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Parente di terrorista 9/11 è una spia israeliana
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Ali Al-Jarrah, un libanese sulla cinquantina, che tutti i vicini conoscevano come un sostenitore della causa palestinese, è da luglio in galera con l’accusa di tradimento e di spionaggio per un Paese nemico. Il Paese nemico è ovviamente Israele, per il quale Ali Al-Jarrah lavorava da almeno 25 anni.

Al-Jarrah_1.jpgL’uomo «viaggiava spesso in Siria e nel Libano meridionale (roccaforte Hezbollah) dove fotografava strade e convogli che potevano essere trasporti d’armi per Hezbollah», scrive il New York Times (1): «Parlava coi suoi manovratori israeliani per telefono satellitare, e riceveva denaro, apparecchi fotografici e d’ascolto in “caselle morte”. A volte, con il pretesto di viaggi d’affari, andava in Belgio e in Italia; lì riceveva un passaporto israeliano e prendeva il volo per Israele, dove veniva sottoposto a lunghi ‘debriefing’».

Dai sionisti, secondo i servizi libanesi, aveva ricevuto 300 mila dollari; era evidentemente molto stimato come spia, tanto che quando Israele ha attaccato il Libano nel 2006 i suoi manovratori hanno avuto cura di telefonargli per tranquillizzarlo: il suo villaggio non sarebbe stato bombardato, poteva restare in casa. La casa di Al-Jarrah è una lussuosa villa di tre piani, fra le misere casette del villaggio.

E’ stato Hezbollah - che ha il miglior servizio d’intelligence della regione e sospettava quest’uomo di essere coinvolto nell’assassinio di Imad Muhniyeh, il capo Hezbollah abitante in Siria - ad arrestarlo e a consegnarlo alle forze armate libanesi. Il personaggio ha confessato tutto. Ora attende il processo, che può portare un colpo decisivo alla versione ufficiale sull’11 settembre 2001.

Al-Jarrah_2.jpgSì, perchè Ali Al-Jarrah, la spia israeliana, è cugino di uno dei pretesi dirottatori dei quattro aerei usati nel mega-attentato in USA: Ziad Al-Jarrah, che gli americani hanno dichiarato essere il pilota del volo 93, quello che si sfracellò nelle campagne della Pennsylvania. E ne hanno portato la prova, e che prova: il passaporto di Ziad, trovato fra i rottami dell’aereo caduto. Con tanto di foto, appena bruciacchiata, ma perfettamente riconoscibile. Un vero colpo di fortuna, se si pensa che ci vollero sei mesi all’FBI per identificare le vittime del disastro che erano sul volo 93, tanto i poveri resti umani erano carbonizzati e ridotti a pezzi. Uno dei passaporti indistruttibili dei dirottatori musulmani dell’11 settembre.

Molto amico di Mohamed Atta, l’egiziano capo dei dirottatori, Ziad Al-Jarrah, esattamente come Atta, è per i familiari un ragazzo di idee moderne e non religioso; come Atta, ha i primi contatti con gli ambienti islamici fondamentalisti mentre studia in Germania (dove ci sono anche molte «stazioni» dell’intelligence USA). I servizi tedeschi e quelli turchi lo tengono d’occhio almeno fin dal 1999, perchè i due fanno viaggi a Dubai, poi apparentemente in Afghanistan, e cercano di arruolarsi nella guerriglia cecena, per poi tornare ripetutamente ad Amburgo.

Anzi, di più: il 30 gennaio 2001 Ziad Al-Jarrah viene trattenuto dalle guardie di frontiera degli Emirati Arabi Uniti - veniva da Peshawar e stava per prendere la coincidenza per Amsterdam a Dubai - e interrogato in quanto sospetto. Più tardi le autorità degli emirati diranno che il fermo era avvenuto «su richiesta degli americani», e che loro avevano chiesto «agli americani» che cosa dovevano fare del ragazzo, ricevendo la seguente risposta (che l’FBI nega): lasciatelo andare, lo teniamo noi sotto controllo (2).

