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La babele globalista (parte II)
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La Tecnocrazia e la morte del Politico

Ora questo convivere, in uno stesso movimento, di ideologia contrattualista e di pulsioni comunitarie neopagane, ci porta a serie riflessioni sull’esito della morte del Politico, della quale contrattualismo e tribalismo sono soltanto segni esterni.

Lo Stato moderno, che nasce come «dio mortale» – primo agente della secolarizzazione lo definisce Carl Schmitt –, non poteva resistere alle pulsioni nichiliste provenienti dal basso, sotto forma di egemonia della finanza mondiale e sotto forma di iconoclastia nichilista espressa dalla rabbia popolare contro politici indegni e senza più funzione (1). Non poteva resistere perché già nelle sue stesse fondamenta filosofiche allignava la medesima übris, paradossalmente «anti-politica», che muove il pensiero tecnocratico, le organizzazioni nate dal quale oggi sono globalmente egemoni ed hanno reso possibile il superamento postmoderno della forma Stato in favore del Mercato Mondiale, ossia la volontà prometeica di autogestione umanitaria del mondo senza più legami con la Trascendenza.

Alla radice del meccanicismo e del razionalismo filosofico da cui ha tratto, a suo tempo, forma lo Stato macchina moderno si può già scorgere la tensione ad organizzare la realtà secondo una «ratio» che non è più quella classica, ellenistico-cristiana ossia aperta all’Alto, ma che, al contrario, è intrisa di soggettivismo assoluto. Un soggettivismo dal quale emerge la protervia dell’«umanizzazione» del mondo, della riduzione dell’essere negli angusti schemi di una ragione negatrice del Mistero, e, quindi, in ambito filosofico-sociale, la pretesa di rimediare all’imperfezione del reale, che non è più fatta dipendere dal peccato ma dalla supposta negatività stessa dell’essere, mediante la «scienza» e la «tecnica».

La filosofia politica moderna, che ha preteso di affermare la separazione del Politico dalla legge di natura e per tale tramite dalla Trascendenza, nella convinzione di manifestarne la autonomia assoluta – in questo senso tutto il pensiero politico moderno, anche il marxismo ed il nazismo, è «liberale» – ha finito, proprio per questa sua colpa originale, per essere inevitabilmente travolta dalla tecnocrazia, figlia dello scientismo positivista ottocentesco, che ha la pretesa, apolitica ma invero post-politica, di «razionalizzare» la convivenza umana globale organizzandola attraverso l’applicazione di presunte leggi scientifiche, che ne sarebbero alla base, ignote alla politica, di per sé sempre «irrazionale», ed alle masse, di per sé sempre incostanti e volubili, perché si tratterebbe di leggi la cui conoscenza, per propria natura, non può essere «democratica» ma è riservata a qualificate élite di «tecnici e scienziati».

La sociologia, quella scienza o pretesa tale che crede di poter sostituire la filosofia nella comprensione della realtà sociale, ed invece ne è debitrice fino al midollo, nasce dal positivismo ottocentesco, dal clima di scientismo che si respirava all’epoca.

Il pensiero tecnocratico, che attraversa tutta la modernità dal socialismo utopistico modello Fourier alle correnti sinarchiche che, come il gruppo X-Crise di Jean Coutrot, hanno prosperato all’ombra del maurrasianesimo del regime di Vichy, fino al Club di Roma ed a quella particolare derivazione della tecnocrazia che è la bancocrazia, trae origine dalla filosofia, detta appunto «positivista», di Saint-Simon e di Auguste Comte, o Compte, non senza l’apporto apertamente occultista di Saint-Yves d’Alveydre. Tre francesi dell’ottocento antesignani dell’attuale eurocrazia.

