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La comica esultanza per Hollande
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Quale cuore è tanto duro da non commuoversi all’esultanza dei giornalisti e commentatori italiani di sinistra (cosiddetta) per la vittoria di François Hollande? Sono come bambini. Esultarono allo stesso modo anche alla vittoria di Obama il progressista, il pacifista laureato, il negro (peccato non anche gay...). Non disperano mai, nell’attesa della «vittoria della sinistra mondiale». E non riconoscono mai che a governare sono altre forze, che loro non vogliono vedere.

Adesso s’illudono che Hollande guiderà il «fronte della crescita» europeo. Ma saranno i «mercati» a decidere quello che Hollande ha il permesso di fare; già da subito lo spread del debito francese su quello tedesco si allargherà, i mercati puniranno ogni minima deviazione dal dogma.

Sia chiaro, non è una legge di natura. Ma l’intera classe politica europea ha messo il debito pubblico nelle mani dei «mercati», abbandonando la sovranità sulla propria moneta senza necessità. S’è legata mani e piedi alla finanza, a cui ha consentito tutte le libertà, mentre rinunciava alle sue. Ha abbandonato all’eurocrazia, o peggio ancora a meccanismi robotici, tutti gli strumenti con cui gli stati gestivano le crisi economiche: Banca Centrale di Stato, svalutazione, stampa di moneta, controllo dei capitali, nazionalizzazione di banche, eccetera. Rinunciato a tutto ciò, bisogna comunque andare col cappello in mano a farsi prestare i soldi dai «mercati», esibendo la propria austerity.

E poi, queste elezioni mica sono salite al livello europeo. I Barroso, i Van Rompuy, i Draghi, sono sempre lì, e nessun suffragio popolare li tangerà. E sono stati cooptati per completare, sotto qualunque circostanza e qualunque rivolta dal basso, il programma di Jean Monnet, che ha tanti aedi proprio nella sinistra (cosiddetta): occorre «più Europa», occorrono «altre cessioni di sovranità», perchè il ripudio del debito è impensabile, l’uscita dall’euro un disastro. Gli USE, United States of Europe, ecco quel che occorre. E come no? Noi in Italia abbiamo già accettato un governo ‘europeo’ frutto di un colpo di Stato presidenziale, che stronca tutti con le tasse. E adesso, i Bersani si aspettano che sia Hollande a dire quei «no» che la sinistra (cosiddetta) non ha mai detto?

Lo spettacolo del centro-destra che gongola per Hollande – anche là sperano che faccia quel che loro non hanno fatto – non è tanto commovente. Non è un caso di fanciullesca ingenuità, è un caso psichiatrico. L’ultima è questa: Berlusconi ha concluso che Alfano non è presentabile come premier, ed ha ordinato dei sondaggi per vedere se proporre, come premier, la Santanchè. Come si vede, c’è qualcosa di peggio del governo Monti, èd è il ritorno ai politici. A questi politici.

Ma a ben pensarci, l’esultanza delle sinistre cosiddette ha anche un lato meno fanciullesco e poco ingenuo: quando sperano che Hollande unirà attorno a sè il – fronte della crescita», stanno sperando nel «fronte della spesa pubblica».

Negli ultimi tempi, dopo aver inneggiato a Monti Goldman Sachs, a sinistra si sono accorti che i tagli e le tasse ai privati cittadini non bastavano; si avvicinava il momento in cui veniva posto il tema di tagliare le caste parassitarie, stroncare le infinite fonti di spesa, e dunque di clientelismo. La gente lo chiede con sempre maggiore irritazione, non si contenta più dei risparmi di ridicoli 4 miliardi (su 800 di spese) annunciati del «tecnico» Giarda. Bisognava estendere la «austerity» anche alla bolla dorata dei dipendenti pubblici, dei magistrati fancazzisti e strapagati, dei partiti politici inesistenti ma finanziati. Insomma, di tutta la parte della popolazione che non è esposta alla competizione globale, che nulla produce, ed ha emolumenti altissimi pagati da chi i soldi allo Stato li dà.

Adesso arriva Hollande: promette assunzioni nel pubblico impiego, promette «tasse ai ricchi», e i cuori delle sinistre italiote si allargano: non occorrono più riforme dolorose per il proprio elettorato! Assumiamo altri precari nelle scuole! Li pagheremo tassando i ricchi del 75%, come fa Hollande! Tranquilli, Hollande non lo farà, perchè i ricchi scappano con i loro beni tassabili, e i mercati bastonano. È demagogia. Ed è anche mezza misura, se non affronta il tema centrale: questa Europa dei banchieri e dei burocrati-ideologi.

