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Prime zappate sui piedi
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Marco Travaglio non mi è per niente simpatico. Quando accusa un politico, mi piacerebbe vedere che quel politico lo distrugge. Questi ha  un modo molto semplice per farlo: trascinarlo in giudizio con una querela per diffamazione. Il gioco è tanto più facile perchè  le leggi sulla diffamazione, in Italia, sono state concepite apposta (dalla Casta) per intimidire e distruggere i giornalisti. Non tanto per la condanna penale del reato, che prevede il carcere - ma la prima volta viene con la condizionale - (in ogni caso, è più dura della pena prevista per un quadruplice omicidio compiuto da Rom ubriaco recidivo), quanto per la successiva richiesta di danni civili: il diffamato può chiedere risarcimenti di danni tanto più enormi, in quanto, essendo un politico, ha più grossa «fama» da proteggere.

I giornalisti, sapendo che rischiano di pagare di tasca loro anche 500 mila euro - che nessun giornalista ha, a meno che non sia della Casta come i direttori dei Grandi Quotidiani - si astengono. Ma Travaglio ha fatto i soldi con i suoi libri. Può pagare.

Il presidente del Senato Schifani, accusato da Travaglio di frequentazioni mafiose, per le quali non è mai stato nemmeno indagato, ha dunque un mezzo facile e infallibile per liberarci di quel Travaglio una volta per tutte: lo quereli. Parte avvantaggiato dalla legge. La vittoria è sicura. Invece la seconda carica dello Stato, che ha fatto?

Mitissimo, ha replicato che le accuse dell’odioso Travaglio sono «inconsistenti» (ciò che sarebbe facile da provare in aula). E come elemento decisivo della difesa della sua fama, ha aggiunto: «Qualcuno vuol minare il dialogo con l’opposizione». Insomma s’è difeso parlando d’altro. Buttandola, come si dice, «in politica». Ma l’aggiunta è molto istruttiva.

Ora abbiamo la conferma - prima era solo un sospetto - che la maggioranza si è fatta votare per dialogare con l’opposizione. E che l’opposione non farà l’opposizione, ma un intenso dialogo, già cominciato del resto: Marco Follini, che sta con Veltroni, è stato il primo a scagliarsi contro Travaglio (e Di Pietro che lo ha difeso) chiamandoli «figuri». «Non ci faremo portare fuori strada da questi figuri», ha detto.

Frase molto istruttiva anche questa: assicura Schifani che la cosiddetta «sinistra» non si farà portare fuori strada, che continuerà il dialogo col governo. Su cosa verterà il «dialogo», ossia l’accordo sulla testa delle volontà dei rispettivi elettori? Il fatto che Follini sia stato la prima gallina a cantare, rivela - forse - qualcosa.

Basta ricordare che Follini è maritato a Elisabetta Spitz, la venerata direttrice del Demanio, che per questo mestiere inutile da archivista-capo riceve oltre 300 mila euro l’anno da noi contribuenti. Insieme, i due felici coniugi si portano a casa sui 45 mila euro al mese. Un uovo d’oro da difendere.

Altrimenti non si capisce perchè proprio Follini, che odiava Berlusconi tanto da abbandonarlo per passare con la «sinistra», oggi difenda Schifani invece di rallegrarsi malignamente della sua diffamazione. Vuoi vedere che l’oggetto del «dialogo» fra governo e opposizione è la difesa delle uova d’oro? Dei comuni privilegi di Casta, con l’emarginazione della protesta dei cittadini contro tali privilegi?

Vogliono tacitare - uniti - ciò che loro chiamano «l’antipolitica», in tutte le versioni: dal popolo di Grillo («antipolitica» propriamente detta) al «giustizialismo» (Travaglio e Di Pietro) fino all’estremismo girotondino. Emarginare? Tacitare?

Molto di più: vogliono delegittimare questa opposizione dal basso, non riconosciuta e senza capataz in parlamento. Lo rivela la parola scelta da Follini in Spitz: «Figuri». Rivolta anche a Di Pietro, di cui la «sinistra» è alleata, almeno a scopo elettorale.

«Figuri» è la versione democristiana di insulti d’altre epoche e d’altre dittature: «deviazionisti di destra» e «sabotatori del socialismo» (versione PCI anni ‘50) o «culturame» (versione littoria anni ‘40). Insulti che miravano a criminalizzare, e magari preludevano a «purghe nel Partito» (Stalin) o a inviti a «ripulire gli angolini» (Farinacci).

Per nostra relativa fortuna, questi sono solo le caricature dei loro padri fondatori, e delle ideologie del secolo ventesimo. Si è visto come hanno reagito tutti gli attori dell’ultimo caso-Travaglio.