Claude Henri de Saint-Simon


 Claude Henri de Rouvroy
   Claude Henri de Rouvroy
Claude Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon, cominciò, come ingegnere del genio, la sua carriera militare nella guerra di indipendenza americana, al seguito delle truppe francesi, comandate da La Fayette, inviate dal Re di Francia in aiuto dei coloni americani in lotta contro il comune nemico inglese. Esperto di ingegneria militare prospettò, in anticipo di qualche decennio, ai suoi superiori la costruzione di un canale a Panama per agevolare i traffici ed i commerci mondiali. Allo scoppio della Rivoluzione Francese ne resterà affascinato per le sue promesse di «redenzione dell’Umanità dall’oscurantismo» e pur essendo nobile di nascita abbraccerà gli ideali rivoluzionari. Ben presto però rimarrà deluso dall’individualismo illuminista. Saint Simon infatti perseguiva l’idea di un «nouveau christianisme» che sappia realizzare ciò che il vecchio cristianesimo non ha saputo fare: dare all’umanità la pace e la prosperità universale alleviando, finalmente, la sofferenza dei poveri. Questo sarebbe stato conseguibile grazie all’organizzazione industriale della società, resa possibile dall’applicazione della scienza positiva, che avrebbe aperto la nuova era, l’era della nuova religione dell’Umanità: «Il dogma della libertà illimitata – egli scriveva – è valido solo come mezzo di lotta contro il sistema teologico… Nello stadio della riorganizzazione, esso diventa ostacolo per il ‘dogma futuro’. Allora, non ci potrà essere più libertà di coscienza se non in astronomia, in fisica e in chimica… Il mantenimento delle libertà individuali non può essere in nessun caso il vero scopo del Contratto Sociale. Se si continuasse a prendere l’idea vaga e metafisica di libertà quale è in circolazione al giorno d’oggi come base delle dottrine politiche, essa … sarebbe contraria allo sviluppo della civiltà e all’organizzazione di un sistema ben ordinato che esige che le parti siano saldamente legate all’insieme, e da esso dipendenti» (2).

Il «nuovo cristianesimo» saintsimoniano fa di Cristo un profeta dell’umanitarismo, tradito e travisato dalla Chiesa che ha preteso di essere stata da Lui fondata. Victor Hugo fece propria, nelle sue opere letterarie, la lettura saintsimoniana del Cristianesimo. Questo cristianesimo umanitario farà molta strada fino all’esegesi positivista e storicista di un Renàn ed al progressismo cristiano del XX secolo. Ma d’altro canto Saint-Simon è debitore dei tradizionalisti alla De Maistre ed alla De Bonald che ponevano in primo piano la «politicità» e la «socialità» della religione, sebbene nell’ottica di una restaurazione dopo la rivoluzione, e tendevano a fare della fede uno strumento di governo. Non è un caso se dai maestri del «tradizionalismo», guardati con sospetto dal Magistero, abbia preso le mosse, per rovesciamento certo ma anche con logica coerenza, il pensiero del primo dei «cattolici progressisti» ossia Lamennais, esaltatore, dopo essere stato reazionario ed, appunto, seguace dei Maistre e dei Bonald, della «nuova cristianità» in versione democratica. È questa – avrebbe detto Jacques Maritain, che del resto ne «peccò» anche lui prima come maurassiano e poi come democristiano – la tentazione del cosiddetto «primato del temporale», che guarda al Cristianesimo esclusivamente o prevalentemente come una morale sociale o politica, poco importa se di segno reazionario o rivoluzionario.

Sulle macerie dell’Europa dell’Ancién Régime, Saint-Simon auspicava, già nella prima metà del XIX secolo, una Nuova Europa: «Che tutte le Nazioni d’Europa – scriveva nella sua opera ‘Réorganisation de la Société Européenne’ – siano governate da un Parlamento nazionale e concorrano alla formazione di un Parlamento generale che decida degli interessi comuni della Società europea».

Joseph Alexandre Saint Yves dAlveydre

Joseph Alexandre Saint Yves d’Alveydre
   Joseph Alexandre Saint Yves d’Alveydre
L’influsso saintsimoniano fu, nella sua epoca, notevole. Un suo seguace, Joseph Alexandre Saint Yves d’Alveydre, esoterista, occultista e scientista (3), anch’egli influenzato dal dottrinarismo reazionario di de Maistre e de Bonald, che univa al pensiero «magico» di un Fabre d’Olivet, fu il fondatore del «sinarchismo», un movimento neospiritualista e sincretista con una piattaforma scientista che auspicava l’inverarsi, quale nuovo potere «teocratico» in versione «positiva», della Tecnocrazia mondiale (4). La Sinarchia è presentata nell’opera di Saint Yves come la «Vera Chiesa Universale» portatrice del «Vero Cristianesimo», dell’autentico messaggio di Gesù Cristo, tradito dalla Chiesa cattolica e dalle altre chiese apostoliche. Per Saint Yves esiste, al dunque, una sola religione universale, della quale tutte quelle storiche sarebbero espressioni particolari, perché: «Ogni religione – egli scriveva – afferma più o meno esattamente, più o meno santamente, più o meno realmente, la concordanza delle società, la comunione delle intelligenze e delle anime».

Il pensiero sinarchico anticipa molti temi della teosofia ottocentesca, dell’odierno neospiritualismo (si pensi alle analoghe posizioni di una setta come Scientology) e dell’attuale europeismo laicistico-umanitario.

