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La Bibbia non è storia: che fare?
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Fu dunque un vento a 100 chilometri l’ora ad aprire il Mar Rosso davanti a Mosè e agli ebrei in esodo dall’Egitto? Lo dice lo scienziato Drews ritenuto buono da Stefano Maria Chiari. Il don Ferrante del Manzoni negava con la stessa scientificità che la peste fosse contagiosa (e che dunque occorresse evitare gli affollamenti) e dimostrava con razionalissimi argomenti aristotelici che la causa della pestilenza era la cometa apparsa due anni prima. Sarà bene evitare, in questo sito cattolico, di appendere la nostra fede a questo tipo di argomentazioni, per non travolgere la nostra fede nel ridicolo di cui si coprì don Ferrante.

E non solo questo. Informarsi sulle scoperte rivoluzionarie dell’archeologia in Palestina non è occuparsi di cose antiche, da eruditi. Al contrario, stiamo parlando della più scottante attualità.

La Torah – i primi cinque libri della Bibbia – costituiscono la storia del moderno Stato d’Israele. E la Torah narra di come il solo e vero Dio ordinò agli antichi israeliti di invadere e conquistare la terra di Canaan, strappandola alle popolazioni che le abitavano ma non ne erano degne, anzi ordinando loro di sterminare quelle genti totalmente, compresi donne bambini e animali, ogni essere che respira.

E’ in forza di questa storia primordiale e feroce che lo Stato sionista s’è impadronito del 90% dei terreni e delle case prima abitate dai palestinesi, con una serie di guerre di conquista echeggianti (e celebrate come) le conquiste fulminee di Giosuè, il successore di Mosè, contro i piccoli regni di Canaan. E’ in forza di questo diritto divino che i coloni ebraici occupano anche quel poco di terreni che è rimasto ai palestinesi, strappano i loro oliveti, li angariano e li uccidono. E’ a causa di questa storia che lo Stato d’Israele rigetta ogni trattativa con le autorità politiche che i palestinesi hanno eletto: trattò forse Giosuè con i moabiti, gli amorrei, gli abitanti di Gerico e gli altri cananei? Li massacrò fino all’ultimo.

La verità storica del racconto biblico è il fondamento della legittimità del moderno Israele. I suoi cittadini non si vivono come americani, europei, australiani andati ad occupare con la violenza terre di altri, in base ad una ideologia suprematista, il sionismo, elaborata nel XIX secolo tra Vienna e Pietroburgo; sono invece ritornati a Sion dopo 2 mila anni di esilio – ricorrente biblica sventura del popolo eletto e sofferente – ed attendono al loro riscatto. Si sono ripresi la loro eredità, com’è loro diritto biblico. E tutto quel che segue – guerre di conquista, primitiva mancanza di pietà e umanità verso gli altri, discriminazione razziale degli occupati, aggressione periodica dei vicini, rifiuto di ogni accordo con essi, applicazione della halacha (legge talmudica) come preminente rispetto al diritto moderno – non è ai loro occhi che obbedienza alla Legge di YHVHY di fronte a cui, logicamente, le leggi umane non hanno alcun peso.

Se dunque l’archeologia smentisce questa pretesa storicità – non ci fu conquista armata di Canaan, le 11 tribù di Israele del Nord non furono mai unificate da re David col piccolo regno di Giuda al Sud, del grandioso tempio di Salomone e della sua fastosa reggia non si trova la menoma traccia materiale, la Bibbia stessa si comprova un testo di propaganda rimaneggiato per secoli, ben oltre l’era cristiana – da cristiano vedo in questo una suprema ironia della Provvidenza. Proprio adesso che la Torah serve a legittimare, anzi a sacralizzare un potere politico malvagio e omicida, proprio in questo momento storico riceve la sua smentita più clamorosa; e da archeologi israeliani che, ormai padroni del territorio, hanno potuto fare scavi e prospezioni in ogni metro della terra santa, ottenendo smentite sempre più precise e circostanziate.

