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Bocchino e i finiani si schierano con l'opposizione
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Italo Bocchino: «nomen omen»

Sicuramente non serviva la legge sull'omofobia per capire che, su alcuni temi, le posizioni degli uomini vicini al presidente della Camera Gianfranco Fini sono più simili a quelle del Pd che al Pdl. Fatto sta che, anche ieri, i «Fini boys» non hanno perso l'occasione per farlo notare.

Su tutti spicca Italo Bocchino. In un primo momento il vicecapogruppo del Pdl ha infatti difeso in maniera decisa la scelta della maggioranza di votare contro il rinvio del testo in commissione (anche se dal Pd assicurano che la decisione è stata presa in corso d'opera aiutata dal fatto che il presidente di turno Antonio Leone ha tenuto aperta la votazione più del dovuto).

«Non è giusto che la maggioranza, solo con i propri voti, privi l'opposizione di un suo diritto che è sancito dal nostro Regolamento - ha spiegato Bocchino in Aula -. Eravamo d'accordo sul rinvio in commissione ma nel momento in cui l'opposizione ovvero il Partito Democratico non è d'accordo, non capisco quale sia la ragione per la quale la maggioranza debba coartare la volontà dei proponenti, per poi, domani, farvi scrivere sui giornali che noi volevamo affossare il provvedimento».

Poi, però, quando si è trattato di votare la questione pregiudiziale, Bocchino si è schierato con il Pd (c'è chi assicura ci sia stata una telefonata da parte di Fini che ha dettato la linea). Con lui, oltre ai «laici» Benedetto Della Vedova, Giuseppe Calderisi e Chiara Moroni, una nutrita pattuglia di finiani come Carmelo Briguglio, la direttrice del Secolo d'Italia Flavia Perina e il viceministro Adolfo Urso.

Se a questi si aggiungono gli assenti Fabio Granata, Marco Martinelli, Alessandro Ruben e Enzo Raisi, il quadro è completo. Anche se a scatenare i malumori all'interno del Pdl è stato soprattutto il comportamento di Bocchino. In molti fanno notare che su una questione pregiudiziale non esiste libertà di coscienza.

«Sono stupita» commenta l'ex Forza Italia Laura Ravetto. Ma Bocchino la snobba: «Io mi occupo di politica non delle dichiarazioni della Ravetto». Insomma, ancora una volta, i finiani marcano le distanze dal resto del partito. Anche fuori dalle aule parlamentari. Con un articolo online di Federico Brusadelli, ad esempio, la fondazione del presidente della Camera FareFuturo esprime tutto il proprio rammarico per quanto accaduto.

«Che peccato - si legge -. La legge sull'omofobia si sarebbe dovuta approvare all'unanimità. Poteva essere una bella occasione per una legge condivisa, e necessaria. Non si può che essere d'accordo, se si crede nei principi che fondano uno Stato libero e democratico nella lotta all'intolleranza, al razzismo, alla discriminazione. Un'occasione sprecata in nome dei soliti meccanismi da guerra dei bottoni. Votare contro a prescindere. Far naufragare una legge non tanto per il contenuto, ma perché l'hanno proposta gli "altri". Un'occasione sprecata anche e soprattutto per il centrodestra italiano. Ma si sa legiferare a proposito di omosessualità in Italia è ancora problematico (e non solo a destra)».

Mentre l'«assente» Fabio Granata rincara la dose in una nota: «Il voto favorevole alla pregiudiziale sull'omofobia, alcune proposte sui simboli religiosi e alcune dichiarazioni contrarie a politiche di integrazione e cittadinanza che strumentalizzano vergognosamente alcuni episodi di fondamentalismo testimoniano quanta strada ci sia ancora da fare per costruire un Pdl non appiattito culturalmente, prima ancora che politicamente, sulla Lega e su posizioni non in linea con le moderne destre europee».

Nic. Imb.

Fonte >
  Il tempo | 14 ottobre


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