Per meglio comprendere il relativismo teologico del pensiero sinarchico è necessario lasciare la parola al suo stesso autore: «Sono sempre gli stessi riti – afferma Saint Yves – che vengono osservati dalla sacerdotessa di Eleusi, dai sacerdoti di Delfi, da quelli di Etruria, e che Ammonio Sacca trasmetterà ai preti cristiani… Ecco perché le opere di Krishna, di Zoroastro, di Fo-Hi, …, di Mosé, di Sakya-Mouni e infine di Gesù, differiscono quanto alla forma, ma saranno identiche quanto ai principi e alla sostanza nei loro fini scientifici e sociali (…). Tanto meglio se nel Talmud, nel Prasada, nel Bagaveda o altrove, ritrovo le stesse parole che gli Evangelisti mettono sulle labbra divine del Cristo! La tradizione esoterica mi insegna il significato di questa preziosa conformità; e io mi riempio di una devozione ancor più profonda; e, nel fondatore della mia religione, venero e adoro la presenza vera di uno Spirito Santo Cosmico, e sento il suo soffio attraverso l’Umanità (…). Adamo… ha… significato… un Principio Cosmogonico… Adamo… rappresenta l’Anima intelligente dell’Universo stesso (…). Ombra di Eva, pensiero vivente e legge organica…, Adamo è l’Essenza celeste da cui emanano tutte le Umanità passate, presenti e future (…).È l’Anima universale di Vita… di quella sostanza omogenea che Mosé chiama Adamah e che Platone chiama ‘Terra Superiore’… Questo è l’Adamo dei santuari di Tebe e del Baareshith, il grande Uomo celeste di tutti i templi antichi, dalla Gallia fin nel cuore delle Indie (…). Gesù Cristo possedeva questa scienza ineffabile, integrale, quella che Mosé aveva ricevuto da un sacerdote sapiente e dalla sua divina ispirazione».

Il sincretismo scientista a sfondo spiritualista di Saint Yves è un prodotto tipico del clima culturale ottocentesco nel quale il progressismo si coniuga al laicismo borghese e l’evoluzionismo, che di lì a poco si sarebbe imposto nel crasso naturalismo darwiniano, svela un retroterra occultista che si fonda, e non potrebbe essere altrimenti, sulla negazione del peccato originale per affermare la continua perfettibilità dell’Umanità nel suo sforzo, che non abbisogna della Croce, per passare dalla brutalità supposta delle sue origini al destino superomistico, «nicciano», di padrona assoluta di sé e del mondo.

Continua in tal senso Saint Yves:

«… l’intero cammino della Natura, elementare, naturata, evolve le sue manifestazioni fenomeniche secondo una progressione ascendente che è il contrario della caduta, e… va dalla Diversità fisica all’Unità intellegibile, e non dall’Unità alla Diversità (…). Da tutto ciò che abbiamo detto risulta che… l’uomo in carne e ossa, non certo nel suo principio intellegibile, universale, cosmogonico, ma, in ciò che è diametralmente opposto, nelle sue Origini sensibili, individuali, genetiche, è apparso in parecchi Continenti successivi non perfetto, ma il più imperfetto possibile, selvaggio, nudo, quasi muto, antropofago, quasi animale nel ciclo divorante dell’Animalità, e senza altri alleati visibili su questa terra che sé stesso, i cani giganti ed elefanti colossali. E tuttavia, pur selvaggio, pur emergendo così dai fianchi dolorosi della Natura naturata, l’Uomo era in principio ciò che è oggi, in pieno sviluppo, perfettibile fino alla Perfezione stessa, ma allo stadio primordiale della Perfettibilità. Nonostante tutto egli usciva già dall’Animalità, solo nelle manifestazioni più naturali, i segni e i simboli del suo Principio cosmogonico e delle sue facoltà ontologiche. Questi sono i dati indiscutibili che le scienze naturali e una parte delle scienze umane hanno ricavato a partire dall’impulso razionalista di Bacone e dalla metodologia di Cartesio. Queste erano le nozioni sulle nostre origini naturali insegnate dagli antichi sapienti religiosi, da Orfeo e gli Eumolpidi nei misteri di Delfi e di Eleusi, e da Sankoniathon nei misteri di Tiro, e infine da tutta la scuola dei santuari dedicati al culto di divinità femminili, provenienti dagli Yonijas dell’India. Ma queste nozioni sono in assoluto antagonismo col senso di ‘genesi’ che le traduzioni attribuiscono ai dieci capitoli cosmogonici di Mosé».

