’uomo poteva conquistarsi con la spada;  la spada del signore attraeva al suo servizio il tipo d’uomo che, oggi, si sente ancora libero da ogni limite. Il coraggio, lo sprezzo della morte, era diventato il valore della vita.

Oggi è il contrario; il tipo d’uomo che impone il suo volere nel mondo è l’uomo-massa, che non crede necessario sviluppare in sè alcuna forza spirituale, che si gloria non del suo coraggio, ma della sua viltà: basta vedere Il Grande Fratello, basta vedere i bulletti che picchiano il compagno in gruppo, per capire come affronteranno «la vita» da secoli bui.

Si meritano la fine e il servaggio, nonchè la fame. E forse nasceranno violenti «uomini liberi» la cui libertà ha il raggio della loro spada (o delle mitragliatrici che si sono accaparrati); forse (forse) una Chiesa rinnovata trasformerà questi bestioni in cavalieri; ma il miracolo della cultura medievale, quale probabilità ha di ripetersi? Quanti secoli bui ci attendono, prima della resurrezione, peraltro non garantita?

Svegliatevi alla realtà, ottimisti narcotizzati dal virtualismo. Siamo tutti gente che ancora vive nella «cultura» e nei suoi prodotti – dalla penicillina all’INPS, dal diritto del lavoro alle automobili – come fossero prodotti dalla natura. Non è così. Svegliatevi.

Del resto esprimere una «preferenza etica» è non solo indecidibile, ma ridicola. Se Garrett ha ragione (e io ne sono convinto) è la forza delle cose che guida, non le pie intenzioni umane. Proprio la fisica in quanto tale: la civiltà materiale è – come tutte le cose materiali – soggetta al secondo principio della termodinamica. All’entropia.

Il che non significa, come accusa un altro lettore, che

«in questa costante di Garrett intravvedo un pericolo intrinseco, quello di ridurre gli uomini a puro valore economico, misurabile in relazione alla singola e individuale capacità energetica sia in termini di energia spesa in attività produttive che in termini di energia contenuta nei consumi alimentari e negli altri consumi».

Attenzione, non vi sfugga l’alta moralità della metafora di Garrett, che poi non è una metafora: la civiltà materiale è davvero un motore a combustione interna, che consuma energia e produce «lavoro», in una percentuale determinata e costante. Anche i motori d’auto trasformano in «lavoro» (potenza motrice) solo, diciamo, il 25% dell’energia consumata; il resto – un enorme 75% – se ne va in calore disperso, in attriti e in turbolenze.

Nella società-motore di Garrett, queste dispersioni, questi attriti, sono in parte le inevitabili dispersioni dell’entropia, ma certo anche le iniquità sociali, i parassitismi mostruosi della finanza e delle Caste, che succhiano più energia di quanta ne trasformino in lavoro, e che anzi distruggono il motore stesso. Si dovrebbe revisionare il motore sociale con durissima decisione, con precisa «preferenza etica» per la giusta distribuzione, e per il principio che «chi non lavora non mangia».

Garrett ci dice che «non ci sono pasti gratis», in un modo assai più radicale con cui lo dicono i liberisti: siamo sotto il secondo principio della termodinamica, e se qualcuno mangia troppo, altri non mangiano. La distribuzione giusta è un imperativo. Ma la può imporre solo una coercizione oggi inimmaginabile (anche contro i Pieri, che sono la massa: niente separazione, nessuno viva più come un divo del cinema), magari con misure di razionamento, e la riduzione di poteri che oggi sono dominanti e  impongono la loro ingiustizia.

Ve li vedete in giro, dei politici serii, capaci di affrontare il problema sociale apocalittico sul cui orlo ci troviamo? Ve la vedete, soprattutto, una popolazione pronta a capire e ad accettare le misure necessarie?

Io dovrei dire: italiani, voi siete al 70% analfabeti – non sapete leggere una semplice frase in un fogliettto illustrativo – e pretendete di vivere come individui del primo mondo? State abbandonando i lavori modesti, persino quelli ad alto contenuto culturale come l’artigianato; schifate di operare le macchine utensili, e le lasciate agli immigrati; voi pretendete lavori da ufficio. Ma in ufficio, bisogna saper leggere.

In una parola, vi meritate il peggio. Ma lo si può dire, da cristiani?

Si può cercare di aumentare la costante di Garrett, il coefficiente 9,7. Non sarà facile, se davvero il motore funziona da secoli con questo tasso di rendimento. Gli ingegneri sanno che si può aumentare il rendimento di un motore a scoppio associandovi un motore Stirling, essenzialmente un refrigeratore: il motore a scoppio trasforma in forza motrice il 25% dell’energia; lo Stirling  trasforma teoricamente il 25% del restante 75% di energia dispersa in forma di calore, ossia recupera il 18% come forza motrice. Il motore aumenta dunque il suo rendimento fino al teorico 43%.

Non è una bella e geniale soluzione? Lo è. Però ditemi quanti motori di questo tipo vedete in giro, effettivamente funzionanti. Eppure le case ci lavorano da decenni.

Certo, poi si può continuare a proclamare che il vento e il fotovoltaico ci salveranno; che Nicola Tesla aveva sfruttato l’energia ambiente...

Per favore, siamo serii. La serietà è la prima virtù spirituale che ci serve, la più urgente. Ed anche un po’ di conoscenza scientifica, magari.  Dopotutto, senza essere scientisti, dovremmo almeno provare un po’ di curiosità per la tecnologia, che ci ha portato dalla scarsità all’abbondanza.

Come risulta da una battuta fra lettori:

Raff: «Tutto il resto dell’attività umana (quello nobile) non è misurabile, per cui mi domando: quanto vale in milliwatts la Divina Commedia di Dante?».

RE un altro replica: «La mia risposta è: quanti uomini son dovuti nascere, crescere, istruirsi (e quindi consumare energia), per far sì che uno di essi avesse il talento e l’occasione di poter scrivere tale opera. Lo stesso principio più o meno vale per la tecnologia».

E’ una risposta seria. Nei secoli bui, quei tre-quattrocento anni che andarono dalla fine dell’impero romano a Carlomagno, non nacque nessun Dante.


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