Il cardinal Michael von Faulhaber, arcivescovo di Monaco, tenne cinque
prèdiche, nelle quattro domeniche d’Avvento (3, 10, 17 e 24 dicembre) e nella
sera di San Silvestro (31 dicembre) del 1933, nella più grande chiesa di
Monaco, San Michele. Esse furono raccolte nel libro: «Giudaismo, Cristianesimo,
Germanesimo», che - come sostiene
l’eminente esegeta Ricciotti - «è un’opera di scienza», è lo «scritto di un dotto (...) specializzato in una scienza
poco divulgata (...), cioè la scienza biblica (...) il Faulhaber è uno
specialista di tali questioni, giacché ha passato undici anni facendo lezioni
bibliche all’Università di Wurzburg ed ha occupato all’Università di Strasburgo
la cattedra di Sacra Scrittura dell’Antico Testamento» (2). Vediamo di
studiare il libro del Faulhaber per rispondere alle eterne questioni, che sono
state sempre confutate, sin dall’epoca di Marcione, ma che rispuntano sempre
fuori, come se non fossero già essere state spazzate via dalla critica
storico-filologica, e oggi più che mai vanno di moda.
L’Antico Testamento è perfezionato dal
cristianesimo
Innanzitutto il cardinale tedesco, di vera razza «ariana», spiega che sin dal 1899 Chamberlain
nel suo libro «Le basi del secolo XIX»
asseriva che tra mosaismo e cristianesimo non c’era nulla di comune e che al
posto della Bibbia giudaica (del giudaismo prima di Cristo) bisogna metterci
una Bibbia (...) germanica (mentre lui era inglese)! Si cerca però di salvare
Cristo facendogli cambiare nazionalità: Egli non è più ebreo della stirpe di
David, ma è «ariano». Occorre quindi
fare una distinzione - scrive il cardinal Faulhaber - fra: «Il popolo
dell’Israele anteriore alla morte di Cristo e quello posteriore alla sua morte.
Prima della morte di Cristo, negli anni tra la vocazione di Abramo e la
pienezza dei tempi, il popolo d’Israele fu il depositario della Rivelazione. Lo
Spirito di Dio suscitò e illuminò degli uomini, i quali per mezzo della Legge
mosaica, dettero ordinamento alla vita religiosa e civile (...). Le mie
prediche si occuperanno soltanto di questo Israele degli antichi tempi (e non
d’Israele post-cristiano e talmudico, nda). Dopo la morte di Cristo, Israele fu
licenziato dal servizio della Rivelazione. I figli di quel popolo non avevano
riconosciuto l’ora della visita divina; avevano rinnegato e rigettato l’Unto
del Signore, l’avevano condotto fuori della città e l’avevano confitto in
croce. Allora (...) cadde il patto tra il Signore e il suo popolo. In secondo
luogo dobbiamo distinguere tra le Scritture dall’Antico Testamento e gli
scritti talmudici del giudaismo posteriore (l’Antico Testamento è buono ma
imperfetto ed è perfezionato dal Nuovo Testamento; mentre il Talmùd è cattivo
ed essenzialmente anticristiano e antimosaico, nda) (...). In terzo luogo
dobbiamo fare una distinzione, anche internamente alla Bibbia dell’Antico
Testamento, tra ciò che ebbe un valore transitorio, e ciò che doveva avere un
valore eterno»(3).
I valori eterni dell’Antico Testamento
«E’ un dato di fatto (...) che in nessun altro popolo
dell’antichità pre-cristiana quanto nell’antico popolo biblico, si ritrovi una
schiera così numerosa di uomini spiritualmente sublimi (…). In nessun altro
popolo si ritrova una serie di scritture, in cui così chiaramente, così distintamente,
così coerentemente siano esposte le verità fondamentali della vita religiosa,
come nel Pentateuco mosaico (...) nei libri di Samuele e dei Re (...) nei libri
delle Cronache, (...) nel libro di Giobbe, (...) nei Salmi, (...) nei libri
Sapienziali, (...) nei libri dei (...) Profeti (...) e dei Maccabei. Oggi,
poiché la storia e gli scritti degli altri popoli dell’epoca pre-cristiana sono
già esplorati, la storia delle religioni a confronti fatti può rivolgere al
popolo del Giordano una testimonianza di questo genere: Tu li hai superati
tutti, grazie al tuo livello religioso»
(4). Ma il giudaismo pre-cristiano
non ha prodotto da sé questi valori, bensì per grazia speciale di Dio. E se
qualcuno domandasse perché Dio ha scelto proprio il popolo ebraico, «di dura
cervice», gli risponderemmo con Sant’Agostino:
«Quare hunc trahat et illum non trahat, noli velle scrutare si non vis errare ». E’ il mistero della predestinazione,
dei singoli e dei popoli, che sorpassa ogni intendimento umano; esso resta un
segreto della grazia elettiva di Dio. Non è la nostra bontà che attira Dio, ma
è l’amore che Egli ci porta che ci rende finitamente e limitatamente «buoni».