Sicché, dal momento che la Rivelazione secondo la Tradizione apostolica non è più sostenibile di fronte alle «scoperte» della scienza positivo-occultista, Saint Yves conclude per la necessità di una riforma del Cristianesimo – anzi di tutta la Tradizione abramitica ricomprendendo nel suo riformismo anche l’ebraismo e l’islam – nel senso di un nuovo «cristianesimo sociale», saintsimoniano, che realizzi, grazie alla potenza organizzatrice che la scienza offre all’uomo evolutosi dall’animalità bruta, un mondo perfetto ed inauguri una nuova «teocrazia scientifica» nella quale gli «esperti» e gli «scienziati», imperando al fianco di Re e Pontefici disposti a deporre qualsiasi prerogativa «dogmatica» propria del vecchio retaggio apostolico, diventino i pianificatori delle politiche sociali ed economiche che condurranno l’umanità alla perfezione ed alla felicità.

«… contro la Chiesa, contro la Sinagoga, contro la Moschea, – continua Saint Yves – si scaglia tutto intero lo spirito scientifico universitario, armato di cannoni ai quali i teologi continuano ad opporre cerbottane di vetro e proiettili di cartapesta (…). Fintantoché il clero… non oserà farlo, sono i laici che devono avere il coraggio di sollevare il velo che nasconde ai loro occhi i tabernacoli di Sem, e cioè la Scienza universale, colossale, racchiusa nei cinquanta capitoli del Sefér di Mosé e nel loro contenuto sociale, che Gesù ha restituito all’intero Genere Umano (…). Mosé, sacerdote di Osiride, … richiamando l’intero Universo alla Legge del Regno di Dio, (ha lasciato) chiaramente intravvedere il suo scopo: la restaurazione della Sinarchia Universale».

Dati i presupposti è naturale che per Saint Yves la nemica dell’Umanità, in procinto di auto deificarsi, sia la Chiesa cattolica, la più temibile fra le «chiese», che pertanto deve essere abbattuta, se Essa si dovesse dimostrare poco aperta alle blandizie sinarchiche. La distruzione della Chiesa renderà possibile la limitazione del potere politico con il potere «sociale» che, nel mondo moderno, si identifica con il potere economico ovvero, per dirla con un linguaggio più contemporaneo, con il primato dell’economico, e nella fattispecie dell’economia finanziaria, sul Politico e sul Teologico. Saint Yves chiama il potere economico «emporocrazia», i suoi seguaci adottarono ben presto il termine di «tecnocrazia».

Nella sua opera «Mission des Souverains» Saint Yves, rivolto agli uomini di governo, descrive l’Europa del futuro:

«Ecco, procedendo gerarchicamente, l’ordine e il nome degli organi da costituire per fondare il Governo generale dell’Europa… : 1° Consiglio europeo delle Chiese nazionali, 2° Consiglio europeo degli Stati nazionali, 3°Consiglio europeo dei Comuni nazionali. Il primo Consiglio deve rappresentare la vita religiosa e intellettuale, la Saggezza e la Scienza. Il secondo Consiglio deve rappresentare la vita politica e giuridica, l’Equità e la Giustizia. Il terzo Consiglio deve rappresentare la vita economica, la Civiltà e il Lavoro. Questo è l’ordine gerarchico dei tre Consigli, una volta creati; ma per fondarli bisogna procedere in senso contrario e cominciare dalla base (…). In ogni Capitale, saranno eletti dei consiglieri da un’assemblea di economisti, finanzieri, industriali, agricoltori, e dalle Camere sia sindacali che corporative di ogni nazione (…) è nella vita economica ed emporocratica dei vostri popoli che dovete ricercare la base precisa, i fondamenti esatti dell’edificio europeo che vi invito a costruire, nel vostro interesse come in quello delle nazioni stesse (…). La vita economica vi fornirà la base, ma su questa base voi dovrete elevare il Consiglio degli Stati europei (…). Per ‘Stato’, intendo l’organismo gerarchico ed impersonale dei poteri pubblici in ciascuna nazione (…). Per ‘Chiesa nazionale’ intendo i corpi insegnanti di tutta la Nazione nella loro totalità, senza distinzione di ruolo, di scienze, né di arti, dalle università laiche alle accademie, dagli istituti alle scuole specializzate, fino alle istituzioni di tutti i culti riconosciuti dalla legge civile, compresa la Massoneria, ove si presenti sia come culto che come scuola umanitaria; dai docenti di scienze naturali, dalla geologia all’astronomia, a quelli di scienze umane, dalla antropologia alla teologia comparata, fino a quelli di scienze divine, dall’ontologia alla cosmogonia. Questa totalità dei corpi insegnanti di ogni nazione è ciò che intendo per Chiesa nazionale e il vescovo nazionale che la consacrerà nella sua patria ne sarà il Primate cattolico ortodosso (…). Sarebbe bello se il papato potesse prendere l’iniziativa di consigliare teocraticamente a tutte le nazioni europee del Cristo questa costituzione interna delle Chiese nazionali, in cui l’episcopato, investito del potere degli Apostoli, non dovrà far altro che consacrare l’insieme degli interessi intellettuali e autenticamente religiosi di ogni nazione senza discuterli; ma essendo legato a Roma e ancorato al suo piano etnico di imperialismo clericale latino, è assolutamente impossibile che il papato sia libero di esercitare…, in questo senso, il Pontificato Sovrano (…). E ora, ecco come potrebbero reclutarsi i membri del Consiglio europeo delle Chiese nazionali. In ogni Capitale, il Primate, il Ministro dell’Istruzione Pubblica e il Ministro della Guerra ne sarebbero i membri di fatto e di diritto (…). Creazione di collegi o di ordini europei, sacerdotali, universitari o militari: questi ordini sarebbero aperti a tutti i laureati delle Chiese nazionali che abbiano superato gli esami necessari (…). Essi seguirebbero, inoltre, dei corsi di studi speciali riservati all’Iniziazione (…). Il Consiglio delle Chiese non verrebbe costituito in tribunale; esso rappresenterebbe l’Autorità e l’autorizzazione degli altri due Consigli, e avrebbe la facoltà di proporre o di accettare le leggi da votare o già votate, le misure da prendere o già prese».

