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La BCE è anormale. E genocida.
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Tanto per cominciare, l’indipendenza di una Banca Centrale dal potere politico non è una legge naturale come il principio di Newton. Fino a una ventina d’anni fa, non era così, le banche centrali partecipavano ai finanziamenti dello Stato. Il dogma dell’«indipendenza» è divenuto intangibile, per la zona euro, relativamente da poco tempo: e tutte le altre banche centrali si comportano nel modo opposto anche oggi.

Una recente inchiesta di The Economist, ad esempio, ha acceso un faro sulla Banca Centrale indiana, la Reserve Bank of India, federazione di 28 Stati, un miliardo e 200 mila abitanti e crescita del 7% annuo. Economist denuncia con sdegno liberista fino a che punto una banca centrale e di Stato può regolamentare il sistema finanziario nell’interesse generale, invece di abbandonarlo ai «mercati». Guardate fino a che punto lo Stato tiene sotto il suo tallone il sistema finanziario – vibra l’Economist – e sdegnatevi. In India, le banche pubbliche assicurano più di un quarto dei prestiti del paese, e alle banche straniere non è lasciata che una quota di mercato del 5%. La Banca Centrale Indiana impone alle banche di investire il 25% dei loro depositi in buoni del Tesoro, e di depositarne il 4% nelle sue casse. E dirige il 40% dei prestiti ai settori giudicati prioritari, specie l’agricoltura. Detto altrimenti, lo Stato dirige oltre la metà (58%) del risparmio nazionali negli investimenti che vuole lui. Pensate che scandalo. Un dirigismo che è fonte di molti mali indiani, fra cui l’Economist elenca: 

Solo il 35% degli adulti hanno un conto in banca (maledetti indiani!) «il che rende difficile la riscossione fiscale». Certo, centinaia di milioni di poveri che non hanno alcun motivo di aprire un conto in banca e di farsi spelare le commissioni dal settore finanziario. Non come nella libera Italia, dove Monti ha l’ha reso obbligatorio ai pensionati miserabili.

L’11% dei prestiti sono andati a male. Dev’essere colpa del dirigismo, perché laddove impera il libero mercato dei capitali, come si sa, le banche sono troppo grandi per fallire, gli stati le puntellano a suon di denaro dei contribuenti, e le sofferenze bancarie non esistono; esistono le sofferenze dei cittadini. Il fatto che la Spagna abbia confessato che le sue sofferenze bancarie sono vicine al 13%, va inteso come una illusione ottica.

Le banche fanno prestiti a ditte amiche e ammanicate col potere politico. Il contrario, insomma, di quel che ha sempre fatto Montepaschi e Carigenova...

I bassi tassi d’interesse inducono i risparmiatori a comprare oro invece che obbligazioni (e magari splendidi derivati offerti a Londra e Wall Street), danneggiando la bilancia dei pagamenti. La metà del deficit commerciale indiano è dovuta all’importo dell’arcaico barbarico residuo.

L’inflazione è alta, al 10% (molto, molto meglio la deflazione in corso nella UE, è più sana). Metà del trading sulla rupia ha luogo all’estero. Le banche sono piccole e poco sviluppate (meglio averle «troppo grandi per fallire»). Eccetera eccetera. Lo Stato si indebita a troppo buon prezzo. Ci sono troppe regolamentazioni. Una quantità di prestatori di denaro senza licenza fa’ pensare che esista una domanda di prestito non soddisfatta (e Citigroup, Barclay’s e Standard Chartered avrebbero tanta voglia di soddisfare quella domanda, magari con le carte di credito revolving). Eccetera eccetera, insomma una sequela di piaghe da dirigismo.

Pensate – s’indigna l’Economist – che lo stato può finanziare senza problemi il deficit pubblico a 7-8% l’anno, cosa che nella ben libera Europa è vietata (se uno stato s’indebita sopra il 3% viene punito), e quindi assistere la crescita economica invece della recessione-depressione. Persino l’Economist deve ammettere che questo statalismo ha protetto l’India dalle crisi del 1997-8 che hanno devastato il Sud-Est Asiatico, e ancor più l’ha protetta dalla crisi globale del 2008, quella che da noi continua tuttora e che non sembra voler finire ancora per anni. L’India, pur tra molti squilibri, sta crescendo al 7% negli anni buoni. 

Tutto sommato l’inchiesta dell’Economist induce alla conclusione opposta a quella che intendeva suggerire: per l’inetresse generale, è meglio tenere sotto maggior controllo il settore bancario e finanziario. Il finnziamento dei deficit di bilancio più grossi che il 3% è un vantaggio evidente per noi poveri europei sotto eurocrazia. La Reserve Bank of India, dice l’Economist, è forse la migliore istituzione pubblica indiana ed esente da corruzione: magari il punto è proprio quello, l’esistenza di una classe di grand commis patriottici e competenti. a banca centrale detiene oggi il 17 per cento del debito pubblico nazionale, che è passato dal 5% dei suoi attivi (2008) a 18% oggi, un bell’ammortizzatore anticiclico. Anche nella crisi globale e con le sue inefficienze, così, l’India vede crescere il suo Pil del 5% annuo. E siccome la Cina è governata da una politica monetaria simile (dirigista), si rischia di dedurne che metà dell’umanità, un 3 miliardi di uomini, non vive sotto banche centrali indipendenti, ed è quella metà che cresce.