Un’obiezione: il sacrificio di Abramo
Dio non ha chiesto ad Abramo un sacrificio umano; Egli volle
soltanto sottoporre il capostipite ad una prova, per vedere se avrebbe
perseverato nella fede e nell’obbedienza, anche in circostanze difficili.
Due gravi ammonizioni
Innanzitutto - il porporato tedesco ricorda - che i
cristiani non mettono l’Antico Testamento e il Nuovo sullo stesso piano, il Nuovo
Testamento deve essere messo al posto d’onore; tuttavia bisogna tener ben fermo
che anche l’Antico Testamento è ispirato da Dio. «Ma il cristianesimo, per aver
ricevuto le Antiche Scritture non è affatto diventato una religione giudaica,
poiché questi libri non sono stati composti da giudei, bensì sono stati
ispirati dallo Spirito di Dio e perciò sono parola di Dio (...). L’alienazione
dei giudei di oggi non deve essere estesa ai libri del giudaismo pre-cristiano» (5).
Inoltre con Cristo non conta più la parentela di sangue ma quella della fede;
quindi non importa se Cristo è ariano o giudeo. E’ importante sapere se Cristo
è «cristiano’ e se noi siamo diventati membra di Cristo mediante il battesimo e
la fede vivificata dalla carità. San Paolo scrive:
«In Cristo Gesù non ha alcun valore né il giudaismo in sé,
né il non giudaismo, bensì soltanto la nuova creatura» (Galati VI, 15).
I valori morali dell’Antico Testamento sono accresciuti nel
Vangelo
Gli ariani di ieri (quelli veri) e quelli di oggi (che
oramai di ariano hanno quasi solo il nome) obiettano contro i valori morali
dell’Antico Testamento Per esempio, affermano che Giacobbe è un soppiantatore
di legittima eredità, rubata a Esaù; ma la Sacra Scrittura racconta tutto ciò
senza affermare che quella di Giacobbe sia stata un’azione onesta; il misfatto
di Giacobbe è un ombra sulla sua figura morale. Inoltre - continua Faulhaber - «se
noi difendiamo l’Antico Testamento dall’accusa di essere del tutto privo di valore
morale, non pretendiamo tuttavia di dipingere a colori troppo chiari il quadro
morale del giudaismo pre-cristiano. In esso, come in tutte le religioni e le
razze, la vita pratica restò molto più in basso dell’ideale rappresentato dai
precetti morali. A fianco di molte luci ci furono molte ombre; a fianco della
verità, molta menzogna; a fianco della sapienza molta stoltezza; a fianco della
fede molta miscredenza; a fianco di alti valori morali, molte cose di minor
pregio» (6).
Una delle principali obiezioni è che la morale mosaica è una
morale da mercenari. E’ vero, risponde il cardinale, le persone pie dell’Antico
Testamento si aspettavano come mercede della loro pietà anche la benedizione di
beni terreni, per esempio che i loro granai fossero colmi di frumento. Certo, è
più perfetto battere la strada delle virtù spinti da puro amore verso Dio e
verso il bene, senza speranza di ricompense temporali; ma a tale altezza si
sono elevati solamente i Santi. Se uno mi dicesse che fa il bene solo per amore
del bene, senza alcun desiderio di ricompensa, gli direi: o tu sei un Santo,
oppure un ipocrita. Ora coloro che criticano le promesse dell’Antico Testamento
sono veramente puri da ogni ricerca di ricompensa? Un grande sistema morale che
sia stato ideato per tutti gli uomini deve valorizzare, a fianco ai motivi più
perfetti, anche quelli meno perfetti per le anime meno elevate.
