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Benvenuti nella zombie economy
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Scioperano e scioperano i fancazzisti di Alitalia. Indifferenti a un semplice fatto: Alitalia è una delle aziende-zombie che abitano l’Europa. Non è la sola, perchè secondo i calcoli di Europe 2020, quasi il 30% dell’economia dei Paesi occidentali non è costituita oggi che da morti-viventi economici.  Imprese come Alitalia, Opel, Saab, Fiat, Iberia, la tedesca Quelle, di cui brillano ancora qua e là le insegne al neon, ma che non hanno clienti, e la cui sopravvivenza è mantenuta artificialmente da soldi pubblici o da progetti di ristrutturazione di esito perlomeno incerto. Tutti enti che vogliono esportare o trovare all’estero il consumatore avido che non esiste più in patria, o l’impresa investitrice che non trovano nel loro Paese.

L’elenco è sconsolante.

BANCHE-ZOMBIE: i cui bilanci sono troppo dissestati per consentire loro di prestare in modo adeguato; che magari dichiarano grandi profitti, ma la cui capacità di ripagare i debiti è assistita – come una cannula nelle guardie mediche d’emergenza – dalle iniezioni di liquidità pubbliche. Banche il cui valore economico è zero, anche se i loro manager intascano bonus miliardari. E la cui sopravvivenza è appesa al filo dei prestiti commerciali concessi nel boom, che oggi vanno a male, e dei prestiti al consumo di consumatori oggi disoccupati, o obbligati a risparmiare. Banche insomma insolventi, che la prossima bolla finanziaria che esploderà esporrà alla corsa agli sportelli dei depositanti, e alle esorbitanti richieste delle «controparti» dei derivati di cui sono strapiene. Possono ancora perdere qualcosa come 3,4 mila miliardi di dollari.

MERCATI FINANZIARI ZOMBIE: che sono in rialzo grazie alle immani liquidità regalate loro dalle Banche Centrali, le quali vogliono così dare ai piccoli azionisti e consumatori la falsa sensazione di ricchezza che, sperano, li indurrà a consumare come prima. Illusione, perchè a parte l’immobiliare, tutti gli attivi rincarano, a cominciare dall’oro, per segnalare una inflazione forte già in atto. Per avere un’idea di cosa significhino i rialzi di Borsa, annunciati euforicamente da 24 Ore, vedete la tabella qui sotto: è l’indice industriale (sic) dello Zimbawe.



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Indice industriale dello Zimbawe: un rialzo trionfale, in moneta locale con inflazione al 16 mila per cento



CONSUMATORI-ZOMBIE: anzitutto quelli americani, la cui «ricchezza» (in immobili che oggi valgono un quarto del prezzo a cui li hanno comprati, o il giardinetto di azioni che doveva consentire loro, secondo le promesse, una vecchiaia serena) è evaporata a tal punto da non permettere loro di consumare più, soprattutto non a credito. Ma anche gli europei, a milioni in via di disoccupazione, per ora mascherata dai sussidi e dalle casse integrazione e dall’impiego nelle aziende-zombie. Per quanto tempo ancora gli Stati-zombie potranno permettersi di pagare i sussidi di disoccupazione o di pseudo-occupazione, ecco la grande incertezza. La disoccupazione americana, calcolata con i metodi europei, sta per superare il 18%.



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Evoluzione del tasso di disoccupazione in Unione Europea ed USA



STATI ZOMBIE: USA e Gran Bretagna anzitutto, ma anche Giappone, e vari Paesi di Eurolandia, per non parlare di Argentina, Irlanda, Lettonia. Alcuni hanno sparato tutte le cartucce in piani di «salvataggio e stimolo» che non hanno funzionato; e le cui Banche Centrali hanno iniettato miliardi ogni giorno ormai da due anni (2008-2009) nella speranza di innescare la «impossibile ripresa»: Ora, indebitati in modo inverosimile e insostenibile, gli Stati-zombie non hanno più i mezzi per un altro piano (comunque destinato a fallire) di «stimolo economico». Stati che nel 2010 dovranno affrontare «la scelta fra tre decisioni brutali: iper-tassazione, inflazione, cessazione di pagamento», e magari tutt’e tre le scelte insieme (USA e Inghilterra). La Cina è il solo Paese che ha ancora fiato per una stimolazione economica. Le sue fabbriche lavorano a pieno ritmo, ma solo grazie a sovvenzioni di Stato, perchè non hanno più clienti: fabbriche-zombie, il cui stato di morti viventi si rivelerà nel 2010.