Nonostante ciò, Jarrah, Atta e gli altri futuri dirottatori ottengono senza difficoltà un visto per gli Stati Uniti e nel giugno del 2000 cominciano a prendere lezioni di volo alla «Huffman Aviation» di Venice (Florida), una scuola di volo che appartiene a Rudy Dekkers (un olandese con una storia discutibile come bancarottiere e pilota irregolare) ma che gli è stata pagata da Wally Hilliard, un ricco affarista e molto conservatore di 72 anni: che sborsa 1,7 milioni di dollari, un vero regalo a Dekkers.

Ma anche i dirottatori mostrano di avere un sacco di soldi. Jarrah, per esempio, a Venice dorme in un appartamento con altri due studenti, ma ha affittato anche un secondo appartamento tutto per sè, e si compra un’auto. Secondo un suo compagno di stanza (un tedesco di 23 anni, Thorsten Biermann), il ragazzo mantiene fitti rapporti con la fidanzatina che ha lasciato in Germania, Aysel Senguen: le telefona «centinaia di volte», la tempesta di e-mail.

Al-Jarrah_3.jpgE grazie a questo amore, gli inquirenti mettono le mani su un’altra prova: una lettera di addio che Jarrah ha scritto alla fidanzata, e indirizzandola all’indirizzo di Boshum dove entrambi avevano vissuto more uxorio. Il fatto è che la lettera non arriva mai ad Aysel, perchè c’è un errore nell’indirizzo (incredibilmente ben noto a Jarrah). Le poste germaniche la rimandano indietro con il timbro «indirizzo sconosciuto» e - dopo l’11 settembre - questa lettera arriva nelle mani dell’FBI. Indirizzo giusto, questa volta: la prova provata che Jarrah si preparava a morire. Solo che i genitori del ragazzo, in Libano, non ci credono.

«Due settimane prima dell’11 settembre ha telefonato a casa e  annunciato che sarebbe stato in famiglia per metà settembre, per il matrimonio di un parente» (Boston Globe) .

Ad un certo punto, sembra persino che siano in circolazione due Ziad Jarrah: uno, che telefona di continuo alla fidanzatina e a casa. L’altro, il terrorista che va e viene dall’Afghanistan e si prepara a compiere il più odioso attentato della storia, come suicida di Allah. Due persone diverse.

Abbiamo già detto del Jarrah che fu fermato all’aeroporto di  Dubai il 30 gennaio 2001, dopo aver passato due mesi ad addestrarsi in Afghanistan. Ma i suoi genitori attestano che Ziad ha fatto loro visita in Libano il 26 gennaio, ossia cinque giorni prima del suo supposto passaggio a Dubai; anzi, siccome il papà di Jarrah è stato appena operato al cuore, Ziad lo va a trovare ogni giorno in clinica, ben oltre il 30 gennaio. Com’è possibile che lo stesso Ziad stesse in due posti contemporaneamente?

In seguito si farà filtrare che è stato fermato a Dubai non nel 2001, bensì nel 2000, un anno prima. Così tutto torna a posto.

Ma purtroppo, continuano ad esistere dei malfidenti (detti spregiativamente «complottisti») che si ostinano a mettere in dubbio la storia. Da una parte, perchè risulta che Ziad Al-Jarrah dichiarò lo smarrimento del passaporto nel febbraio 2000, facendosene dare uno nuovo, quindi senza i visti imbarazzanti e i timbri d’entrata e d’uscita da paesi come Pakistan e Dubai, e in ogni caso devono esistere due passaporti, uno smarrito (o rubato) e l’altro intonso (probabilmente quello trovato fra i rottami del volo 93); e Mohamed Atta e Marwan Alshehhi (un altro dei dirotattori) avevano denunciato simile smarrimento e ottenuto nuovo passapporto pochi mesi prima (South Florida Sun-Sentinel, 9/28/2001; Der Spiegel, 2002, pp. 257-58) .