E il cardinale
continua: «C’è poi un’ombra che grava su alcuni racconti e testi dei libri dell’Antico
Testamento, i quali sono moralmente sconvenienti. Onan diede il nome al peccato
di onanismo (...). Thamar si comportò come una donna pubblica. Cam fu uno
spudorato (...). Le sacre scritture hanno narrato queste cose purtroppo umane
nella lingua del loro tempo, nella lingua di un popolo di pastori che era in
continuo contatto con la natura; ma con ciò esse non hanno approvato quelle
spudoratezze, né hanno chiamato morale l’immoralità. E’ piuttosto il contrario;
esse infatti narrano che il castigo segue passo passo il delitto (...). Ma
sinché il Signore sceglierà degli uomini (...) sempre si ritroverà ciò che
purtroppo è umano. Nessuno sarà tanto fariseo da affermare che ogni vizio è
scomparso dai popoli della Nuova Alleanza (...) sarebbe farisaismo giudaico se
noi (tedeschi) ci mettessimo a ringraziar Dio quasicché noi fossimo assai
migliori di altre razze, e le nostre grandi città fossero dei giardini di virtù» (7).
Quindi il cardinale conclude: «Finiamola con le ombre dell’Antico Testamento,
finiamola con tutti coloro che furono o un Cam, o un Onan, o una Thamar! (...).
Finiamola col fariseismo (...), che nel proprio popolo non trova altro che luci
e nelle altre razze nient’altro che ombre!» (8). Tuttavia occorre ammettere, cosa che la Chiesa ha sempre fatto,
che non bisogna mettere la Bibbia intera in mano alla gioventù o a persone di
scarsa istruzione cristiana. Inoltre la Bibbia va sempre letta con note che
spieghino il significato dei versetti, secondo l’interpretazione data loro dai
Padri della Chiesa, che sono l’eco della Tradizione divino-apostolica, e che
soli - quando interpretano unanimemente, in senso morale e non matematico o
assoluto - un verso o un libro della Scrittura, possono darcene infallibilmente
il significato autentico, essendo il canale attraverso il quale l’insegnamento
orale di Gesù e degli Apostoli arriva sino a noi, di generazione in
generazione. Per cui bisogna diffidare del «fai da te» di stampo protestante in campo esegetico e anche di brillanti, ma
fuorvianti, letture fornite da qualche luminare della scuola filologica e «a-patristica».
I valori sociali dell’Antico Testamento
a) I poveri nella Bibbia:
«Quando tu mieterai il campo, non mieterai fino all’orlo del
campo, né spigolerai le spighe rimaste. Anche nella tua vigna tu non
racimolerai i grappoli e gli acini rimasti. Lascerai che ciò sia raccolto dai
poveri e dai forestieri» (Deuteronomio,
XXIV, 19-22). Il possidente non doveva essere avaro né cupido, non doveva
raccogliere le ultime spighe del campo e gli ultimi acini della vigna, ma
doveva lasciarli come spigolatura per i poveri.
b) Il diritto privato nella Bibbia:
Il comandamento «non rubare» riconosce implicitamente il diritto alla proprietà privata. La
personalità morale conserva la sua libertà anche di fronte alle masse,
l’individuo - per la Bibbia - doveva respingere il diritto e la dittatura delle
masse. L’Esodo dice: «Non correre dietro le turbe, e non indirizzarti secondo
il sentimento della maggioranza» (Esodo.
II, 3). La personalità morale conservava la sua proprietà pure di fronte allo
Stato. Per l’Antico Testamento lo Stato non è un assoluto, l’uomo fa parte
dello Stato, il diritto statale primeggia su quello individuale; ma l’individuo
non doveva essere privato del suo valore di persona umana ordinata al fine
ultimo soprannaturale, del suo diritto e delle sue proprietà, affinché lo Stato
potesse raggiungere i suoi diritti. L’individuo si doveva coordinare e
subordinare allo Stato, ma non doveva essere schiacciato sino a diventare una
goccia che si perde nell’oceano o una rotella di un ingranaggio.