Se poi pensate che la Germania sia l’ultimo Stato solido in Europa, guardate questa tabella sul suo bilancio:

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IMPRESE-ZOMBIE: e torniamo al punto iniziale. Sono imprese aggravate dai debiti contratti con le banche-zombie, che non possono ripagare perchè i clienti sono zombie, e la crescita e gli investimenti non compaiono a nessun orizzonte. Gli Stati-zombie cercano di aiutarle... come ha fatto la Merkel con Opel, e il governo italiano con Fiat e Alitalia. Vedete con che bei risultati.

«La simultanea esistenza di tanti zombies è qualcosa che non è mai avvenuta a memoria di uomo e di speculatore finanziario», commenta David Troman, capo dei servizi finanziari della britannica PA Consulting: «Tutti hanno sepolto l’ascia di guerra e aspettano la ripresa, specie le banche. Con ciò, la capacità di alimentare la crescita resterà bassa (eufemismo) per un buon numero di anni».

Un buon numero d’anni. Perchè se il 2010 sarà l’anno in cui «le ricette del mondo di ieri mostreranno definitivamente la loro efficacia», nel decennio prossimo che proveremo sulla nostra pelle i grandi cambiamenti resi necessari dalla grande depressione. La crisi ha fatto sparire tra i venti e i trentamila miliardi di dollari dall’economia.

E’ ovvio che il cimitero sia abitato da zombie. Stati, imprese e lavoratori (o disoccupati) devono prepararsi alla lunga durata.

«E’ la fine del consumatore occidentale come l’abbiamo conosciuto per trent’anni», annuncia Europe 2020, e ciò rappresentarà una sfida per le aziende, i pubblicitari e il marketing.

Sta arrivando alla fine di vita la generazione del «baby boom» (nati nell’immediato dopoguerra, attorno al 1945), la massa demograficamente numerosa delle «bestie da consumo», poco economa perchè garantita da una previdenza sociale ricca e solida, incosciente e perciò sprecona, narcisista e dunque egoista: una pacchia per i pubblicitari e il marketing del superfluo. In America, questa generazione giunge alla vecchiaia, alle malattie dell’età, non avendo più soldi, avendo perduto in Borsa la pensione ed essendo sovraccarica di debiti: fine dell’Americam Dream. Ma anche i baby boomers europei sono a fine corsa.

Adesso sono le generazioni nate fra il 1960 e il ‘70 a dare la tendenza. In Europa, in Giappone, e in Canada, i bamboccioni con pochi soldi e mestieri poco stabili. Generazioni più eterogenee del baby boomer, che erano consumatori relativamente monolitici e di massa, e anche meno fornite di mezzi, perchè sarà ineluttabile un loro impoverimento relativo rispetto ai genitori, e ai consumatori di altrove, specialmente asiatici. Del resto, saranno questi giovani asiatici (e in minor misura sudamericani, anzitutto del Brasile) a dare il loro contributo al tono dei consumi del dopo-crisi, nel prossimo decennio. E non sarà facile, per i produttori europei – anche quelli del lusso – captarne i desideri.

Prima, marketing e pubblicità avevano il lavoro facile: bastava osservare le «tendenze» emergenti in USA, per sapere quello che il mondo (o la parte ricca delle società) avrebbe voluto comprare tre o dieci anni dopo. Ora, anche il modello americano come «sogno» va affondando nella miseria, perdendo prestigio. Si avrà a che fare non con «un» consumatore planetario, ma con «dei» consumatori: il mondo sarà multipolare anche nel consumo.

In Europa probabilmente la crisi non avrà l’aspetto esplosivo degli USA, dove si contano già 25 milioni di disoccupati senza prospettive di tornare al lavoro, dove una decina di Stati già hanno interrotto i servizi pubblici, e dove lo Stato federale stesso rischia l’implosione e cova la rivolta armata; da noi sarà un decadere e un triste accomodarsi nelle nuove restrizioni, in un clima di alta disoccupazione permanente e di salari bassi (1).

