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C’è qualche adulto in Parlamento?
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Curiosi confronti vengono in testa dopo aver letto su L’Espresso l’intervista alla ministra del Lavoro tedesco, Ursula von der Leyen. Il succo è solo in parte nel titolo, che fa dire alla ministra: «Non è la politica a creare lavoro ma le imprese. Portate gli studenti in fabbrica». Oggi la Germania ha un basso tasso di disoccupazione giovanile (7,7%) mentre, dice la Von der Leyen, «dieci anni fa la a era considerato il malato d’Europa, affetto da una disoccupazione giovanile molto alta. Insieme ad altre riforme del mercato del lavoro, abbiamo allora concordato un “patto per la formazione” tra imprese e sindacato...».

In che cosa consisteva questo patto?
«Nello sviluppare il cosiddetto sistema duale, che consente ai giovani d'imparare il mestiere direttamente nelle imprese. Oggi ne raccogliamo i frutti: un ragazzo su due segue questo percorso di formazione. Le imprese hanno così un serbatoio di personale specializzato che rende forte l’Azienda Germania. Il successo del sistema duale sta nel fatto che la formazione professionale non pregiudica l’accesso all’università». «Sa quanti mestieri offriamo ai giovani nel sistema duale? Un ragazzo può scegliere fra 340 diversi percorsi».

Il concetto clamoroso è «patto concordato tra imprese e sindacato». Inaudito. In Germania, pare ci siano tavoli dove gli industriali pongono ai sindacati le loro esigenze legittime (il bisogno di manodopera qualificata), e insieme cerchino i modi per soddisfare queste esigenze con reciproco vantaggio, fino ad impegnarsi insieme in un progetto strategico di riforma dell’educazione di massa; la fase di elaborazione e trattativa deve essere stata in qualche modo riservata fino a quando è stata presentabile; non pare siano apparse anzitempo rivelazioni su giornali, magari risultato di intercettazioni, per silurare il progetto ancora immaturo. Non sembra che i detentori della Pubblica Istruzione, quella che da noi chiamiamo la Casta insegnante, si sia intrufolata per ostacolare o impedire la riforma, strillando che le sottraevano le sue «prerogative» e «competenze», ossia il monopolio dell’istruzione; o almeno abbia preteso di «controllare e certificare» tutto questo, come detentore del monopolio. Ciascuno sembra aver fatto lealmente la propria parte, in uno spirito di comunanza e di unità per migliorare, a cui non saprei che dare il nome di «amor di patria».

Da noi sarebbe successo tutto questo. Qualche giornale (o blog) avrebbe strillato cose come «accordo segreto fra padroni e Uil»; ciò avrebbe indotto immediatamente a schierarsi gli Ideologi (lo siamo un po’ tutti, come siamo un po’ tutti capitani della Nazionale) a demonizzare il progetto. Da sinistra sarebbe stato condannato senza appello come «classista» e «discriminatorio per i figli dei poveri, un favore ai padroni»; la Fiom sarebbe scesa in piazza al grido «la scuola non deve essere al servizio dei padroni», spalleggiata da SEL (Sodomia e Libertà) e da Magistratura Democratica, e simili entità.

La discussione, così posta, si sarebbe allargata subito a questione dei Massimi Sistemi, nell’evocazione degli slogan di parte, intimorendo tutti, politici anzitutto, che si sarebbero affrettati a proclamare che no, loro mai avrebbero dato il voto a quella roba. La Conferenza Episcopale avrebbe detto la sua, smentita da Enzo Bianchi e mazzetti di preti di strada . La Casta insegnante, temendo (giustamente) un confronto del suo con questo metodo di istruzione, avrebbe mosso i suoi santi in paradiso, fatto lobby nei corridoi e nelle redazioni, minacciato i sindacati (di cui i pubblici dipendenti sono la forza componente maggiore e più determinata) di abbandonarli, anzi avrebbe costituito Comitati Unitari di Base per opporsi, ovviamente agitando più nobili princìpi: come già detto, «no al classismo a scuola», «istruzione uguale per tutti», «autonomia della Cultura dal padronato». Tutti insieme sarebbero (saremmo, noi italiani) riusciti a far fallire il progetto, o – peggio – a farlo partorire come uno dei ben noti mostriciattoli istituzionali con le seguenti tre caratteristiche: inefficace al fine proposto di formare lavoratori utili, «controllato» dal Ministero che pretenderà di rilasciare i diplomi finali «con valore legale», e costosissimo per le pubbliche finanze. Tre caratteristiche ben note a chi in Italia subisce «la politica».