E a noi resta il problema di ridurre a dimensioni l’ultimo Stato sovietico rimasto. L’Italia, cioè. Che i «tecnici» non toccano, anche se Monti si fa passare per un liberista, avendo insegnato alla Bocconi, il tempio accademico dei «mercati». Ma uno Stato che si accaparra il 52% del PIL non è uno Stato liberista. Da noi non c’è il «libero mercato», se non negli interstizi della società che sfuggono all’occhiuta sorveglianza del Moloch statalista torchiatore.

Quando il settore pubblico è il maggior spenditore, consumatore e pagatore, è ovvio che la maggior parte delle imprese formalmente «private» hanno come unico cliente lo Stato (o regioni, Asl, provincie, gli 8 mila comuni), e quindi sono imprese dipendenti e sussidiate dal settore pubblico. Il loro interesse non è «conquistare mercati», ma convincere l’assessore X o il presidente Asl Y ad assegnare a loro le commesse: con tangenti, con fornitura di escort e vacanze pagate, con appartamenti regalati a loro insaputa.

Nell’insieme, si calcola che quelli che «campano di politica» siano tre milioni. Ma bisogna aggiungervi la decina di milioni di addetti di imprese che vivono succhiando il settore pubblico, che campano solo perchè vendono alle ASL siringhe e TAC a prezzi maggiorati e fuori mercato, perchè forniscono servizi al settore pubblico pagando tangenti (che poi ricaricano sui prezzi). Insomma, riformare il settore pubblico parassitario – già difficilissimo, quelli difendono bene i loro privilegi – non basta. Il problema è questa enorme «imprenditoria» inefficiente, deformata e corrotta dal cliente-Stato, che è interessata al mantenimento dello status quo, altrimenti – appena esposta al «mercato» – morirebbe, come fanno i vampiri alla luce del sole.

È esattamente il tipo di problemi che si presentò negli Stati sovietici. Come riformarli, senza far crollare tutto? Anche in questo sito, è malagevole combattere su due fronti: da una parte denunciamo le magagne del «liberismo globale» e della finanza senza regole, della dittatura dei «mercati»; dall’altra, dobbiamo gridare che l’Italia ha bisogno di più liberismo e più mercato È difficile invocare «più statalismo» fuori, e «più concorrenza» dentro.

Le «sinistre» hanno adottato il «liberismo» che consiste in questo: servile adorazione dei «mercati globali»; e , all’interno, il tentativo di liberalizzare i taxi o le farmacie. Ma qui si tratta di liberalizzare gli statali nel senso di esporli alla concorrenza, magari mondiale (per gli emolumenti che diamo ai grand commis pubblici, accorrerebbero a frotte economisti premi Nobel…); a cominciare dai partiti. Come noto, i partiti non hanno democrazia interna, sono Bersani e Berlusconi, Casini e Fini, a decidere quali candidati mandare in parlamento: è qui che bisogna far trionfare «il mercato» e la «concorrenza», mica fra i taxi.

Le retribuzioni lorde medie del settore pubblico sono pari a 49 mila euro l’anno, mentre i privati hanno in media 35 mila euro lordi annui. E gli stipendi pubblici costano ai contribuenti 170 miliardi di euro l’anno. È evidente che tutti costoro si sono «sottratti al mercato» con grande successo, proprio negli anni in cui i nostri politici – firmando i trattati internazionali che hanno creato il mercato globale – esponevano tutti noi alla liberalizzazione globale del lavoro, che ha esposto i nostri salari alla concorrenza coi salari cinesi, serbi, messicani.

È questo che hanno fatto in questi decenni: cacciavano noi fuori, alle grandinate della globalizzazione, mentre loro si rifugiavano nella casa dorata che s’erano preparati: uno staterello sovietico tutto loro, ome nell’URSS di una volta dove il popolo faceva la coda per la carne e il latte, mentre la Nomenklatura aveva i suoi negozi riservati e traboccanti di storione, caviale e Marlboro. E avevano la faccia di chiamare il loro potere «Dittatura del Prolteriato». Era la Dittatura del Privilegiato. Esattamente come da noi.

