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Dopo il Kosovo: le mosse di Putin
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Quanto sia alto il salto nel buio che ha fatto Washington, e noi suoi servi europei, nel riconoscere l’indipendenza del Kosovo, lo analizza una interessante analisi di George Friedman, di Stratfor (1).
Il riconoscimento del Kosovo indipendente (o pseudo), esordisce Friedman, è una «sfida significativa» a Mosca e alla sua credibilità strategica nell’area.
Ora la credibilità della Russia è «indebolita».

Tanto più che «la Russia ha sostanzialmente ragione quando afferma che la decisione dell’Occidente viola il diritto internazionale, e certamente le convenzioni che hanno governato l’Europa per decenni. Per di più, ciò che Mosca chiedeva non era qualcosa che per USA ed Europa fosse difficile concedere. Le risorse destinate al Kosovo non caleranno certo a causa della indipendenza. Rimandare l’indipendenza all’ultimo momento possibile - ossia per sempre, vista la completa incapacità del Kosovo di provvedere a se stesso - si poteva fare senza grande sforzo».
L’Occidente non l’ha fatto.
Forse, ipotizza Friedman, meno per deliberato proposito di offendere Mosca che «per l’inerzia burocratica dell’Unione Europea».

Tutti credono che la Russia non potesse farci niente, se non «elevare proteste impotenti».
Il fatto è che tutti continuano a guardare a Mosca come «se fosse ancora quella del 1999: una potenza debole, le cui vedute sono ascoltate come irrilevanti».
Ora, se la Russia passa sopra a questo, «la sua reputazione crescente come grande potenza sarà gravemente danneggiata nell’area che le interessa di più: gli ex Stati sovietici».
Già il presidente della Bielorussia, «Aleksandr Lukashenko, che è più anti-occidentale di Putin e molto critico dello stesso Putin - ha dichiarato che è troppo tardi per dire la propria sul Kosovo; in altre parole, che il momento di impedire la secessione del Kosovo è passato nel ‘99, implicando che i tentativi di Putin di fermarla sono inefficaci perché la causa è persa. Sottinteso: Putin e la Russia non sono la potenza che dicono di essere».

«Questo non è qualcosa che Putin possa tollerare», continua Friedman.
«Per ragioni sia di sicurezza nazionale sia di economia, essere l’egemone nell’ex-URSS è cruciale per la strategia di Mosca e la credibilità personale di Putin. Egli sta oggi rinunciando alla presidenza nell’assunzione che il suo potere personale resterà intatto. Questa assunzione è basata sulla sua efficacia e decisionismo. Il modo con cui tratta con l’Occidente dà la misura del suo potere; il fatto di essere completamente non preso in considerazione dall’Occidente gli costerebbe troppo. Egli deve reagire. Per questo Putin ha indetto il vertice del CIS (Comunità degli Stati indipendenti, ex-URSS). Lì cercherà di avere i suoi poco fermi alleati al suo fianco per qualche risposta da dare all’indipendenza del Kosovo sotto protettorato euro-americano».

Per Friedman, ha tre opzioni:
1) Creare una coalizione per aiutare la Serbia; qualcosa che alla Serbia non interessa, e che gli altri Paesi del CIS non sono inclini a fare.
2) Aprire il grosso quaderno del cambiamento dei confini degli Stati.
Può «sostenere la piccola repubblica serba secessionista in Bosnia, gettando la grana nel campo europeo».
Può anche annunciare l’intenzione russa «di annettersi le piccole regioni separatiste ai suoi confini» (Ossezia, Abkhazia), «forse persino l’Ucraina orientale e la Crimea (abitate da russi)… La Russia può sostenere che l’indipendenza del Kosovo apre la porta anche alla Russia di spostare i suoi confini. Ciò può rendere il vertice molto ‘eccitante’, dato che vi partecipa la Georgia, alleata agli USA e ai ferri corti con Mosca per l’Abkhazia ed altre questioni».

Le terza opzione è la più allarmante: «Consisterebbe nel creare problemi all’Occidente su altri scacchieri. Al vertice partecipa come osservatore anche una delegazione dell’Iran… A parte un sostegno più deciso per l’Iran, che complicherebbe le cose a Washington in Iraq, c’è la questione dell’Azerbaijan, Stato stretto tra Russia e Iran. Oppure i russi possono accentuare la pressione sugli Stati baltici, che hanno riconosciuto il Kosovo e la cui adesione alla NATO è un pugno nell’occhio della Russia. I sovietici erano maestri nel reagire non dove erano deboli loro, ma era debole l’Occidente».

La conclusione di Friedman: «La probabilità più improbabile (anche se possibile, naturalmente) è che Putin possa semplicemente sorvolare sul problema Kososo. Chiaramente, sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Ha continuato ad opporsi ad alta voce prima e dopo. Più parla e meno fa, più appare debole. E’ una cosa che lui personalmente non può permettersi, e nemmeno la Russia. Egli ha avuto molte opportunità di ridurre le sue perdite prima che fosse dichiarata l’indipendenza del Kosovo. Non lo ha fatto. Le possibilità sono due: o ha sbagliato di molto le valutazioni, oppure ha qualcosa in mente. Ciò che sappiamo di Putin dice che è la seconda possibilità ad essere più probabile».

L’analista di Stratfor, in quanto americano, ha trascurato un’altra opzione in mano a Putin:
i problemi che può creare per ritorsione all’Europa come fornitore di gas e di petrolio.
La dipendenza europea dal gas russo, già fortissima, diventa ogni giorno più cruciale per la vita degli europei, con i rincari del petrolio e la crisi mondiale che s’instaura.
Possiamo pagare molto caro il nostro servilismo alla superpotenza al tramonto (2).

(Intanto, Berlusconi, dopo aver offerto un seggio a una pornostar di serie B - che, da persona seria ha detto no - adesso candida Fiamma Nirenstein. A segnalare a chi di dovere la sua ferrea subalternità verso poteri forti di cui non si è accorto che perdono forza e legittimità. A questo punto, per me, non votare il Salame diventa imperativo, e non per anti-sionismo. Significa legare l’Italia ad un’alleanza perdente e presto disgregata, a una superpotenza che non lo sarà più molto presto, ad un Paese come Israele che presto attaccherà il Libano perdendo ancora un po’ più di status morale nel mondo, e ad un disegno globalista in cui abbiamo tutto da perdere e nulla da guadagnare; il che è contrario in modo sempre più palese ai nostri interessi nazionali. A cui si dovrebbe cominciare a pensare seriamente).




1) George Friedman, «Kosovo, Russia and the West», Stratfor, 20 febbraio 2008.
2) Pretestuose difficoltà contro il gasdotto North Stream (quello deciso da Putin insieme a Schroeder per la Germania, che passa sotto il Baltico sottraendosi al passaggio in Polonia e ai pagamenti di royalty a Varsavia) continuano a venir opposte. Adesso ci si sono messi anche gli svedesi, con pretesti ecologici, e ovviamente i Verdi europei. (Russell Hotten «What’s in the pipeline for North Stream?», Telegraph, 21 febbraio 2008). Naturalmente questo gasdotto diventa ogni giorno più essenziale, sia per la penuria di energia globale, sia per il disgregarsi della «alleanza» occidentale. Il prossimo presidente USA avrà da occuparsi troppo della situazione interna americana, per potersi permettere nuove minacce ed atti di forza planetari.


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