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Uranio, Siria, Iran e dannate bugie
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Il nuovo presidente Obama, si sa, ha detto di voler «parlare» con Teheran, e da Teheran sono partiti segnali incoraggianti. Dalla Siria, il presidente Assad ha detto di sperare nella distensione con gli USA, e in cambio tre delegazioni americane si sono recate a Damasco da gennaio ad oggi, il che fa pensare ad un prossimo ristabilimento delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi, interrotte dal 2005.

Insomma tutti i segnali puntavano alla fine del decennio di chiusure, provocazioni e minacce di guerra che l’amministrazione Bush ha fatto pesare sui due Paesi, dopo averli inseriti (dal 2001) nella lista degli «Stati terroristi» con cui «non si tratta». Un nuovo clima era nell’aria.

Poi, di colpo, tutti i giornali occidentali si sono messi a strillare all’unisono: «Entro un anno l’Iran avrà la Bomba»; «La AIEA denuncia: Teheran ha un terzo di uranio in più di quanto finora dichiarato». Il Corriere della Sera: «L’Iran ha una tonnellata di uranio», da cui «potrebbe ricavare 20 chili di materiale fissile per una bomba». «A svelarlo», scriveva su La Stampa il neocon Maurizio Molinari (1), «è un rapporto dell’Agenzia atomica dell’ONU (AIEA) del 19 febbraio». Gli ispettori hanno «rinvenuto nella centrale di Natanz 209 chili di uranio di cui si ignorava l’esistenza».

iran_nuclear.jpgDopo di chè, il Molinari dava la parola  ad un «ex-ispettore» ONU (notate l’ex: non fa più parte della AIEA) di nome (indovinate di quale piccola comunità) il quale assicura: l’Iran «ha superato la linea rossa» perchè «grazie all’uranio arricchito accumulato può realizzare una bomba atomica di 20-25 kg». E sempre più sicuro di sè, lo Albright o Molinari asserisce:«Il potenziamento finale dell’uranio arricchito non avverrà certo a Natanz ma in un impianto segreto del quale la comunità internazionale non è a conoscenza», ma la cui esistenza Albright dà per certa.

Anche tutti i giornali britannici ed americani hanno ovviamente strillato la notizia con opportuno allarmismo. Il New York Times ha battuto sul tasto secondo cui la AIEA avrebbe «sottovalutato» la quantità di uranio in mano iraniana. E, come Molinari, dà voce a un «funzionario della AIEA», in questo caso «anonimo», il quale dice la stessa cosa dell’ex-funzionario Albright sentito dal Molinari.

Beh, a leggere bene, non proprio la stessa cosa. L’anonimo del New York Times dice:

«In linea teorica, se si calcola quanti atomi di uranio 235 (militare) ci sono in 1.000 grammi di LEU (cioè di uranio a basso arricchimento), si hanno abbastanza atomi di uranio 235 per ottenere una quantità significativa di esso. Sicchè in teoria è possible (avere il materiale bastante a una testata atomica), ma se usano solo (la centrale di) Natanz, non sono ancora a quel punto» (2).

Dunque, come si vede, l’anonimo del New York Times, ammesso che non sia lo stesso Albright sentito da Molinari, è molto più prudente. E’ attento a infarcire le sue frasi di «in teoria», di «se» e di costruzioni ipotetiche. Ci dice inoltre che a Natanz, la centrale controllata dalla AIEA, gli iraniani non hanno abbastanza centrifughe per arricchire l’uranio a livello militare. Non aggiunge la certezza, propria del Molinari, che gli iraniani hanno un’altra centrale nascosta a tutti.

Naturalmente, da Israele il non-ancora-premier Netanyahu ha subito gridato che gli Stati Uniti devono capire che l’Iran «rappresenta la più grave minaccia all’esistenza di Israele»; e subito, Washington ha intimato all’Iran di «mettere fine al riprocessamento dell’uranio».

A dire il vero, il rapporto AIEA che ha suscitato tanto concertato allarme sui media dice in modo categorico: «Non ci sono indicazioni di attività di riprocessamento in corso» nelle installazioni nucleari iraniane. Il che smentisce direttamente le asserzioni o ingiunzioni di Washington. Ma è anche vero che il rapporto della AIEA è scritto in modo così fumoso, da lasciare spazio ad allarmismi interessati.

Perciò Kaveh L. Afriasabi, un analista politico, giornalista e saggista di origine iraniana che vive in USA, ha chiesto chiarimenti direttamente alla AIEA: è vero o no che l’Iran ha nascosto di avere 209 chili di uranio in più?

La portavoce, Melissa Fleming, ha risposto per iscritto (3): «L’Agenzia non ha alcuna ragione di credere che le stime dell’uranio a basso grado di arricchimento prodotte nell’impianto siano un errore intenzionale dell’Iran. Tali errori sono inerenti alla fase di primo impiego dell’impianto, quando non si sa in anticipo con quanta efficienza funzionerà in pratica».