c) Il diritto dell’operaio nella Bibbia:
«La mercede dell’operaio non rimanga nella tua mano sino al
mattino seguente» (Pentateuco). «Guai
a colui che fa lavorare senza mercede, e che non paga la mercede» (Geremia XXII, 13). In un tempo in
cui dappertutto il lavoro era marchiato dalla schiavitù più disumana, la Bibbia
riconosceva già, ancor prima della Rerum Novarum, la dignità morale del lavoro,
che rende libero l’uomo.
d) L’amministrazione della giustizia nella Bibbia:
«Non commettere iniquità, e non prendere partito contro il
povero e non preferire la persona del potente» (Ezechiele XXII, 12). «La bilancia falsa è un’abominazione
davanti al Signore» (Prov. XI, 1). «Maledetto
colui che sposta le pietre di confine col suo vicino» (Deuteronomio, XXVII, 17).
e) L’ordinamento economico nella Bibbia:
Tre leggi sono basilari: 1ª) la legge contro il latifondo
ottenuto per usura. Isaia malediceva gli accaparratori di proprietà che
sfruttavano le altrui condizioni di disagio economico e compravano all’ingrosso
le piccole proprietà circostanti. (confronta Isaia V, 8 sg); 2ª) la legge
contro l’eccessivo indebitamento delle famiglie del Paese. Ogni settimo anno i
debiti erano prescritti, i prestiti si spegnevano, gli schiavi riacquistavano
la libertà (...); 3ª) la legge indirizzata contro l’usura: occorre ammettere
che l’usura era proibita solo tra ebrei, mentre un ebreo poteva prestare «a
strozzo» a un non ebreo; questa è
una delle imperfezioni dell’Antico Testamento che sarà perfezionata dal
Vangelo.
f) La religione come sostegno dell’ordine sociale:
I valori dell’ordinamento sociale sono nella Bibbia anche di
ordine religioso: sono «prescrizioni del Signore». La comune fede in Dio serve da livellamento sociale tra ricco e
povero: «Il ricco e il povero s’incontrano, il Signore li ha creati entrambi» (Prov. XXII, 2). «Voi dovete aver
rispetto per i diritti dell’operaio, perché lo stesso Signore ha creato il
datore di lavoro e chi lavora»
(Giob. XXXI, 13-15).
La pietra angolare
tra giudaismo e cristianesimo
Gesù Cristo è la pietra che unisce, come pietra d’angolo, il
mosaismo e il cristianesimo. Ma nonostante tutte le grazie, che Dio ha concesso
ad Israele, esso non ha voluto riconoscere l’ora della sua visita. Egli fu «segno
di contraddizione», e solo un
piccolo gruppo o «reliquia» (come la
chiama San Paolo) di Apostoli e di altri discepoli lo seguì, mentre la maggior
parte del popolo si allontanò dal Messia. Gesù prese commiato, seppur con
dolore, dall’Antico Patto, infranto da Israele, e ne istituì uno, Nuovo ed
Eterno, con i pagani.
Cristianesimo e
germanesimo
Cristo ha assegnato alla Chiesa il ruolo di ammaestrare
tutti i popoli, non esiste alcun figlio preferito né alcun figlio trascurato
nella Nuova Alleanza! Certo, unità di fede e di morale non significa
appiattimento e livellamento di cultura o di particolarità nazionali e di
stirpe; tedeschi, francesi, italiani sono uno quanto alla fede e alla morale;
ma hanno una cultura, una storia, una tradizione e una particolarità nazionale,
psicologica ed etnica ben distinta l’un dall’altro, sono tre stirpi diverse; il
cristianesimo non è mondialismo o globalizzazione, vuole porgere al mondo una
sola fede, ma non una sola cultura; tutti gli uomini - quanto all’anima - sono
figli di Dio, ma ognuno - quanto al corpo, che è subordinato all’anima - ha la
sua patria o terra dei Padri, la sua etnia o stirpe, la sua cultura e
mentalità. La Chiesa rispetta l’una e l’altro, dacché l’uomo è unità
sostanziale di due co-principi, anima e corpo; se avesse solo un corpo sarebbe
un cadavere, se avesse solo l’anima, sarebbe un fantasma. Il mondialismo invece
ci toglie la fede e livella e appiattisce le diverse culture in un’unica
barbarie o in-civiltà o sotto-cultura. Così la Chiesa ha un carattere
soprannazionale o universale e non deve infeudarsi a nessun popolo e a nessun
regime politico. Il cardinale si pone, infine, una serie di domande:
1ª Come stavano gli
antichi Germani prima di Cristo?
