Affamare il cancro
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«Tu prendi le medicine e rifuggi il digiuno, come se esistesse una medicina migliore del digiuno»
(Sant’Ambrogio)


Non ho intenzione di creare false aspettative nei confronti di chi si trovi a combattere la difficile e dura battaglia contro il cancro; vorrei tuttavia alimentare il fuoco della speranza nei cuori di tutti coloro che in Dio ripongono la propria. Dio può guarire chiunque e sempre. Le evidenze scientifiche, corredate di notevoli riscontri documentari, esistono e fanno capo al cosiddetto igienismo (anche se al momento, forse, etichettare in tal modo, una pratica millenaria e soprattutto attestata nella Sacra Scrittura, significa svendere il patrimonio in possesso).

Due nomi su tutti: Breuss e Shelton. Epoche differenti, ma esiti praticamente identici. «Exitus acta probat» (Ovidio). Si tratta semplicemente di constatare l’efficacia di un rimedio antichissimo e sempre utile al ripristino delle regolari funzioni vitali dell’organismo. Questa, semmai ce ne fosse bisogno, costituisce ulteriore eclatante prova del carattere ispirato della sapienza biblica.

Il principio sotteso alla capacità terapeutica del digiuno, oltre che ad essere sostenuto da evidenti riscontri di fatto, trova la propria ragion d’essere nella identificata eziologia delle infermità: la cosiddetta causa tossiemica; l’insorgere del sintomo è spia dell’alterazione delle fisiologiche attività dell’organismo. La tossiemia è malattia, lo svelenamento è guarigione, il digiuno è la terapia. Si tratta, in pratica, di liberare il corpo di quelle interferenze e/o aggressioni capaci di variare il regolare percorso della vita.

Il digiuno è in grado di operare efficacemente un’opera di disintossicante liberazione dai veleni, purché, si intende, si tratti di digiuno prolungato. Non basta un giorno, serve una Quaresima.

Non è un caso: Dio fissa all’uomo regole divine, all’osservanza delle quali, questi riesca a vivere bene, in salute fisica e spirituale. Dio è amore e luce; pertanto l’indicazione di un percorso itinerante attraverso l’adempimento di alcuni salubri prescrizioni porta necessariamente ad un bene per l’amato (l’uomo).

Quale sarebbero il meccanismo tecnico-operativo alla base dell’efficacia terapeutica del digiuno?

Ce ne sarebbero due, almeno: la liberazione dell’humus favorevole l’insorgenza del tumore (cioè la disintossicazione dell’organismo, attraverso l’eliminazione delle scorie negative circolanti nel corpo) e lo status di inedia in cui si troverebbero costrette le cellule tumorali. Esse, lo sappiamo, sono svincolate dal controllo del sistema immunitario, che pure non riconoscendole come proprie, non le riesce ad eliminare; queste, di contro, si moltiplicano a dismisura, fino ad invadere tutto l’organismo.

Ora accade che fin quando continuiamo ad alimentarci normalmente, la massa tumorale, grazie al sangue, risulta regolarmente rifornita di tutti i nutrienti utili per aumentare volume e consistenza.

Il corpo, tuttavia, non si mette in allarme, tollera quella che per lui, pur essendo presenza estranea, non ritiene pericolosa, perchè non mortale. Tutto però cambia, qualora il paziente inizi il digiuno.

Prolungato per un lungo periodo, il corpo, intaccate le riserve giacenti al suo interno, comincia a reperire fonti energetiche necessarie per la produzione di glucosio, carburante principale dell'intero organismo, e, soprattutto, l’unico per il cervello.

Quando il digiuno giunge, pertanto, ad uno stadio sufficientemente avanzato (già dal quarto giorno iniziano gli effetti), i sistemi metabolici di interconversione di sostanze di riserva nel prezioso glucosio cominciamo ad invocare nuove fonti energetiche, perché le fonti fisiologiche danno segnali di esaurimento. La massa tumorale va in tilt: le sue cellule, infatti, consumano glucosio con velocità da cinque a dieci volte maggiore rispetto alle altre cellule (proprio perché il loro fine è quello di moltiplicarsi).

Il messaggio che il digiunatore invia al suo corpo è questo: stai rischiando il deperimento e quindi la morte. Il segnale è percepito forte e chiaro e crea un’immediata duplice risposta: in principio, tagli all’alimentazione delle cellule tumorali, percepite come estranee, non self, con conseguente storno degli approvvigionamenti, dando preferenza ai propri indispensabili organi vitali…, ed in seconda battuta, vera e propria fagocitazione delle stesse cellule cancerose, al fine di reperire le energie necessarie alla salute ed alla salvezza, mediante un processo di autolisi, eseguito dal tumore stesso, per un comando partito dalla centrale della vita e dell’autoconservazione dell’organismo.

In questo modo, il digiunatore sopravvivrà, facendo morire di fame il cancro che lo stava uccidendo.

Quanto tempo occorre digiunare e come fare il digiuno? Le indicazioni degli esperti indicano digiuni prolungati con fini terapeutici totalizzanti, capaci di restituire la salute a persone affette, tra l’altro, da cancro, ipertensione, diabete, appendicite, colite, sinusite, anemia, emorroidi, artrite, bronchite, malattie renali, tumori benigni, cardiopatie, asma, ulcere, febbre da fieno, gotta, calcoli biliari, costipazione, psoriasi, bronchite, vene varicose, eczema, insonnia, ecc…

L’esito di guarigione è certo? Molto dipenderà dal momento in cui si inizi a combattere la malattia in atto. In ogni caso, se ne otterranno benefici. Il digiuno può essere integrale, bevendo soltanto acqua minerale, oppure supportato da tisane e/o succhi di frutta e verdura, per aiutare il drenaggio e l’eliminazione. Il digiuno può essere intrapreso, senza rischi, anche senza supporto sanitario, però prima occorre abituarsi; tuttavia, consiglio chiunque di sentire il proprio medico, sempre e comunque.

Mai lasciarsi spaventare dagli eventuali sintomi dello svelenamento. In questi casi, ci si potrebbe imbattere in eventuali mal di testa (per rimozione di prodotti chimici), reazioni cutanee (per eliminazione, attraverso la pelle, di tossine accumulate); sete incredibile (per lo smaltimento di rifiuti, attraverso minzione), dolori articolari e irritabilità (sempre cagionati dall’espulsione di sostanze nocive).

La lingua sarà il nostro indice rivelatore; essa cambierà colore, ricoprendosi di una patina biancastra; il ritorno al suo colore consueto significherà disintossicazione ultimata, il digiuno deve interrompersi; come si dovrà smettere in caso di ritorno della fame, che, nel frattempo – dopo i primi giorni di digiuno – ci avrà abbandonato.

La preghiera, unita al digiuno, costituirà il rimedio totale e rigenerante da Dio dispensato per riottenere la salute e mantenere la vita. Con sincera fede nelle parole di Gesù
convinto che i demoni che si vincono col digiuno e la preghiera rappresentino l’apice dell’infermità anche fisica – ritengo che, come il più contiene il meno, così la sola pratica ascetica è in grado di salvare l’uomo da ogni male.

Stefano Maria Chiari


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