Non è un bellissimo scherzo? A me sembra d’intravvedere il sorriso di Cristo maestro d’ironia, quando rispose ai discepoli che – da ebrei ancor ciechi – litigavano su chi di loro sarebbe stato il più importante nel regno di Dio.

Invece, siamo qui, cattolici intimoriti, a cercare di salvare la storicità dell’Antico Testamento (pronti a rifiutare scienziati veri come quelli della facoltà di Archeologia di Tel Aviv, e a dar credito al modello matematico dello scienziato Drews luterano) per paura che se la Bibbia cade, cada anche Cristo.

Che debole fede, se si aggrappa a miti ormai insostenibili; e che pericolo per la fede, se ci ostiniamo ad appenderci a quella narrativa, e da essa facciamo dipendere la verità della Chiesa.

Non abbiamo visto abbastanza miracoli, guarigioni, prodigi di carità nei suoi Santi, anche contemporanei? La fertilità inesauribile della fede in Cristo e dei suoi sacramenti nel cambiare le anime, nel condurre ad azioni di carità e generosità eroica, e lo stesso suo contributo al miglioramento dei costumi e della civiltà umana, non ci ha ancora convinto?

Ovviamente, so che nella fede cattolica, Antico e Nuovo Testamento costituiscono un tutt’uno, e che la proposta (del vescovo Marcione) di separarli è stata condannata canonicamente. So e comprendo la scossa per la fede che possono subire semplici anime, ad apprendere che, se non la realtà storica, la regalità, le imprese, la unificazione dei due regni di David – da cui Gesù discende carnalmente – s’è ridotta ad un nucleo mitico minimo e incerto. Lo so e non ho risposte, se non una molto provvisoria: come sapete, la famiglia di Cesare, la gens Julia, vantava di discendere, tramite Enea, da Venere. E sicuramente la nobile famiglia conservava come suo più prezioso retaggio l’albero genealogico comprovante tale discendenza, a cui allora si sarà attribuita la massima importanza e prestigio. Oggi, nessuno fa dipendere il giudizio storico su Giulio Cesare e il suo erede adottivo Ottaviano Augusto, dalla domanda se Enea, il capostipite, sia esistito davvero, anzi nessuno attribuisce il minimo interesse a questo particolare.

Voglio dire: se David era un modesto capotribù altrimenti ignoto, se suo figlio Salomone – ammesso sia esistito – non costruì mai alcun Tempio, palazzo e stalle fastose, non è la divinità e grazia di Gesù a cadere; è la pretesa retrograda di imporre come veri e accettabili una concezione della legge che è un rigurgito di primitivismo feroce, in quanto vigente nell’età del Ferro.

L’archeologia ha comprovato che gli sterminii che la Bibbia attribuisce a Mosè e a Giosuè nel 13° secolo avanti Cristo non avvennero mai, ma furono parto della fantasia e propaganda (per fortuna impotente) di un piccolo popolo troppo ambizioso, elaborato nel sesto secolo avanti Cristo; secondo me, come cristiani dovremmo rallegrarcene, e proclamare ad altissima voce che quella pretesa legge è superata, che non ha posto nel mondo che ha visto Cristo camminare fra noi; che veramente si è compiuto adesso, grazie anche agli studi archeologici, il detto che di tutta questa costruzione «non resterà pietra su pietra», che non sia diroccata.

A trionfare, mi pare, è la nozione che «non cè più giudeo nè greco»; a cadere, una ideologia religiosa così primitivista da proclamare l’idea che c’è un unico Dio universale, ma per un solo popolo – e che infatti viene usata per giustificare pulizie etniche, espulsioni e massacri con armi moderne ultra-letali, maneggiate da neo-primitivi biblici, e credenti che gli altri esseri umani siano animali parlanti, i quali non avranno parte del mondo a venire.