Il blog francese Frapper Monnaie, neocartalista, ha analizzato i tassi d’interesse indiani dimostrando la perfezione con cui la fissazione del tasso direttivo (da parte della banca centrale) influenza i corsi dei tassi a lungo, per un paese che ha conservato la propria moneta sovrana. Niente spread per l’India, nessuna soggezione ai «mercati finanziari» e ai loro giochi o paranoie. Niente austerità quando c’è bisogno invece di stimolare l’economia... (Les taux indiens)

E giusto per ricordarlo, la Banca d’Inghilterra ha violato la dogmatica liberista della «indipendenza», e stampa. Non è la sola: Federal Reserve in USA, Bank of Japan, persino la banca centrale svedese stanno attuando politiche attive di sostegno all’economia.

A restare sola è la BCE: è l’anormale del mondo. E poi ci si chiede «Perché l’euro è ancora così forte?», come hanno fatto i governatori della BCE il 5 dicembre, nella loro ultima riunione a Francoforte. Un’anormale guidata da sub-normali?

Vediamo: la BCE si rifiuta di acquistare i debiti pubblici, abbandonando gli stati in difficoltà ai capricci e agli umori dei mercati, al contrario di quel che fanno le banche centrali del resto del mondo. Tuttavia, non ha esitato a creare dal nulla mille miliardi di euro per rifinanziare le banche private all’1%, senza contropartita, mentre costringeva gli Stati a politiche di austerità durissime. Il che significa: la BCE continua ad agire nel solo interesse della finanza privata, quando anche le banche centrali più credenti nel dogma del mercato, come la Fed, stanno stimolando l’economia reale.

Oggi, poi, a Francoforte ci si è accorti che con quella immane somma le banche si sono riempite di buoni del Tesoro invece che dar prestiti alle imprese. Sicché nonostante l’alluvione di mille miliardi all’%, nell’economia reale c’è il credit crunch. E allora, il direttorio ha auto un’idea: rendere più costoso alle banche possedere titoli di Stato, esigendo dalle banche una copertura di capitali per le obbligazioni «sovrane» che detengono. Non è uno scherzo: è la bella pensata dell’economista-capo della BCE, il belga Peter Praet.

A prima vista, sembra trattarsi di un subnormale. Questo Praet, penalizzando le banche per la detenzione di titoli pubblici, forzandole invece a prestare alle imprese, otterrebbe lo stesso scopo che se le banche considerassero i titoli dei paesi fragili come crediti dubbi di stati vicini al default: il che è verissimo, ahimè; ma l’enorme somma di denaro non fu creata appunto perché le banche, indebitandosi all’1% potessero prestare a Spagna e Italia al 3 o 5%, implicitamente garantendo i debiti nazionali? Adesso invece praticamente sarebbe la BCE a degradare, e di molto, il rating dei paesi a rischio. Come pensa che stati che la BCE di fatto dichiara in stato fallimentare si possano finanziare sui mercati? I tassi d’interesse che questi chiedono a Italia e Spagna sono già eccessivi; salirebbero alle stelle.

La cosa è così stupida, che si deve pensare invece ad una astuzia machiavellica: il segreto intento sarebbe quello di obbligare i detti Stati a mettersi sotto la tutela chiedendo aiuti tipo OMT, Outright Monetary Transactions (quello che Draghi: «Farò tutto ciò che serve a salvare l’euro e sarà sufficiente»); un tipo di aiuto a breve, in cambio del quale lo Stato deve accettare la gestione controllata e le sue durissime condizionalità, in pratica la rinuncia finale ad ogni briciolo di sovranità. Ma tutti sanno che stati come l’Italia (o la Francia), se i mercati cominciano ad attaccare i loro titoli, sono troppo grossi per essere davvero aiutati. Allora non avrebbero altra alternativa che finire come la Grecia... L’altra, sarebbe quella di uscire dall’euro e ripudiare il debito. Ma la BCE è sicura che la classe politica che ci ha messo sul collo non lo farà.