Perfettamente consapevole della sua scelta di campo filo-massonica, Saint Yves provoca, con linguaggio inusitatamente «attuale», i suoi uditori cattolici facendo leva, inaugurando un metodo che ancor oggi è usato contro la fede, sulle debolezze umane storicamente dimostrate dai loro pastori e dai loro antenati.

«Vi ho mostrato – afferma – su basi storiche che nella Chiesa Universale … il Papa, per il fatto stesso di essere romano e capo gerarchico del clero latino, non ha mai potuto esercitare la Teocrazia né il Pontificato Sovrano, ma solo la monarchia imperiale del vostro clero settario (…). Confondendo le forme del vostro culto con la Religione di Gesù Cristo, voi scambiate l’immobilità di tali forme… nuocete… (al) papato concepito come Pontificato Sovrano teocratico, come Autorità puramente sociale ed antipolitica. Se il Cristianesimo ordina che tutti i Cristiani si comportino come membri di un unico corpo sociale, a maggior ragione le chiese che insegnano il Vangelo si dovrebbero conformare fra di loro nella pratica della Carità (5). Se dunque l’una scaglia la pietra contro l’altra, la scomunica e la maledice, dichiarandola scismatica ed eretica…, compie essa stessa un’opera di scisma e d’eresia. E se una chiesa vuole elevarsi al di sopra delle altre chiese e dominarle, è proprio così che si prepara, invece, il proprio assoggettamento (…). Invano mi opponete i vostri dogmi: Gesù non ha mai istituito nessun dogma all’infuori dell’Unità di Dio (6) e dell’Unità del Genere Umano, e se ha detto di essere il Figlio di Dio, ha anche detto: ‘Voi siete tutti degli déi’. Ecco perché, se i vostri dogmi dividono lo spirito religioso della Cristianità, voi dovete abolirli in nome del Cristianesimo stesso, poiché ciò che divide i Cristiani non può procedere dal Cristo (…). Il giudice, il sapiente, l’artista fanno parte della Chiesa Universale, esattamente come i vostri sacerdoti, e voi dovete sedere al loro fianco, in seno alle Chiese nazionali come nel Consiglio europeo di queste Chiese, e non nello spirito della dominazione e della divisione, ma nello spirito della Pace sociale fra gli animi (…). Se la Massoneria accoglie, senza distinzione di razza né di culto né di fede, tutti gli uomini in un’unica assemblea fraterna… essa… è più cristiana, più cattolica, più ortodossa, agli occhi di Gesù Cristo, di quanto lo siate voi che l’anatemizzate» (7).

È proprio vero che la Rivelazione lasciata alla mercé del «libero esame», al di fuori del solco della Tradizione apostolica, porta soltanto al delirio (del resto il soggettivismo esegetico di Lutero, strettamente connesso al suo letteralismo, fu ispirato dagli influssi che l’ermetismo ed il neoplatonismo umanistico-rinascimentali esercitarono sulla sua teologia) (8).

Il sinarchismo ha fatto poi molta strada se ancora, in piena seconda metà del XX secolo, un Jean Monnet, il tecnocrate eurocrate già al servizio, come gran commìs di Stato, della Francia petainista, se ne considerava idealmente debitore.