Dico questo pensando all’attuale governo, sostenuto dalla «vasta maggioranza».

Se c’è una giustificazione (e c’è, bisogna riconoscerlo) a governi che uniscono le opposizioni in unità nazionale (come in tempo di guerra), è chiarissima: fare riforme che incidono nei privilegi incrostati, e che nessuno dei due partiti da solo se la sente di fare, per non perdere voti o essere impallinato da detti poteri. Riforma della magistratura, separazione delle carriere, abolizione dell’autonomia alle Regioni-criminali, disciplina dell’alta dirigenza che difende se stessa impedendo ogni cambiamento, e dello strapotere sindacale che lo copre e perpetua – tutto ciò che fa parte del libro dei nostri sogni; ma almeno una riforma del sistema elettorale, sarebbe forse possibile. E magari la sola «riforma» che quelli sanno fare perché è dolorosa solo per noi e non per loro, unirsi e condividere la responsabilità per il prelievo forzoso sui nostri risparmi onde ridurre in modo sostanziale il debito pubblico. Magari esaminare seriamente se introdurre le riforme già fatte dalla Germania, e con cui la Germania si è messa nelle condizioni di primeggiare, perché no?

Invece no. Non ce la fanno. Stanno sprecando l’occasione «larghe intese» spezzandola in liti microscopiche, questioni marginali, nel solito, insopportabile «pro e contro» il Cav, e ripicche e partiti-presi così idioti e pretestuosi che non possono dirsi altro che «infantili». Si deve constatare che non ci sono adulti in parlamento, o che – se ci sono – sono travolti e azzittiti dalla puerilità maggioritaria.

A sinistra ci si spacca su ogni questione, e la sola cosa che conti come strategia politica – e su cui si spaccano – è: fare le scarpe a Renzi, o mettersi col 5 Stelle. La destra è stregata dai super-Berlusconoidi, le Ultime Raffiche irriducibili, le Pitonesse massimaliste che contro l’accelerazione inedita della Cassazione (anche quelli, naturalmente, non potevano farsi superare in infantilismo), hanno voluto un Aventino comico pidiellino di mezza giornata, su cui per giunta «il PD si è spaccato» (dai giornali). La proposta di legge del pidiessino Mucchetti di attualizzare la legge sull’ineleggibilità dei detentori di pubbliche concessioni – dato che quella in vigore risale al ’57, quando i concessionari pubblici non avevano catene di tv, ma privative Sali e Tabacchi – suscita strida da Grillo e da Travaglio, «ecco, il PD vuol salvare Berlusconi»: venendo da Ideologi che si catalogano «di Sinistra», è facile capire che l’idea sarà affondata («Il PD si spacca»), ottenendo il risultato ben noto: che Berlusconi resterà in eterno eletto, eleggibile ancorché continuamente accusabile da Grillo e Travaglio di essere incandidabile...

Sono così cretini e puerili, che ci si vergogna per loro. Ma secondo me non possono farci niente: ormai, in Italia, quello che chiamano «politica» è ridotto a questo litigio minimo, continuo e paralizzante. Il fatto è che loro, destra, sinistra e grilleria compresi, «non sanno fare altro». Il loro livello intellettuale e culturale, prima che morale, non è all’altezza di discutere soluzioni come quella tedesca. Per di più, devono nascondere la loro pochezza cerebrale – e come lo fanno? «Recitando» la loro opposizione o dissenso o parzialità ideologica. Si sentono davanti ad un pubblico – e siamo noi – e devono mettere in scena la «spaccatura». Far vedere ai loro pubblici di riferimento che sono con loro, che non sono mai in accordo con il nemico, ma sempre in disaccordo.

È la lunga tradizione della commedia dell’arte, del melodramma , della farsa e del fescennino – o il suo infimo livello, che è la lite da osteria, in Italia tutta parlata, recitata e senza botte: «Tenetemi se no lo ammazzo!!»,urla l’esagitato, e però guarda con la coda dell’occhio se gli amici accorrono a trattenerlo...». «Quando vedo Kyenge penso a un orango», sbava Calderoli (proprio lui, era meglio se non toccava il tema, con quella mente e quel portamento). «PD meno Elle!», bercia Grillo.

Sono anni che i berlusconiani minacciano: «Riformiamo i giudici!», ma mica lo fanno; se ne guardano bene. Anni e decenni che il PD sostiene che Berlusconi è in conflitto d’interessi, ma senza alzare un mignolo per sanare la situazione. Ci si spacca più volentieri sulle «nozze gay», sugli «immigrati», il «corpo delle donne»; la Rosy Bindi convoca la conferenza delle Donne Democratiche (esistono) e pretende: «Vogliamo un segretario donna!». Sarà questo il problema urgente...