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Tre Al-Jarra: 1) Lo studente (fotocopia della foto allegata alla richiesta di visto in Usa) – 2) Il bravo ragazzo (foto scattata da familiari in Libano nel 1996) - 3) Il terrorista (la foto sul passaporto ritrovato miracolosamente fra i rottami del Volo 93)




Dall’altra, perchè almeno 7 dei 17 dirottatori, in teoria morti come martiri negli aerei, risultarono vivi e vegeti, spesso piloti di linea sauditi o marocchini di cui qualcuno aveva rubato le generalità, e molto irritati di essere stati messi in mezzo come autori dell’attentato? (http://whatreallyhappened.com/WRHARTICLES/hijackers.html)

Qualcuno di questi malfidenti ostinati («complottisti») è giunto perfino a sospettare - deplorevole - che Mohamed Atta e i suoi non siano mai saliti su nessuno di quegli aerei, che si siano solo fatti vedere (dalle telecamere) al check-in, e che adesso vivano da qualche parte, con una nuova identità; situazione ideale per agenti segreti, ufficialmente «morti» ma in realtà sanissimi e tutt’ora operativi, preziosi per i loro reclutatori.

Per fortuna - e a disdoro dei complottisti - le forze americane in Afghanistan hanno scoperto un documento che dilegua ogni sospetto: un video che mostra Mohamed Atta accanto ad Al Jarrah, mentre entrambi pronunciano il loro testamento di martiri di Allah.

Riportiamo qui un fotogramma di quel video: come vedete, l’orologio della telecamera indica la data della ripresa: 18 gennaio 2000. Cosa si può desiderare di più, come prova? E’ una prova addirittura schiacciante. C’è solo un piccolo particolare: questo video, che si auto-dichiara girato il 18 gennaio 2000, è stato diramato alla stampa solo il 30 settembre 2006.



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Mohamed Atta (destra) e Ziad Jarrah (sinistra) (fonte: London Times)



«E’ comunque significativo», scrissero i media dell’epoca, «perchè è la sola prova concreta del fatto che Atta e Jarrah erano nello stesso luogo allo stesso tempo. Le tracce dei due si sono spesso intersecate (entrambi hanno frequentato una scuola di volo in Florida, a due miglie di distanza), ma senza incontrarsi - almeno in modo documentato».

Nel video, i due giovinotti ridono e scherzano tra loro - è la prova che sono amiconi - e solo dopo le quattro risate leggono il loro testamento di futuri suicidi, uno dopo l’altro.

«Ma le loro parole esatte non si capiscono, perchè il video è senza sonoro e gli esperti di lettura delle labbra sembra non siano riusciti a comprendere cosa dicono» (London Times, 10/1/2006) . Che i due leggano le loro ultime volontà si intuisce, diciamo, dal contesto. E poi, nel video appare persino Bin Laden. E quando i due leggono non-si-sa-che, prima indossano un copricapo islamico. E hanno un kalashnikov a fianco.

E com’è arrivato ai media occidentali, nel 2006, questo prezioso video? Chi l’ha diffuso?

Probabilmente i nostri lettori di più lunga data l’hanno già indovinato: lo scoop è opera di IntelCenter, il sito della celebre Rita Katz (figlia di un agente del Mossad, ebreo iracheno, giustiziato da Saddam) e dal suo collega Ben Venzke, israelo-americano, entrambi fortunatissimi  scopritori di video di Al Qaeda in siti islamici mai ben identificati.

Ovviamente, i soliti complottisti dicono che questo video è stato girato nel 2006, e dimostra che i due sono vivi e vegeti 5 anni dopo essersi sfracellati sugli aerei dell’11 settembre.

Adesso, salta fuori che uno zio di Ziad Al-Jarrah ha lavorato come spia d’Israele per 25 anni. Naturalmente, i complottisti più sfegatati salteranno su a strillare: anche il nipote lavora per Sion! Anche il bravo ragazzo libanese è una loro spia!

Non credeteci. Il complottismo è, come sapete, una forma di negazionismo.




1) Robert Worth, «Lebanese in Shock Over Arrest of an Accused Spy», New York Times,
18 febbraio 2009.
2) Tutti questi particolari, e molti di più, sono reperibili al sito www.historycommons.org, che pubblica una completa successione degli eventi prima, durante e dopo l’11 settembre, con le relative fonti giornalistiche. Una documentazione inestimabile.


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