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Una «Gladio» di Cheney contro Obama
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Si consenta al vostro cronista una piccola soddisfazione: il 7 maggio, nel commentare il massacro di 120 civili in Afghanistan perpetrato da un bombardamento americano, ho scritto:

«Non si capisce, per ora, se è un classico Obamanismo - ‘parlare’ da Obama, agire da Bush - o se qualcuno, nel Pentagono o nella lobby, ha deciso di sabotare l’Obama ‘buono’ mettendolo di fronte a fatti irrimediabili».

gladio_cheney1.jpgLa conferma è arrivata presto. A pochi giorni dal massacro, Obama - più precisamente il suo ministro della Guerra, Robert Gates - «ha chiesto di dimettersi al generale David McKiernan, comandante supremo del teatro afghano da meno di anno» (1). Gates è stato abbastanza chiaro sui motivi del licenziamento: «La nostra missione in Afghanistan richiede nuovi approcci».

Che ci siano forze che, incistate nell’Amministrazione, «remano contro», è un sospetto sempre più insistente. Fatto singolare, il più esplicito a dar voce al sospetto è stato Dimitri Rogozin, l’ambasciatore di Mosca presso la NATO. Dopo aver protestato contro le varie «provocazioni» che l’Alleanza Atlantica ha messo a segno in questi giorni (le manovre occidentali congiunte con la Georgia, l’espulsione di due delegati russi presso la NATO), Rogozin ha detto parole inaudite:

«Riteniamo possible che ci sia un qualche complotto contro Obama dentro l’Alleanza Atlantica. La differenza tra Obama e l’ex presidente George W. Bush è troppo palese. Quel che dice il nuovo capo della Casa Bianca ci piace. Ma a quelli che hanno lavorato con la precedente Amministrazione può non piacere» (2).

gladio_cheney.jpgRogozin non può aver pronunciato queste parole senza il consenso del Cremlino. E’ stato anche molto attento a distinguere: «Per noi, tuttavia, la NATO non è un partner perduto. Ci sono forze attive nell’Alleanza che non appartengono al cosiddetto ‘partito della guerra’, ma al contrario sostengono il partito della pace, della cooperazione, della concordia».  E’ un messaggio ad Obama: tranquillo, non cadiamo nelle provocazioni della rete che ti rema contro. Cerchiamo di evitare insieme che la rete ci metta di fronte a «fatti compiuti» (3).

Pochi giorni dopo, intervistato dalla National Public Radio, il celebre giornalista investigativo Seymour Hersh ha indicato il gestore della misteriosa «rete» anti-Obama nell’Amministrazione Obama (4). Dapprima, Hersh ha detto che molti funzionari che gli avevano promesso di dargli informazioni sulle malefatte dell’amministrazione Bush, ora che Bush non è più al governo, non si sono fatti vivi: evidentemente hanno ancora paura, ha detto.

Paura di chi?, gli ha chiesto l’intervistatore.

Di Dick Cheney, ha risposto Hersh: «Ha lasciato nella macchina del governo gente di sua fiducia. Loro la chiamano un’organizzazione ‘Stay Behind»: è un termine proprio dell’intelligence. Quando gli USA si ritirano da un Paese o ne sono cacciati per aver perso la guerra, ci lasciano della gente fidata: è un gruppo «stay behind» che serve per mantenere contatti, capacità d’influenza, operare sabotaggi, qualunque cosa.

«Cheney ha lasciato uno ‘Stay Behind’ (nel governo). Ha molta gente in molte agenzie che ancora lo tengono informato su quel che succede all’interno. Specialmente alla Difesa, ovvio, ma anche alla NSA (National Security Agency). Può ancora controllare le direttive politiche? Solo fino a un certo punto. Ma è ancora lì, è ancora una presenza».

Come noto, anche in Italia la NATO aveva allestito una organizzazione clandestina Stay Behind, con agenti dei servizi, generali e politici anticomunisti: la Gladio, sospettata degli attentati con firma «nera» (false flag) durante gli anni della strategia della tensione.