Gli sprechi, i parassitismi, gli scandali di oggi sono solo la conseguenza di questa sovietizzazione di elite. Noi siamo sul mercato globale, loro sono la Nomenklatura di lusso, coi finanziamenti pubblici senza limiti, senza obbligo di rendiconto, nè selezione in base al merito.

Ho ascoltato Gustavo Piga, un economista che per qualche anno è stato a capo della Consip, la società per azioni di Stato (l’azionista al 100%: altra assurdità: il sovietismo mascherato da liberismo) che doveva accentrare l’acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, in modo da ridurre i costi con un’economia di scala: e si può ben tagliare, su una spesa di 130-140 miliardi annui, di cui si sa che una buona gestione può risparmiarne una trentina (2% del PIL). Un fallimento (1). Colpa della corruzione? Più ancora che alla corruzione, ha risposto Piga, gli sprechi sono dovuti a incompetenza. I capi dei servizi-acquisti di Comuni, provincie, regioni, ministeri, non sanno, nè si preoccupano, di valutare quanto costa una siringa e una TAC, e perchè alle Asl toscane costa tre volte meno che a quelle liguri (non parliamo sempre del Sud). Non sanno fare il loro mestiere.

Incompetenza. Ma in una economia di mercato, i dipendenti incompetenti vengono licenziati. Nel settore pubblico, gli incompetenti da licenziare restano tutti lì. Inamovibili: appena ieri il ministro «tecnico» Patroni Griffi (che è un pubblico dirigente) ha sottratto i pubblici dipendenti dalle norme di licenziamento più facili che la Fornero ha imposto ai privati. Le loro regole sono più favorevoli, e i sindacati (altro organo non-democratico, sovietoide, incostituzionale) potranno intervenire a loro difesa in ogni fase. (La «controriforma» degli statali)

Ha suscitato più di una risata la decisione del «tecnico» Monti di nominare tre tecnici per risolvere i problemi di spesa pubblica che lui non sa (o non vuole) risolvere: Amato per ridurre il finanziamento ai partiti, Giavazzi il bocconiano per i trasferimenti di Stato-sovietico alle imprese, e Enrico Bondi per ridurre le spese di beni e servizi della P.A. – Insomma quello di cui si occupava la Consip, e in cui ha fallito. Monti il tecnico sapeva dell’esistenza della Consip, che almeno ha accumulato una certa esperienza? Bondi è un bravissimo risanatore di aziende private, ma della mostruosa macchina cancerosa dello Stato non sa nulla. Dovrà ricominciare daccapo, o chiederà un parere alla Consip? O la Consip resterà come un altro ente inutile ineliminabile, perchè ha 550 dipendenti che non si possono mandar via?

Lasciamo perdere l’intrico istituzionale per cui il governo non-eletto nomina tre tecnici non eletti, di fatto, per esercitare azioni di governo che richiedono molto potere. Amato deve scavalcare la volontà dei parlamentari tutti, ben intenzionati a tenersi i soldi del finanziamento; potrà farlo? Il Parlamento dunque è «commissariato», e nello stesso tempo mantiene la propria autonomia di spesa?

Bella questione, per la democrazia. Ma si spiega così: è tutto un trucco dello Stato sovietico, dei suoi tecnici, della sua Nomenklatura, per placare i contribuenti incazzati che ormai irrompono nelle sedi dell’Agenzia delle Entrate con i fucili. Il regime sovietico-bocconiano non ha alcuna intenzione di cambiare.

Quando è cominciato tutto questo? Secondo me, con i referendum del ‘93. Allora il ‘popolo italiano’ si espresse chiaramente e in maggioranza schiacciante: NO al finanziamento pubblico dei partiti, SÌ al sistema elettorale maggioritario, SÌ alla responsabilità della magistratura perchè paghi i danni che fa...

Invece del maggioritario, ci diedero il Mattarellum, ossia con il 25% di proporzionale. Ma non si può essere «un po’ maggioritari», come non si può essere un po’ incinte: il sistema restò, di fatto, proporzionale (2). I partiti politici tutti d’accordo, perchè un vero maggioritario avrebbe fatto sparire i piccoli parassiti della politica, e il loro potere di interdizione, che fa comodo a tutti i privilegiati: quando c’è una vera riforma da fare, fa comodo che ci sia qualcuno che mette il suo veto, ed è invalicabile.