E intanto 15 mila imprese sono fallite perché non hanno ricevuto i pagamenti dal cliente pubblico, il mostruoso debito pubblico sale, l’economia collassa, la disoccupazione galoppa, la Fiat non vende un’auto e si fa mantenere i suoi operai – che da anni lavorano una settimana al mese quando va bene – dai contribuenti con la Cassa Integrazione; il rating è scaduto a BBB; e tutto il mondo ci deride e s’indigna per la vergognosa figura internazionale che abbiamo fatto... no, non mi riferisco alla «rendition» di una donna e sua figlia al dittatore del Kazakstan (anche a quello), ma peggio: al fatto che il processo al comandante Schettino, quello che ha fatto affondare la sua nave con un migliaio di turisti scappando (o «cadendo») sul gommone... è stato rimandato per lo sciopero degli avvocati. Ignari, o indifferenti, al fatto che un processo così avrebbe richiamato i media mondiali. La CNN, come sappiamo, ha mandato in Italia la sua giornalista strapagata Erin Burnett e una troupe di tecnici del video: biglietti aerei, alberghi, stringer locale, traduttori, sono spese. Fior di spese.

Ora, mettetevi nei panni della CNN: un servizio costoso è fallito, perché c’è stato uno sciopero in un palazzo di giustizia italiano. E non erano stati nemmeno preavvisati. Per noi, se siamo mai dovuti entrare in un’aula giudiziaria, è una cosa a cui siamo rassegnati. Ma per gli americani è inconcepibile: uno sciopero?! Di avvocati, ossia professionisti!? In Tribunale, quando aspetta da mesi la prima udienza un capitano fellone che ha sulla coscienza 32 affogati e una nave coricata sul fianco e ripresa da tutti i network?

Beh, la bella Erin Burnett s’è incazzata. La capisco. Lei i suoi soldi (tanti) se li suda tutti lavorando senza sosta, e bene. E per non perdere del tutto le spese, ha fatto un servizio non sul processo Schettino, ma sull’Italia dove gli scioperi «sembrano una cosa normale» , e sia normale per il pubblico potere far perdere tempo, denaro e ore di avvocati al cittadino. L’Italia, ha detto la Burnett, «merita il declassamento del rating» (che da poche ore S&P ci aveva abbassato a BBB) con tutti questi scioperi. Non s’è lasciata sfuggire l’occasione di ricordare gli scioperi dei dipendenti Alitalia, «c’è un sito apposta del ministero dei trasporti che li annuncia», e forse «Berlusconi troppo impegnato col Bunga Bunga, magari perché le sue prostitute non scioperano». http://video.corriere.it/cnn-contro-italia-tutti-scioperano-come-stupirsi-downgrade/ffd6f5e8-ea30-11e2-8099-3729074bd3db

Conoscendo l’animus italiano, so che la maggior parte di voi reagirà al video CNN con urla di odio contro la Burnett, la CNN, gli americani in genere. Fate pure. Voglio solo avvertirvi che, così facendo, fate come i nostri politici: state recitando la vostra indignazione, mettendola in scena. Perché sapete benissimo che la giornalista americana ha ragione. E che quella immagine che ci ha reso, è la mera verità. E allora: davanti a quale pubblico state recitando? Non c’è bisogno, siete soli con voi stessi, Libero, Il Fatto o L’Unità non vi stanno ascoltando...

Ma forse il problema è proprio questo. Forse anche coi nostri applausi e fischi irriflessivi abbiamo reso i politici degli ultimi 30 anni così idiotamente puerili e incapaci di progettualità? Forse la scena in noi tiene il luogo della coscienza ed autocoscienza? E non c’è, o è ridotto a un camerino fra gli artifici scenici, quel luogo che chiamiamo «in interiore homine»?

Non tento di nemmeno di rispondere. Come convincere un popolo intero che collettivamente è poco intelligente?, si domandava sospirando Ortega y Gasset: ma pensava agli spagnoli, tranquilli. Fatto è che da noi non pare esserci il luogo dove, lontano dagli applausi e dai crucifige del circo, si possano cercare accordi di quel genere tedesco. Se ci si prova, si vien subito accusati di qualche «cospirazione», e spesso a ragione: il massimalismo oppositorio dei sindacati estremisti si accorda quasi sempre con un accordo sottobanco con un Marchionne per mettere a carico dei contribuenti i lavoratori, fingendo che siano ancora occupati i cassintegrati da quattro anni. Ma non è quello l’accordo politico per eccellenza. L’accordo politico è quando una parte espone all’altra – o alle altre – i propri bisogni ed interessi legittimi, e lealmente prova ad ottenere un consenso ampio, dimostrando che i suoi interessi coincidono con quelli delle altre parti. È questa la vera funzione della «politica», che da noi è stata obliterata dall’altra.