Auguste Comte


Auguste Comte
   Auguste Comte
Dopo Saint-Simon e Saint Yves, l’altro «padre» della tecnocrazia deve essere identificato in Auguste Comte. Influenzato dal pensiero di Saint-Simon, anche Comte si poneva il problema della ricostruzione della società squassata dalla Rivoluzione e ha creduto di trovare la risposta nella «scienza positiva». Bisognava però che fosse sviluppata una scienza della società che ne indagasse le leggi immanenti e su tale base organizzasse la convivenza umana. Facendo propria la prospettiva tecnocratica già auspicata da Saint-Simon nel suo «Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei» (1803), Comte additava la necessità che un «Consiglio mondiale di scienziati e tecnici», esautorando tutto ciò che è inutile dalla fede alla politica (Comte sposò la celebre affermazione di Saint-Simon per la quale i contemplativi sono parassiti del genere umano), trasformasse il mondo «in un’unica officina» e guidasse l’umanità intera verso il suo perfezionamento mediante gli opportuni interventi di ingegneria sociale che lo studio costante delle leggi della convivenza, consentito dalla sociologia o «fisica sociale», avrebbe reso possibile. Questo «consiglio mondiale», secondo il linguaggio parareligioso di Comte mutuato da quello di Saint-Simon, avrebbe costituito il «sacro collegio» della religione dell’Umanità destinata a sostituire quella cristiana dimostratasi incapace di guarire il mondo dai suoi mali.

La sociologia, applicandosi allo studio delle leggi immanenti al «Grande Animale», o «Grande Essere», ossia l’Umanità, avrebbe reso possibile, in una futura Nuova Era (in Comte ricompare lo schema ternario dell’escatologia millenarista di Gioacchino da Fiore), l’affermarsi di una civiltà perfettamente organizzata in forma di Repubblica Universale. Un Governo Mondiale che tuttavia non disdegnerà di fondarsi, per la sua forza di coesione sociale, sul principio di nazionalità, perché «lo sfruttamento comune del dominio terrestre comporta, tra le diverse repubbliche, una ripartizione di uffici» (9). Questo affermare il fondamento della società nelle immanenti leggi della fisica sociale, indagate e scoperte dalla sociologia, e quindi l’esaltare della nazionalità quale elemento di coesione dei gruppi umani contro lo sfaldamento dell’individualismo illuminista, fu quanto di Comte e del suo pensiero affascinò l’«ateo devoto» Charles Maurras. La «monarchia sociale» di Maurras ricalca il positivismo sociologico comtiano adattandolo alle necessità del nazionalismo integrale (10).

In pieno XIX secolo il positivismo comtiano diede vita ad organizzazioni di tipo massonico e lo stesso Comte giunse a dichiararsi «gran sacerdote» della religione umanitaria ed a proclamarne la sua amante, Clotilde de Vaux, «gran sacerdotessa».

Comte aveva un ambiguo riguardo verso il Cattolicesimo. Infatti egli ammirava l’età medioevale come un’età organica alla quale era subentrata l’età distruttiva dell’individualismo rivoluzionario. Bisognava, ora, ricostruire la società su nuove basi organiche. Ma queste non potevano più essere date dal Cattolicesimo perché nella nuova epoca della scienza nessuno può più credere ai suoi dogmi. Ecco quindi la necessità di riformulare in chiave umanitaria quella solidarietà sociale che il Cattolicesimo aveva un tempo reso possibile. In questo senso, ossia nell’apertura alla religione come mera forza storica fondatrice dell’identità nazionale, Comte è l’antesignano degli attuali «atei devoti». La stessa ammirazione per la Chiesa, intesa soltanto quale istituzione gerarchica e conservatrice dell’ordine sociale, nutrita dal comtiano Maurras trova origine nel riduzionismo naturalistico e positivista dell’essenza del Cattolicesimo. La sociologia, in altri termini, per Comte, aveva reso possibile scoprire che dietro la solidarietà delle epoche organiche, come il medioevo cristiano, non c’è alcuna Trascendenza ma soltanto l’agire di leggi immanenti, il dominio delle quali, una volta che l’umanità ne avrà acquisito consapevolezza – o meglio una volta che di esse avrà acquisito consapevolezza l’élite qualificata degli scienziati e dei tecnici –, consentirà all’uomo di raggiungere ineguagliati traguardi di progresso e di felicità nella pacificazione e nel benessere globali.

Il comtismo si presentava nelle vesti di una ideologia di «progresso nell’ordine», esattamente come recita il motto ancor oggi visibile sulla bandiera brasiliana e che non deve meravigliare se si tiene conto che le rivoluzioni dei libertadores sudamericani ottocenteschi sono state partorite in ambito massonico e dunque influenzate anche dal positivismo comtiano.

