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Dopo le api, le ostriche
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Sulla Manica, il 40% delle ostriche «giovani» (di 18 mesi) sono morte. Quanto alle larve di 12 mesi («naissans» nel gergo degli ostricari francesi) la perdita si calcola all’85%. Ciò significa che questo Natale - tradizionale periodo della scorpacciata - sarà l’ultimo in cui si potranno mangiare le ostriche, perchè solo le più mature sono sopravvissute.

Nel 2009 ci saranno due volte meno di ostriche del normale, e nel 2010 praticamente nessuna. Per i 15 mila allevatori della Bassa Normandia, che producono di solito 130 mila tonnellate d’ostriche, per 266 milioni di euro nel 2006, è la casastrofe.

Disoccupazione certa per i lavoratori fissi e già in atto per gli stagionali, incaricati di «scuotere» e rovesciare le «tasche» colme di ostriche in crescita nei cosiddetti «parchi», gli specchi d’acqua tranquilla dedicati a questa coltivazione di lusso.

L’Institut français de recherche pour l'exploitation de la mer (Ifremer), ha mandato d’urgenza i suoi esperti per studiare l’ecatombe e i rimedi posssibili. Apparentemente, gli specialisti si orientano a pensare all’opera di un virus, denominato OsHN-1, reso più virulento dal cambiameno climatico. Altri accusano la temperatura, alta in modo anomalo, dell'acqua. Altri ancora accusano la eutrofizzazione delle acque, che sottrae ossigeno ai molluschi. La verità - tragica - è che nessuno sa veramente cosa sia successo, e come rimediare. Si ripete quel che è già successo alle api, decimate in USA ed in Europa da una misteriosa malattia. Solo, colpisce la rapidità della strage.

«E’ accaduto in due giorni», dice Françoise Leroux, ostricultrice a Blainville, nella Bassa Normandia: «Lunedì 30 giugno ho rivoltato le tasche delle larve, ed erano tutte vive; mercoledì 2 luglio, ho trovato le ostiche in posizione verticale e aperte». Due giorni.

Qualcosa del genere era avvenuto anche negli anni '70, quando l’ostrica piatta portoghese, coltivata allora, era stata distrutta da un agente patogeno. Fu sostituita dall’ostrica cava giapponese, che ora copre il 99% della produzione francese; a quanto pare, ora è questa a subire lo sterminio.

Qualche ostricultore ammette che il bacino dlela Bassa Normandia, relativamente nuovo a questo allevamento, s’è sviluppato troppo velocemente e troppo densamente, fino a raggiungere la produzione del sito storico delle ostriche, nel Poitu-Charentes.

C’è chi sospetta dei moderni metodi: un tempo le larve di ostriche erano prese in natura sulla costa atlantica, oggi sono coltivate fin dall’inizio nelle «ecloseries», sorta di giardini d’infanzia per molluschi, ma sovraffollati. Qualcuno confessa di aver riempito troppo le «tasche» immerse, a rischio di una trasmissione più facile delle malattie.

Insomma, il motivo di fondo è quello stesso che mette a rischio l’agricoltura: la monocultura artificiale ed intensiva. E l’uso eccessivo di fertilizzanti. Sparsi eccessivamente sui campi, finiscono in mare dilavati dalle piogge e stimolano la crescita abnorme di alghe - le quali consumano tutto l’ossigeno, lasciandone poco agli altri viventi.

Proprio nel numero del 15 agosto la rivista Science ha elencato oltre 400 zone costiere soffocate da fertilizzanti e rifiuti industriali, dove il mare è ormai un deserto. Il numero delle «zone morte» è raddoppiato ogni decennio dagli anni '60.

Fortunatamente, questo effetto sembra essere reversibile: la rinuncia ai fertilizzanti in certe aree dell’ex Unione Sovietica ha portato abbastanza rapidamente ad una ri-ossigenazione delle acque.

L’Istituto nazionale agrario francese raccomanda di «diminuire l’utilizzo di concimi chimici e di fitosanitari», ciò che si può fare senza penalizzare i rendimenti. La FAO riconosce che, almeno in Europa occidentale, si è coscienti del problema e che nei quattro anni prossimi la quantità di fertilizzanti usata dovrebbe diminuire. Ma non nel resto del mondo.

(Fonte: Le Monde, 16 agosto 2008)


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