Fabio Fazio che aveva ospitato l’odioso Travaglio, confermando la sua solida nomea di leccapiedista di chiunque sia al potere, s’è dissociato con una letterina di scuse. Gasparri (da «destra») se l’è presa non con Travaglio nè con Fazio (uno così, è da tenere anche nel nuovo governo), ma con Cappon, attuale direttore generale della RAI. Perchè, secondo i giornali, lo scopo di Gasparri è mettere il cappello sulla poltrona di direttore della RAI per piazzarci uno dei suoi.

E’ la marcia su Roma in versione clientelare: AN ha una quantità di giornalisti di partito da compensare con stipendi castali, tra i quali Angelo Mellone direttore del Secolo d’Italia (copie vendute, zero) a Gennaio Malgieri, ex direttore del medesimo Secolo d’Italia e – contemporaneamente - collaboratore del Riformista (copie vendute, 3): esempio incarnato del «dialogo» tra maggioranza e - se è lecita la parola - opposizione. Il che ci assicura che, anche sotto il nuovo governo, la RAI resterà pubblica.

La RAI che, come ha appena scoperto la CGIL (ora che la sinistra ha perso) sta per diventare «la nuova Alitalia»: difatti ha 30 mila dipendenti ma spende il 60% del suo bilancio per far fare i programmi ad esterni.

E’ esattamente così che funziona il settore pubblico: dipendenti fissi stipendiati che non lavorano, e il lavoro lo fanno fare ai precari. Ma i Malgieri e i Mellone targati AN hanno più temibili pretendenti alla super-poltrona della RAI.  Gente «di sinistra», che scodinzolando già si candida.

In prima fila va annoverata Lucia Annunziata, ammanigliatissima con D’Alema e con l’Aspen, ma anche protagonista di intimi accordi con Fini. L’Annunziata scrive un pezzo su La Stampa dedicato al Kippà, che è tutta una leccata con evidenti mire alla poltrona RAI. Isoliamo una sola frase: «Insomma, si trasformerà in intellettuale sotto i nostri occhi, questo Fini finora conosciuto come guerriero?».

Si resta interdetti: solo l’Annunziata ha conosciuto Fini come guerriero. Il pubblico lo conosce come piegato in due al museo della Shoah, come ragazzo-padre innamorato di una velinona da Novella 2000, come un vacanziere perennemente abbronzato. Magari come sub - un sub del resto non eccezionale. Ma l’Annunziata lo vede così. E anzi lo vede in via di metamorfosi come intellettuale (Fini ha citato Renan, «La nazione è un plebiscito quotidiano», un luogo comune da conversazione sui treni, e pare abbia letto Finkelkraut, un neocon francese). Ma Fini tranquillizza la sua adulatrice.

Ride: «Di intellettuali, nel senso di gente astratta, ne conosco fin troppi, tutti quelli della sinistra ad esempio!». Notate il tono: per Fini, gli «intellettuali»sono ciò che per Follini sono «i figuri». Insomma, il culturame, i «sabotatori» e i deviazionisti di destra. Fini il Kippà cita «tutti quelli di sinistra» (tutti?), ma mi sa che sta pensando a un culturame di destra.

Potrei giurare che ad esempio Marcello Veneziani stavolta verrà tenuto fuori alla pioggia. Troppo «astratto»: ha criticato il capo. E mi spingo a prevedere che questo governo «di destra» sarà repressivo soprattutto con chi, a destra, pensa. Magari sul web. «Ripulire gli angolini!». E’ il tipo di linguaggio a cui pensano di aver diritto di tornare. Sono abitudini mentali, sono cascami di quel che gli è rimasto dentro dopo aver dichiarato il fascismo «Male Assoluto» per potersi sedere a tavola. Rigurgiti.

Ora che ha fatto il pellegrinaggio al Yad Vashem che l’ha sdoganato, anche Alemanno, euforico, ha pensato di arrischiarsi. Tanto più che è garantito dal camerata Pacifici, e ha scelto come suo intimo di governo quel Ruben che ci è stato mandato qui dall’Anti-Defamation League. Lo arriva a intervistare un giornalista del Sunday Times, uno dei tanti giornali del camerata Rupert Murdoch, del Quarto Reich.

Così, si lascia andare e pronuncia le seguenti frasi: Mussolini «prosciugò le paludi, realizzò le infrastrutture», e costruì l’EUR, insomma «modernizzò l’Italia». A questo elenco di frasi fatte manca, come si vede, «i treni arrivavano in orario». Il giornalista del Murdoch, anzichè applaudirlo, l’ha sbertucciato ben bene sul Sunday  Times,  mostrando al mondo anglosassone il ritratto di  un sindaco «ex neofascista che ha elogiato Mussolini». Una zappata sui piedi. La terza in un giorno.

Ancora un po’ e questi  riusciranno a provocare la ricomparsa della sinistra vera, quella cancellata dal voto. Quella che non ha mai dimenticato le BR, che sparerà perchè in Italia sono andati al potere
«i fascisti». E pensare che invece sono solo Fini, Alemanno, Gasparri. E Schifani.


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