In quanto ideologia tecnocratica di progresso, il positivismo apprezzava l’industrialismo perché l’organizzazione razionale della produzione preludeva all’organizzazione «scientifica» della società, nazionale prima, mondiale dopo. Ecco perché non deve stupire neanche una certa contiguità del positivismo, e dei suoi derivati tecnocratici, con la piattaforma corporativista delle ideologie nazionaliste, di destra e di sinistra. Infatti il corporativismo laddove rinuncia, come ad esempio in certi ambiti maurassiani, al suo fondamento in una filosofia sociale aperta alla Trascendenza cristiana, diventa inevitabilmente una ideologia tecnocratica, una utopia di ingegneria sociale umanitaria (11).

Superato il momento a suo modo «sacrale» della parareligione comtiana, in altri termini secolarizzatosi anch’essa, il pensiero tecnocratico ha comunque continuato a proliferare fino alle sue più attuali, postmoderne, espressioni, l’ingegneria genetica e la bancocrazia.

E qui veniamo alle dolenti note dei nostri giorni.

(fine seconda parte)

Luigi Copertino

Prima Parte
Terza Parte




1) Da ormai più di vent’anni sono gli esecutivi che legiferano a forza di decreti legge e di decreti legislativi, limitandosi il parlamento soltanto a convertire i primi ed a concedere le deleghe per i secondi. L’esclusiva produzione normativa da parte del solo esecutivo è tecnicamente una «dittatura» che rende del tutto inutile un parlamento con ben due rami e tante commissioni i cui componenti sono chiamati soltanto ad alzare la mano per approvare le iniziative legislative del governo. Quando poi qualcuno fa notare che questa «dittatura», soprattutto nel momento in cui sono chiamati al governo i tecnici, e non è successo solo con Mario Monti ma già negli anni ‘90 con Carlo Azeglio Ciampi e Lanfranco Dini, non a caso anch’essi provenienti dal mondo della finanza, serve di fatto il potere globalista, non possiamo che convenire.
2) Confronta C. H. de Saint-Simon «Système industriel» (1822). Analoghe idee il nostro esprimerà in un’altra sua opera emblematicamente intitolata «Catéchisme industriel» (1824). «Nuovo Cristianesimo» è il titolo di un’altra sua opera del 1825.
3) Non meravigli l’accostamento di scientismo ed occultismo. Chi avesse voglia di indagare sul pensiero e la cultura ottocentesca potrebbe facilmente scoprire che essi costituiscono le due facce di una stessa medaglia. Del resto scienziati positivisti e materialisti come Cesare Lombroso e Madame Curie erano al tempo stesso cultori dello spiritismo, nel quale vedevano la conferma dell’esistenza di una radice energetica della materia. In questo connubio di razionalismo ed irrazionalismo si ripropone l’interscambio tra idealismo e materialismo, tra Hegel e Marx.
4) Sebbene di sfuggita, è qui il caso di ricordare che Joseph De Maistre è stato esponente della massoneria deista ed esoterica, politicamente conservatrice, opposta, ed ad un tempo segretamente unita, alla massoneria ateista e naturalista, politicamente «giacobina» e «progressista». Questa distinzione in seno alla massoneria si riflette ancor oggi nella tesi, kirkeriana e burkeriana, secondo la quale la Rivoluzione Americana del 1775-76 sarebbe stata ispirata al giusnaturalismo, in continuità conservatrice con lo spirito dell’Europa cristiana, mentre quella Francese invece avrebbe rappresentato una rottura «totalitaria» con la Tradizione cristiana.
5) Da parte nostra, da parte cattolica, osserviamo che quella alla quale, contro la Chiesa e la fede, si appella Saint Yves è una «carità» senza la Verità e pertanto falsificata. Una carità impostura che nasconde soltanto un vacuo umanitarismo.
6) Da notare che Saint Yves non dice anche «Trinità di Dio», cosa che, nel suo retroterra intellettuale, implica l’affermazione che Gesù non si sarebbe mai dichiarato Dio, implica cioè la malcelata negazione della Divinità di Cristo. Infatti, poco dopo il nostro interpreta il dichiararsi di Nostro Signore «Figlio di Dio» alla stregua della autodeificazione di qualsiasi uomo ed appoggia la sua affermazione sull’altra parola di Cristo «voi siete déi». Espressione evangelica che, invece, è nient’altro che la Rivelazione della possibilità per l’uomo, se accetta la Grazia, di salvarsi in Dio, «cristificandosi» per intervento dell’Eterno e non per propria forza immanente.