Il finanziamento pubblico dei partiti, s’è visto come l’hanno aggirato, è inutile tornare sul Lusi e il Rutelli. E mica potevano, lorsignori, lasciare che i magistrati pagassero in proprio i danni che infliggevano per dolo, colpa e incompetenza! Non sia mai che un dipendente pubblico venga esposto a qualche giudizio e valutazione! Si decise che sì, la vittima del magistrato tale avrebbe avuto un risarcimento, ma non dal magistrato; dallo Stato, che paga a piè di lista i giudici malefici e i loro errori. Insomma, è sempre il contribuente a pagare.

Insomma, i politici, i nostri rappresentanti, hanno tradito la volontà popolare così chiaramente espressa, in questioni così importanti. La volontà popolare aveva indicato una vera e propria grande riforma dello Stato. Non vollero, i politici, non gli faceva comodo cambiare nulla. Da quel momento hanno perso le ultime briciole di legittimità.

Ma questo non è ancora il fatto più grave. Il più grave è che i giornali e i giornalisti dell’epoca non chiamarono alla rivolta contro questa mostruosa violazione del sistema democratico. Il più grave, è che il popolo italiano, invece di cacciarli coi forconi, s’è rassegnato al loro dominio illegittimo, che intimamente sentivano come illegittimo. E quando un popolo si lascia comandare da chi «non deve comandare», deforma se stesso per adattarsi quella situazione che, nell’intimo, continua a sapere intollerabile.

Ci siamo deformati. Siamo diventati più cinici, e insieme più impotenti. Ci siamo corrotti. In molti, in troppi ci siamo detti: visto che «tanto fanno quello che vogliono», approfittiamone anche noi. Tutte le categorie pubbliche (eccettuate eroiche eccezioni individuali) si sono date a divorare il corpo sociale produttivo, senza alcun limite: perchè la illegittimità non porta a una diminuzione del potere di chi lo detiene illecitamente, al contrario: ora egli manovra le leggi a suo svergognato, esclusivo vantaggio.

Così lo Stato è cresciuto come un cancro mostruoso, fino ad impedire le funzioni fisiologiche della società.

È il «nostro» problema, mica quello di Hollande.

Adesso il corpo è finito, morente. Le imprese che «lavorano» con lo Stato e le Regioni non vedono i pagamenti, il settore pubblico è in arretrato di 60 miliardi, e gli imprenditori disperati sono tartassati, falliscono, si suicidano. Agli aspiranti suicidi, non resta che rivolgere l’invito che Churchill fece agli inglesi, quando si temeva imminente l’invasione nazista, «portatene uno con voi».

Sapremo ribellarci almeno ora? Morte allo Stato Sovietico dei Privilegiati!




1) Questo Piga mi è stato simpatico perchè ha ammesso che alla Consip ha fatto molti errori per inesperienza – ammissione rara nello Stato sovietoide italiano. Nel 200-2005, scrive Piga, accentrando gli acquisti danneggiammo le piccole imprese (che non potevano competere con le grandi: era meglio lasciare che a livello locale, competessero le imprese locali piccole), però i risparmi ci furono. «L’importante lavoro di Bandiera, Prat e Valletti pubblicato sulla prestigiosissima American Economic Review dimostrò che i risparmi vennero scientificamente quantificati attorno circa al 28% di prezzo. Perché la spesa pubblica (prezzo per quantità) in quegli anni allora non scese? Semplice. Perché il Tesoro di allora non tagliò i capitoli di bilancio per lacquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni del 28% come invece doveva fare: le amministrazioni pubbliche si trovarono con tanti soldi in più da spendere (avevano comprato i PC al 28% in meno e quindi restavano fondi da spendere sul capitolo di bilancio non tagliato) e li spesero». Piga sottolinea che «Cè una legge da anni mai applicata, per una inerzia del ministero dell’Economia e delle Finanze, che prevede che le singole amministrazioni pubbliche possano procedere a farsi la gara da sé purché adottino come prezzo di partenza massimo quello di Consip. Nessuno ha mai mai verificato sistematicamente. Non credo esista nemmeno un ufficio presso il ministero incaricato di ciò». Questo Piga mi sembra un pochino competente. Ecco il suo sito: www.gustavopiga.it
2) Tant’è vero che il governo Prodi cadde nel 2006, perchè era sostenuto da 13 (diconsi tredici) partiti e partitini: una maggioranza che si disfece in pochi mesi, e il governo cadde. La «governabilità», che è lo scopo del sistema maggioritario, non è mai esistita, e non esisterà mai finchè non si eliminano i partiti sotto il 5%.



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