Risponde citando Tacito che scrisse un’opera storica, «La
Germania», nel 98 dopo Cristo «E’ un
dato di fatto che gli antichi Germani (...) adoravano un gran numero di dei (...).
Gli dei germanici (come quelli greci-antichi) erano stati creati dall’uomo a
sua immagine e somiglianza; invece secondo la dottrina cristiana l’uomo è
creato da Dio a Sua immagine e somiglianza (...). E’ un dato di fatto che gli
antichi Germani offrivano sporadicamente ai loro dei sacrifici umani (...)
erano dediti a grossolane superstizioni (...). E’ un dato di fatto che presso i
Germani la schiavitù era cosa abituale (...). E’ un dato di fatto la
proverbiale infingardaggine degli antichi Germani. Gli uomini lasciavano il
lavoro dei campi agli schiavi e alle donne (capitolo 14); in tempo di pace essi
se la spassavano a caccia o dormendo, mangiando e trincando (capitolo 15).
Tacito, benché romano - osserva con fine ironia il prelato tedesco - torna
ripetutamente a parlare con disprezzo del ‘dormire fino al giorno inoltrato’
(capitolo 22) e della ‘abituale pigrizia’ dei Germani (capitolo 45) (che poi è
stata vinta o meglio stravinta, nda) (...). Ma essi erano modello di fedeltà
umana (...) di ospitalità (...) avevano un elevato concetto del matrimonio e
della fedeltà matrimoniale (...). Di una vera cultura presso i Germani dei
tempi pre-cristiani, secondo Tacito, non si può parlare. I popoli dell’Eufrate
e del Nilo avevano raggiunto, due-tremila anni prima, un più alto grado di
cultura (...) senza essere ariani. Anzi la culla della civiltà e della cultura
è l’area Mediterranea civilizzata da Roma e non il nord-Europa.
2ª) Come fu introdotto
il cristianesimo presso gli antichi Germani?
«Bisognò sradicare la zizzania del politeismo, dei sacrifici
umani e della superstizione (...) la schiavitù, l’infingardaggine e gli eccessi
nel bere (...). Bisognò piantare tutto ciò che presso i Germani era di buon
germoglio, come la fedeltà umana, l’alto concetto del matrimonio e della
fedeltà coniugale (...). I Germani sono diventati un popolo grazie al
cristianesimo. Tacito enumera circa cinquanta popolazioni germaniche, che
scendevano in campo le une contro le altre in continue guerre fratricide. Ora,
è una realtà storica che queste molteplici popolazioni si raccolsero in sedi
fisse, fondendosi in un unico popolo, soltanto con la loro conversione al
cristianesimo (...). Grazie al cristianesimo i germani divennero un popolo di
cultura. I monaci di San Benedetto insegnarono ai nostri antenati la
lavorazione dei campi, l’industria, e le belle arti al servizio della liturgia (…)».
3ª) In che relazioni
sta il cristianesimo rispetto alla razza germanica?
«Non c’è nulla da obiettare contro le oneste ricerche di
razza e gli onesti doveri di razza (...) contro la premura di conservare le
proprietà caratteristiche di un popolo (...). Dobbiamo tuttavia, dal punto di
vista ecclesiastico, porre tre condizioni. In primo luogo, l’amore per la
propria razza non deve giammai diventare, (...) odio per gli altri popoli. In
secondo luogo, l’individuo non deve ritenersi esonerato dal dovere di curare la
propria anima (…); infatti il giovanotto, che sente sempre e soltanto canonizzare
la propria razza, troppo facilmente finisce per convincersi che davanti a Dio e
alla Chiesa egli non ha più il dovere morale dell’umiltà e delle castità («Siamo
figli di Abramo»...).
Terzo luogo, i doveri di razza non devono prender posizione contro il
cristianesimo (...). Al cristiano non è proibito, (...) di scendere in campo
per la propria razza e per i diritti di essa: quindi uno potrà essere, (...) un
sincero tedesco e un cristiano che altrettanto sinceramente professa la sua
religione (...). Ma non ci dovremo giammai dimenticare che noi non siamo stati
redenti dal sangue tedesco: siamo, invece, stati redenti dal sangue prezioso
del Crocifisso (...)» (9), che era discendente di Davide.
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