7) Tutte le citazioni di Saint Yves d’Alveydre sono tratte da Louis Daménie «La Tecnocrazia – punto di incontro della sovversione», società editrice Il Falco, Milano, 1985. Riconoscendo che la Massoneria è fortemente in debito verso il cabalismo spurio post-biblico, Saint Yves, nella sua opera «Mission de Juifs», afferma, secondo un tipico stereotipo comune ai filogiudaici quanto agli antigiudaici, che ciò che muove l’empororocrazia è l’abilità tutta ebraica nel maneggiare il denaro. Storicamente, invece, la finanza è ebraica quanto cristiana o islamica o altro. I Medici, i Peruzzi ed i Bardi, come del resto i Fugger, erano tutte famiglie di banchieri «cristianissimi». Senza dubbio le comunità ebraiche, sia per una evidente possibile esegesi cabalista del simbolo monetario, soprattutto se cartaceo (i numeri, in un certo senso, sono l’equivalente delle lettere dell’alfabeto che, nella dottrina cabalista, presiedono, combinandosi in vario modo, alla creazione), sia per il fatto che agli ebrei erano prescritte molte professioni con esclusione di quella di cambiavalute, erano, un tempo, diventate esperte nella finanza e, va pur detto, spesso in detta attività gli ebrei erano più onesti dei loro concorrenti «cristiani». Tuttavia non si può affermare, come fa Saint Yves, che gli ebrei fossero storicamente gli unici manipolatori del denaro. Certo, la matrice religiosa condiziona l’uso del denaro ma non si deve dimenticare che la condanna dell’usura è tanto veterotestamentaria quanto neotestamentaria ed anche coranica, benché modulata diversamente in base al grado di universalismo. In ambito veterotestamentario la condanna è limitata alla pratica usuraica verso i correligionari e non anche verso i «pagani»: limite che, già in via di superamento nell’Antica Alleanza, sarà definitivamente accantonato con Cristo che estende la condanna dell’usura fino a ricomprendervi tutti gli uomini. La Cristianità, a partire dal XV secolo ossia dall’esperienza francescana dei Monti di Pietà, superò la più antica rigida diffidenza verso la finanza laddove colse in essa, se usata secondo scopi morali, un mezzo di sostegno per lo sviluppo economico e per sovvenire alle necessità dei poveri.
8) È opportuno, a proposito del delirio sinarchico, onde evitare fin troppo facili generalizzazioni tipiche di un fin troppo puerile, e schematico, «tradizionalismo», osservare che la Chiesa cattolica non ha mai rinunciato ad affermare l’Unicità e l’Universalità della Salvezza operata da Nostro Signore. Come dimostra, in età postconciliare, un documento del Magistero quale la «Dominus Iesus» non a caso sottotitolato «Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», elaborato da Joseph Ratzinger e sottoscritto, «con certa scienza e con la sua autorità apostolica» (così è detto nel documento stesso), da Giovanni Paolo II. Del resto a quanti siano tentati dal troppo facile accostamento tra le pagine «ecumeniche» di Saint Yves e il confronto con gli altri credi inaugurato dal Vaticano II vogliamo, da parte nostra, ricordare che il troppo noto detto di Giovanni XXIII secondo il quale «dobbiamo guardare più a quel che ci unisce che a quel che ci divide» è sempre citato monco, sia dai tradizionalisti che dai progressisti, perché, in realtà, l’intera espressione di quel Papa continua con «fatti salvi il dogma e la morale cattolica».
9) Confronta A. Comte «Systéme de philosophie positive» come citato in Antimo Negri «A. Comte e l’Umanesimo positivista», Roma, 1971, pagine 524-525.
10) A proposito dell’influsso comtiano sul monarchismo nazionale e sociale di Maurras si veda J. J. Chevalier «Le grandi opere del pensiero politico», Il Mulino, Bologna, 1985, parte IV, capitolo II, pagine 375-405.
11) L’empirismo sociale di Charles Maurras, come si è già notato, non è affatto debitore della filosofia tomista circa la naturalità del Politico quanto piuttosto del «temporalismo» dei reazionari della Restaurazione, De Maistre e De Bonald, e soprattutto dell’organicismo sociologico di Comte. Il fatto che Maurras, grande genio della politica a cavallo tra XIX e XX secolo, sia poi morto convertito a pacificato con la Chiesa, non deve far dimenticare le origini spurie del suo «tradizionalismo» che altro non voleva, in effetti, essere che «nazionalismo integrale» adeguato ai tempi. Per Maurras, infatti, la forza di mobilitazione ideologica del nazionalismo moderno si sarebbe fondata sulle oggettive «scoperte» della sociologia, moderna scienza positivista, che nella «socialità immanente» aveva individuato la legge scientifica della stessa «nazionalità», la quale unita alla storia ed alla cultura definisce l’identità di una nazione. Un socialista e nazionalista di cultura positivista e comtiana quale Ernest Renan definiva, influenzato da Maurras, la nazione come «un plebiscito quotidiano».


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