«L’Iran ha fornito tutta la collaborazione su questo punto, e migliorerà le sue stime future».

«Nessun materiale nucleare potrebbe essere sottratto all’impianto senza che l’Agenzia se ne accorga, dato che l’impianto è sottoposto a video-sorveglianza e il materiale nucleare è conservato sotto sigilli».

Chiaro?

Come siano saltati fuori quei 209 chili in più, la portavoce lo spiega: si tratta della differenza fra la «stima» dell’uranio prodotto, secondo il rapporto ultimo, e la «misura» del rapporto precedente, datato 17 novembre 2008. Questa era «basata su misure effettivamente compiute dall’operatore e verificate con cura dall’Agenzia», mentre le altre sono «stime basate sulle predizioni operative su come l’impianto funzionerà, e non sono dichiarazioni formali del Paese».

Insomma non c’è nessun motivo di allarme. C’è solo molta e voluta disinformazione, di marca israeliana, o almeno israelita (Molinari, Albright, Netaniyahu), allo scopo di bloccare le aperture distensive tra Teheran e la nuova amministrazione a Washington.

Lo stesso fenomeno è avvenuto, curiosamente, a danno della Siria.

Di colpo, nei giorni scorsi, i media hanno strillato: la AIEA ha scoperto «tracce di uranio e di grafite» nel sito di Al-Kibar, quel capannone nel deserto che Israele ha bombardato nel settembre 2007, sostenendo che i siriani avevano lì un qualche impianto per armi nucleari. Un anno fa, la AIEA non aveva trovato alcuna traccia di uranio nel sito.

Anche qui, alla base della notizia (diciamo) c’è un rapporto della AIEA, a cui hanno accesso solo poche mani perchè deve essere discusso il mese prossimo, e - soprattutto - un «alto funzionario dell’ONU» rigorosamente anonimo che dice (4): nel sito che fu bombardato da Israele abbiamo trovato tracce «significative» di uranio.

Quanto significative?

Risposta: «80 particelle di uranio».

Quali particelle? Molecole? Atomi?

Non si sa. Ma sono «il doppio rispetto alle analisi preliminari condotte a novembre». Poi ci sono anche particelle di grafite «sicuramente di produzione umana», dice l’aninimo. La grafite può essere usata in centrali nucleari, ma anche in infinite altre applicazioni.

«Queste particelle di uranio», continua l’anonimo, «sono di un tipo non incluso nella lista dichiarata dalla Siria di materiale nucleare. Non è semplice contaminazione. E’ materiale nucleare non dichiarato, e la Siria dovrà dare spiegazioni».

A questo punto, Washington  intima minacciosamente a Damasco di dire tutta la verità sul sito. La Siria obietta che, magari, quelle tracce di uranio erano nei missili che gli israeliani hanno sparato. L’anonimo funzionario ONU ribatte che è «improbabile», immediatamente ripreso da una quantità di media occidentali.

Gli articoli sono tanti, che alla fine il lettore più attento comincia a credere che la cosa sia vera; in essi, non si capisce quando a parlare è la AIEA ufficialmente, quando ufficiosamente, o quando a parlare è un «anonimo funzionario dell’ONU»; ancor meno si capisce se l’anonimo è il ventriloquo della AIEA, oppure no. Secondo la Reuters, le tracce sono «inconcludenti».

El Baradei, il capo della AIEA, ha esortato la Siria ad essere più trasparente e a permettere un maggiore accesso «ad altre località che si dicono in relazione con» la supposta installazione bombardata (a indicare le altre località sono gli Stati Uniti).

Inoltre, ha invitato Israele a fornire informazioni che possano essere d’aiuto, incluse immagini satellitari; cosa che Israele non ha fatto ancora, a più di un anno di distanza, perchè non vuole che le sue immagini satellitari vengano «condivise» dalla AIEA con la Siria.

La fonte di tutto sembra essere un «Institute for Science and International Security», il cui fondatore e direttore è... David Albright. Che ha smesso di lavorare per la AIEA nel 1997 (5).




1) Maurizio Molinari, «Entro un anno Teheran avrà l’atomica», La Stampa, 19 febbraio 2009. Molinari è il commentatore preferito da Giuliano Ferrara per Il Foglio e la TV La7. E’ ebreo.
2) Citato da Kaveh Afrasiabi, «IAEA douses furor over Iran report», Asia Times, 23 febbraio 2009.
3) Kaveh Afriasabi, articolo citato. Il rapporto AIEA del 19 febbraio 2009, del resto, precisa di aver condotto 21 visite a sorpresa del marzo 2007, e di aver sempre trovato che la centrale iraniana «opera come dichiarato», ossia  arricchisce l’uranio a meno del 5% di U235.
4) «Doubts cast over Syrian nuclear claims», Herald Sun, 19 febbraio 2009.
5) Mark Heinrich, «IAEA finds graphite, more uranium at Syria site», Reuters, 19 febbraio 2009.


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