Ciò che veramente impressiona nelle Scritture ebraiche, la Torah e i Libri dei Re e delle Cronache, è l’assenza totale di ogni aspirazione alla vita eterna. Tutti i divieti alimentari minuziosamente descritti dai Numeri e dal Levitico, tutte le purificazioni, abluzioni, imposizioni di endogamia e separatezza dal resto dell’umanità hanno un unico scopo: il mettersi in condizione di possedere una terra, e magari il potere in questo mondo intero. Una chiusura totale nell’aldiquà.

Dobbiamo rattristarci se quei testi vengono dimostrati falsi? Se tutto ciò «è passato e non tornerà»? Se la sola interpretazione della Bibbia a resistere alle smentite archeologiche, è quella metaforica e spirituale  che ne diedero, alla luce di Cristo, i mistici e teologi cristiani?

In quella narrativa lessero ciò che è « utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinchè luomo di Dio sia perfettamente attrezzato per ogni opera buona» (2 Timoteo, 3,16). E ciò, «in ordine alla nostrasalvezza» (Dei Verbum 13) perchè in quest’ordine, sì, la Bibbia è vera.

Non so, perchè non sono addentro alla professione dei teologi-biblisti ecclesiastici, se questo richiederà una profonda riflessione all’interno della Chiesa. Però basterebbe leggere le prefazioni ai libri biblici che si trovano su ogni Bibbia CEI, firmate da luminari dell’esegesi della Lateranense, del Gregoriano, del Marianum, per vedere che costoro sono al corrente delle smentite scientifiche degli archeologi.

Un solo esempio, tratto dalla prefazione di A. Stellini, ofm, del pontificio ateneo Antonianum al libro di Giosuè (sulla « conquista della terra santa»):

«... Dallinsieme si ricava limpressione che la vittoriosa campagna militare delloccupazione sia stata concertata sotto il comando unico di Giosuè con la partecipazione di tutto il popolo e con lo sterminio totale degli abitanti autoctoni (...) Questa misura, più teorica che reale (sic) è un fatto immaginato a distanza (...). Gli scavi archeologici, che palesano la distruzione di alcune città nel 13mo secolo come Hazor, non sono argomenti del tutto ineccepibili a provare la storicità dei racconti del libro di Giosué. Grande imbarazzo crea il fatto che secondo gli scavi archeologici, Gerico non esisteva come città nel secolo 13mo. Il libro di Giosuè presenta una versione semplificata ed epicizzata della conquista di Canaan, dovuta in gran parte alla storia e immaginazione popolare».

Effettivamente, come risulta dalle tavolette egizie di Tel El Amarna, ossia dall’archivio di Stato di Amenothep III e da suo figlio Akhenaton, Canaan era a quei tempi un protettorato egiziano, i cui deboli reucci locali pagavano tributo al faraone e ne chiedevano la protezione: il che rende inverosimile una conquista militare di fuggiaschi dall’Egitto, sotto gli occhi degli egiziani, su un territorio da loro controllato, e senza che il fatto venga segnalato dalla burocrazia pubblica egizia - che tutto osservava e scriveva. Le distruzioni come quella di Hazor vanno addebitate dagli scienziati non agli ebrei, che manco esistevano ancora come precisa entità etnico-politica, bensì al confuso ed enigmatico evento noto come linvasione dei popoli del mare, che distrusse anche Ugarit e l’impero hittita in Anatolia, dunque ben oltre Canaan – e che i redattori biblici ignorano completamente. Quanto a Gerico, le cui potenti mura crollarono, secondo la Bibbia, al suono delle trombe di Giosuè: non solo come tutte le altre città del luogo era priva di fortificazioni (perchè i protettori egizi interpretavano come volontà di rivolta la costruzione di mura, e intervenivano di conseguenza) ma effettivamente non era abitata nel 13° secolo, data della conquista, e anche un secolo prima e dopo rimase un centro minuscolo e insignificante, senza mura, e per giunta senza segni di distruzione.