Con qualche eccezione: staranno peggio i Paesi dove l’indebitamento privato dei consumatori ha raggiunto un punto d’insolvenza. Ecco quali sono:

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Indebitamento al consumo, i primi d’Europa. In Italia stiamo meglio quanto a debiti privati. Abbiamo invece un enorme debito pubblico, ma in questo siamo ormai in buona (o cattiva) compagnia: secondo un’analisi di Societé Générale, entro due anni il debito pubblico del Giappone salirà al 270% del PIL, quello degli USA e degli altri europei al 125-130%. In USA, l’insieme dell’indebitamento pubblico più quello privato è il 350% del PIL.

In Europa, i consumatori saranno soprattutto «contribuenti»: l’esazione fiscale che gli Stati eserciteranno su di loro per scongiurare la bancarotta, saranno altrettanti mezzi sottratti al consumo, e perciò alle imprese. Quanto ai relativamente giovani nati negli anni ‘70, «i quarantenni non hanno alcuna fiducia nelle promesse dei loro sistemi pensionistici» di cui hanno visto la bancarotta dei sistemi a capitalizzazione privata (in Gran Bretagna e Olanda), e il restringimento nei sistemi a ripartizione all’italiana. Dovranno dunque risparmiare, e si volgeranno a investimenti di estrema oculatezza, oro, divise forti, alloggio... Sull’alloggio però va lanciato un caveat.

La generazione massiccia dei baby boomer, scomparendo a poco a poco, lascerà liberi una quantità di beni immobili, residenze primarie e secondarie. La nuova generazione che li eredita starà larga, perchè meno numerosa; ma certo i beni immobili saranno meno richiesti – meno domanda contro la forte offerta – e quindi, i loro prezzi destinati a calare nel medio-lungo termine. Per questo non conviene ai giovani indebitarsi per comprare ora l’appartamentino: se possono, meglio aspettare qualche anno, andando in affitto o vivendo da bamboccioni a casa di  papà ancora un po’. Le banche cercano di convincervi del contrario, sostenendo che i tassi bassissimi d’oggi sono un’occasione da non perdere per indebitarvi a lungo termine? Ragione di più per diffidare.

Del resto, i nuovi consumatori non hanno bisogno di essere incoraggiati: già diffidano delle banche e della finanza di cui hanno constatato le truffe, delle autorità pubbliche di cui vedono l’impotenza, la corruzione e la stupidità, della pubblicità e del marketing urtanti con le loro rappresentazioni di felicità artificiose «americane» e di lussi irragiungibili, ormai odiosi; diffidano di tutti i media che diffondono le menzogne delle banche e delle auorità: il che avrà un impatto negativo sulla pubblicità diffusa da quei media.

Il fallimento dell’allarmismo ufficiale sulla influenza suina è un segno precoce di questa diffidenza nuova; e così lo sviluppo di internet: sulla rete il neo-consumatore impoverito trova informazioni non suggerite dalle «autorità» ufficiali, e reti sociali di comunicazione trasversale.

Forse è l’esordio di nuovi atteggiamenti solidali, di gratuità condivise, di responsabilità comuni: speriamo. Perchè la  nuova depressione richiederà  risorse umane e spirituali, di cui il capitalismo terminale ci ha privato proprio per renderci consumatori senza limiti.

Fonte: Global Europe Anticipation Bulletin numero 39, 15 novembre 2009




1) E’ il parere di Patrick Artus, l’analista di Natixis: «Dopo la crisi, i meccanismi andranno nel senso di un calo dei salari nella zona euro (e in USA): elevata disoccupazione permanente; deformazione della struttura dei lavori nei settori dove i salari sono bassi; esigenza di redditività elevata del capitale (fondi propri) in un clima di crescita modesta e di ridotto indebitamento.  Questa evoluzione di tipo deflazionista rinforzerà la debolezza della domanda interna». Come scongiurare questa evoluzione? «La creazione di posti di lavoro qualificati ad alto reddito non si ordina per decreto», dice Artus, ma propone due strade: «La riduzione dell’esigenza di redditività del capitale privato attraverso il peso accresciuto dello Stato-investitore nelle imprese» (ossia:  nazionalizzazioni) e «una riforma fiscale a favore dei salariati», oggi i soli a pagare l’imposta sui redditi personali.



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