Già nel 2006 un altro noto giornalista investigativo, Robert Dreyfuss, aveva rivelato su The American Prospect che Cheney aveva infarcito l’apparato del govero di «un corpo di suoi accoliti duri», avendo l’accortezza di insediarli come funzionari e burocrati permanenti, non come personale politico (che decade quando termina una presidenza). Sono «talpe», sono «i suoi occhi e le sue orecchie» nella burocrazia federale.

Dreyfuss evitava di fare i nomi. Ma uno di questi è certamente Jeffrey T. Salmon, un americo-israeliano coinvolto col settore petrolifero (Exxon) che scriveva i discorsi di Cheney al tempo in cui Cheney era ministro della Difesa sotto Bush padre. Prima di lasciare la poltrona di vice-presidente, Cheney ha nominato Salmon funzionario del Dipartimento dell’Energia (un ministero che si occupa non solo di centrali, ma anche di armi atomiche) come vicedirettore dell’Office of Science, un ufficio dentro il ministero.

Si può essere sicuri che gli altri membri innominati della «Gladio di Cheney» sono membri della nota lobby neocon. Gente che cerca di provocare «fatti compiuti» onde impedire soluzioni politiche alle guerre sciagurate di Bush in Iraq e in Afghanistan, ed in generale ogni apertura distensiva della nuova amministrazione verso la Russia e verso l’Iran.

Israele non ha nulla da guadagnare da una distensione che, fra l’altro, la costringerebbe a cedere qualcosa ai palestinesi nel processo di pace che Obama ha detto di voler ricominciare. L’attività di destabilizzazione deve continuare, nonostante gli sforzi della nuova Amministrazione di instaurare una politica di «soft power».

Il gioco sporco avviene su molti scacchieri: forse non a caso, il Guardian ha rivelato che i pirati somali ricevono direttive e informazioni molto precise su quali navi sequestrare da una rete che ha sede a Londra, ed ha notizie di prima mano sul traffico marittimo nell’area.

Seymour Hersh, si ricorderà, di recente aveva accusato Cheney di avere organizzato anche squadre di assassinio sotto la sua direzione esclusiva, per esecuzioni «mirate» in Paesi esteri. Waine Madsen, intervistato da «Russia Today», ha confermato (5): secondo sue fonti, la squadra della morte di Cheney esiste, collegata ad una struttura israeliana simile; anzi, ha anche eseguito l’attentato che ha portato alla morte di Rafik Hariri, il primo ministro libanese, il 14 febbraio 2005.

Un fatto compiuto spaventoso, che mirava ad estendere il conflitto alla Siria, subito accusata da Bush dell’assassinio. Per volontà americana fu insediato un tribunale speciale dell’ONU, il cui procuratore, l’ebreo-tedesco Detlev Mehlis, fece arrestare quattro generali libanesi secondo lui - e testimoni da lui sentiti - erano complici dei servizi siriani nell’attentato. Di recente i quattro imputati sono stati rilasciati e prosciolti (ne abbiamo parlato recentemente). Mehlis si è dimesso inseguito dal sospetto di aver subornato i testimoni.




1) Tom Baldwin, «US sacks top military commander in Afghanistan», Times, 12 maggio 2009.
2) «Is there a NATO conspiracy against Obama?», Russia Today, 8 maggio 2009.
3) Lo stesso messaggio può essere stato mandato da Teheran, con la inattesa scarcerazione della giornalista Roxana Saberi, iraniano-americana, accusata di spionaggio e condannata in primo grado ad otto anni. La mossa, che mostra un Iran aperto e ragionevole, è un duro colpo per il partito della guerra israeliano.
4) «Hersh: Cheney ‘Left A Stay Behind’ In Obama’s Government, Can ‘Still Control Policy Up To A Point’ «, NPR, 8 maggio 2009.
5) Thierry Meyssan, «Dick Cheney aurait commandité l’assassinat de Rafic Hariri», Réseau Voltaire, 7 maggio 2009.



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