Diamo dunque uno sguardo alla Grecia, nostro probabile futuro. Qui, l’anomalia europea e l’anormalità della BCE hanno un effetto tale, che c’è chi comincia a chiedersi se non siano i corso crimini contro l’umanità, e forse un genocidio. Per esempio l’organizzazione Médecins du Monde, che s’allarma perché il 30% della popolazione ellenica vive ormai senza copertura sociale e sanitaria, non si fanno più le vaccinazioni, e i feti nati morti sono aumentati del 21 per cento.(30% des Grecs vivent désormais sans couverture sociale)

Il potere d’acquisto della popolazione è calato del 40%, i disoccupati sono il 25% della forza lavoro (i giovani, il 50%), il salario minimo è stato tagliato del 22%, il numero dei suicidi è cresciuto del 26% fra il 2008 e il 2012, e l’1% della popolazione è emigrata nel solo 2011. Un albergo di Egina ha messo un’inserzione sul giornale dei piccoli annunci: cerco donna delle pulizie, stipendio zero, solo vitto e alloggio. «Il mercato del lavoro greco somiglia sempre più al mercato deglis chiavi», ha commentato il giornale Elefterotypia.

In questa situazione, gli emissari della Troika sono calati di nuovo ad Atene: pretendono dal governo la fine della moratoria sui mutui-casa (che porterebbe al pignoramento di 150 mila abitazioni), una nuova tassa sugli immobili, ed altri tagli perché il deficit greco rientri sotto il 3 per cento del Pil, nonostante il governo ellenpco abbia già decretato 2,1 miliardi di imposte aggiuntive e tagli di 3,1 miliardi alla spesa pubblica.

In pratica, il genocidio. E il punto è che la Grecia ormai non può uscire dall’euro, perché non le è stato lasciato più niente co cui sostenere la sua moneta. «Nel nostro caso», ha detto il ministro delle Finanze Yanni Stournaras, «il ritorno alla dracma aggiungerebbe una crisi monetaria alla crisi del debito. Come importare i prodotti di prima necessità, energia, medicine con una moneta ultra-svalutata? E inoltre, uscendo dall’euro non avremmo più diritto agli aiuti (europei) e alla Politica agricola comune: denaro europeo che rappresenta il 20% del bilancio nazionale da qui al 2020».

Quando anche l’Italia sarà ridotta così – quando le nostre imprese migliori saranno chiuse o vendute – nemmeno noi avremo di che sostentare il paese; non avremo più beni da scambiare contro i generi di prima necessità; allora non potremo più uscire dall’euro, perché la nostra lira, non sostenuta da un’economia reale decente, si svaluterebbe in modo proibitivo; allora come i greci dovremo stare aggrappati alla macina da mulino che ci trascina a fondo, in attesa di «aiuti» di cui, a spizzichi e bocconi e fra umilianti condizionalità, non potremo fare a meno. Letta, Napoletano, Monti e tutti questi stanno «guadagnando tempo» per la UE, e contro di noi. Per questo scopo genocida. (Grèce: "il faut nous aider à rendre la dette soutenable")

Credete che sia un’esagerazione? Come ha mostrato la Croce Rossa, ormai i poveri in Europa sono 125 milioni, un livello di miseria analogo a quello della fine della seconda guerra mondiale; ma l’anormale BCE, l’eurocrazia e Berlino non cambiano rotta. Ostinatamente, proseguono ed impongono le politiche che hanno portato alla rovina.

Forse che in quegli ambienti prevarrà il senso d’umanità, la compassione per la distruzione di vite e speranze umane indurrà a cambiare direzione?

In USA, nel 1931, nel pieno della Grande Depressione quando il 30% degli americani era disoccupato e le strade erano piene di gente ridotta a mendicare per fame, il sottosegretario al Tesoro, il banchiere Andrew Mellon ( uno degli uomini più ricchi del mondo, all’epoca) sconsigliò vivamente il presidente Hoover di mettere in atto soccorsi per gli ultra-poveri e gli affamati generati dalla crisi: stimava che la disoccupazione di massa avrebbe ottenuto l’eliminazione degli individui inetti al lavoro, incompetenti, sprovvisti di «laboriosità». Con le sue parole: «Liquidare forza lavoro, liquidare azioni, liquidare agricoltori, liquidare la proprietà terriera... ciò purgherà il marcio dal sistema. Gli alti costi della vita e l’alto tenore di vita scenderanno. La gente lavorerà più duro, vivrà una vita più morale. valori si aggiusteranno, e la gente intraprendente prenderà il sopravvento sui meno intraprendenti».

Questa spietatezza, questo cattivismo non è una patologia personale; è integrante della ideologia capitalista finanziaria coltivata in Gran Bretagna e che gli USA hanno diffuso nel mondo come ultima istanza. È per divincolarsi da questi sterminatori, che nell’Europa di quegli anni, alcuni popoli si scelsero dittatori sociali, sentiti più umani dei capitalisti. Nella stessa America del tempo, un Henry Ford si oppose a questa politica della malvagità, nei suoi conglomerati praticò una politica di alti salari, ritenendo che il mercato delle sue auto si sarebbe espanso se fosse cresciuta una classe operaia giunta a qualche prosperità. Ma Ford (che allora redigeva il suo saggio l’Ebreo Internazionale) era un industriale, non un finanziere; oggi, in Occidente, il capitale dominante è finanziario e i grandi industriali non ci sono più.

Bisogna concludere che, oggi, solo «i Forconi», con tutta la loro pretesa confusione, hanno la visione giusta.




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