Ovviamente bisogna riconoscere nelle altre parti delle entità degne di esistere e di essere ascoltate, non eliminate come nemiche del popolo; parti della patria e del destino comune, utili a tutti e non solo a se stesse. Occorre anche un momento di riservatezza nelle trattative, che non è segreto ma «interiorità» riflessiva, in cui con l’apporto anche oppositorio delle parti, la soluzione prende forma; e ciascuna ha rinunciato a qualche posizione, o vantaggio o principio. In vista di un bene comune che sia chiaro a tutti.

In Germania – che non conosco – pare esistere qualche sede di discussione del genere, e molto collaudata: i sindacati hanno accettato decurtazioni di paghe e sacrifici estra-salario per mantenere la patria concorrenziale nel mondo globale; senza speciale clamore scenico è stata ingoiata la Hartz IV per i disoccupati di lunga durata, che riduce i sussidi, e li dà solo a chi l’occupazione li cerca davvero. Certo, ora ci sono otto milioni di sottopagati, con «minijobs» da 450 euro, e il 23% dei lavoratori è a 9 euro l’ora, come subito si fa notare in Italia.

Certo – ed è questa l’ultima cosa importante che devo dire – certo, le riforme Hartz I, II, tre e quattro sono tutte molto discutibili. Ma tutte le proposte politico-sociali lo sono. Sono discutibili per essenza: imperfette, con perdenti e vincenti relativi, e specie in tempi difficili, possono sacrificare alcuni principii e ideali. Per questo appunto vengono discusse. Se una proposta politica fosse ideale, e non avesse ombre ma solo luci, non ci sarebbe bisogno di discuterla, di trattarla e metterla a punto; si adotterebbe tal quale, e chi non la volesse sarebbe bollato come «nemico del popolo» e satanico ostinato oppositore: che è appunto quel che fanno le sinistre contro gli interessi legittimi altrui.

Il fatto è che, in tempi di crisi storica e difficoltà, d’urgenza quasi bellica, come gli attuali, c’è qualcosa di peggio che adottare soluzioni discutibili; ed è silurarle tutte, per imporre la soluzione ideale, scesa dall’iper-uranio platonico. In attesa, o nella lotta senza quartiere per la Soluzione Ideale, si resta paralizzati. Ad assistere, mentre il Titanic affonda, al teatrino degli idioti che loro chiamano «far politica» e per cui li paghiamo a peso d’oro.

E non si finga adesso di scandalizzarsi – come sulla scena – perché, dopo aver tanto dato colpa a Berlino di tanti nostri guai, qui lo si loda. Le critiche restano. E non fanno venir meno le lodi. Loro hanno visto il problema per tempo, e si sono preparati alla pioggia della globalizzazione, e meritano ammirazione per questo. Quanto a noi, ci facciamo dettare il da farsi, l’austerità e le riforme e tutto il resto, dai nostri concorrenti diretti, che sono loro. Abbiamo persino dimenticato che quando un debitore è grosso come siamo noi, è lui che ha il coltello dalla parte del manico (1); e potevamo minacciare le loro banche, che sono nostre creditrici. Questa sarebbe stata una politica senza servilità all’altra parte, riconoscendone le ragioni ma senza risparmiarle i torti.





1) Riportiamo qui l’essenziale del video del giornalista economico Harald Schumann. Il quale pone la domanda: «Quando l’Europa salva le banche, chi paga?» Ossia: 50 miliardi di euro per la Grecia, 70 per l’Irlanda, 40 per la Spagna – cifre astronomiche pagate dagli Stati e dai contribuenti (fra cui noi italiani, nonostante siamo considerati come la Grecia), alla fin fine, a chi vanno? Risposta non stupefacente: non ai Paesi «salvati» sopra nominati, bensì alle banche creditrici. Che sono soprattutto tedesche e poi francesi. Non si salvano gli Stati-cicala, ma le banche dei Paesi «forti», compensandole delle perdite per i cattivi investimenti e prestiti che hanno fatto. Le centinaia di miliardi sborsati vanno nelle tasche dei finanzieri, protetti contro ogni perdita a spese della collettività (Quand L’Europe Sauve Ses Banques, Qui Paye?)



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