Dunque padre Stellini dell’Antonianum è al corrente dei risultati delle ricerche archeologiche (del resto noti già da trent’anni) che smentiscono la narrativa conquistatrice di Giosuè: ma si nota con quanta reticenza e imbarazzo ne dà conto, anzi ne parla il meno possibile, pur ammettendo che si tratta sostanzialmente di « immaginazione popolare», messa per iscritto diversi secoli dopo i (presunti) fatti.

Ora, mi domando per quanto tempo questo atteggiamento reticente possa reggere. Le sconvolgenti, rivoluzionarie scoperte dell’archeologia biblica israeliana sono già ampiamente accettate nel mondo scientifico, e per giunta oggetto di accese polemiche in Israele e sui media colti inglesi e americani. Un giorno o l’altro verranno a conoscenza della più vasta opinione pubblica, nelle forme più orecchiabili della divulgazione approssimativa, e rischiano di portare argomenti alla miscredenza di massa. Alla Chiesa sarà chiesto di pronunciarsi, e sarà agitato di nuovo il contrasto tra scienza e fede faticosamente concluso con profusione di scuse sul caso Galileo?

Se la colossale smentita della Bibbia operata dall’archeologia non è ancora diventata nozione comune da noi, ciò non si deve tanto alla repressione operata dalla lobby ebraica sui media (anche se la Nirenstein già strilla che il negazionismo archeologico è peggio del negazionismo olocaustico – non a caso le due narrative vigenti e obbligatorie su cui Israele poggia la sua legittimità) e nemmeno tanto alla più spessa coltre di crassa ignoranza italiana su fatti di cultura. La vera causa, temo, è l’indifferenza e l’incredulità di massa verso le cose di Dio: il che non mi sembra un buon rifugio dietro cui la Chiesa possa nascondere il problema.

Dico questo anche perchè prevedo l’accusa, da amici tradizionalisti, di eresia marcionista. Sono tentato di rispondere: magari. Le eresie nacquero in tempi di fede così infiammata, che non sembrava troppo rischiare la vita e il rogo per questioni come il monofisismo, se Maria fosse madre di Gesù uomo o di Gesù Dio, o se YHVH fosse lo stesso Dio proclamato la Cristo, oppure un demiurgo inferiore. Ora, temo che le mancate eresie, come le mancate condanne ecclesiatiche, siano il segno di una comune incredulità, e poca passione per la salvezza dell’anima. Possa dunque l’archeologia ravvivare la passione di verità; ma il discorso sia ad un livello di altezza e di rigore, che superi un tantino lo «scienziato Drews» (1).

Questo è un articolo di una serie che conto di proseguire. Cominciando, magari, col dar conto delle discussioni che questo tema sta suscitando negli ebrei migliori e nelle loro riviste alte. Chi sa l’inglese, può cercare da solo sul web: Larry Saltzman, The Bible unhearted, e Daniel Lazare, «False Testament: Archaeology refutes Bibles claim to history». Gli altri abbiano pazienza di aspettare le mie traduzioni».




1) Sulle qualità scientifiche di questo Drews, basta scorrere il suo sito e la sua biografia, dove si dichiara un membro della chiesa della Anglican Mission in America, e mescola con citazioni bibliche ed evangeliche le sue elucubrazioni «scientifiche» pro-evoluzioniste; il che è ben intenzionato, ma è la strada più certa per fare cattiva scienza, e pessima teologia. Ad archeologi anglo-americani congregazionalisti e alunni delle scuole domenicali, che hanno scavato in Palestina con la pala in una mano e la Bibbia nell’altra, dobbiamo il secolo di cattiva archeologia che le ricerche scientifiche di Finkelstein ed altri stanno finalmente correggendo. Impagabile la conclusione: scrivetemi, ma «Dio legge le email». www.theistic-evolution.com/



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