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Rudy Giuliani nei guai
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NEW YORK: Si chiama Judith Regan la donna che sta facendo colare a picco le speranze presidenziali di Rudy Giuliani, il candidato scelto dai neocon.
Regan era la capintesta della Harper-Collins, una delle potenti case editrici di Rupert Murdoch, donna di pessimo carattere.
Licenziata in tronco lo scorso dicembre per supposti insuccessi editoriali, la Regan (ebrea) strepitò che contro di lei si era mobilitata la «jewish cabal».
Frase che poi ha negato d’aver pronunciato (1).
Ma ora, la terribile antipaticissima Judith ha intentato una causa in cui chiede a Murdoch 100 milioni di dollari, minacciando di fare rivelazioni pericolose per la suddetta «cabal».

Il New York Times (2) sottolinea una frase nella querela presentata dagli avvocati di Judith: «Un alto dirigente della News Corporation [l’impero Murdoch] disse alla Regan che secondo lui, lei aveva informazioni su Kerik che avrebbero potuto danneggiare la campagna presidenziale di Giuliani. Questo dirigente consigliò la Regan di mentire, e di non dare informazioni agli inquirenti su Kerik».
Questo Kerik, Bernard Kerik, è il capo-poliziotto di New York, messo in quel posto da Giuliani dopo essere stato l’autista di Giuliani (una cosetta a la Bossi), e anzi da Giuliani raccomandato perché gli fosse assegnato da Bush il posto di capo della Homeland Security, ossia la carica di ministro della sicurezza.

La carriera di Kerik (che è stato amante della Regan) è finita dopo un paio di patteggiamenti per corruzione, ed ora sta affrontando altre cause di fronte a una corte federale.
L’accusa: aver sottratto alle tasse 75 mila dollari, che Kerik parcheggiò per qualche tempo all’indirizzo della Giuliani Partners, la ditta di consulenza che l’ex sindaco ha messo su dopo l’11 settembre coi suoi amiconi più cari, e che lo ha reso miliardario.
Fondi neri o qualcosa del genere: il New York Times chiede a Giuliani di dare «rendere nota la lista dei suoi clienti e dei servizi loro resi»: ci sono emiri, una petrolifera che fa capo a Chavez, nonché la Mundipharma, ditta che ha patteggiato (ammettendosi colpevole) per aver nascosto alle autorità la natura di stupefacente dell’OxyContin, un farmaco presentato come anti-dolorofico che è in realtà un potente oppiaceo, e dà dipendenza.
Ma questo è il meno.

Il fatto pericoloso è che Kerik, come capo della polizia di New York, è stato sicuramente complice di Giuliani nella messinscena  dell’11 settembre.
«La coppia Kerik-Regan», dice Franch Rich (columnist del NY Times), «deve aver parlato di tutto ciò che Kerik ha visto e sentito al fianco di Giuliani prima, dorante e dopo l’11 settembre. Forse  lui ha spiegato a lei anche perché il sindaco premette, disastrosamente, per collocare il centro di comando emergenze, costato 61 milioni di dollari, proprio nel World Trade Center».
L’allusione è velenosissima.

Si tratta della celebre Torre 7, quella che cadde senza essere colpita da nessun aereo, e che secondo Silverstein sarebbe stata «tirata giù» con la demolizione controllata.
Proprio lì, al 23° piano, Rudy aveva voluto impiantare la centrale operativa comunale per emergenze non meglio specificate: vetri antiproiettile, riserve di ossigeno, generatori autonomi.
Da lì si poteva vedere da vicino la scena degli attentati, e magari manovrare il coreografico crollo delle due Torri,  da una consolle tecnologica per sincronizzare le piccole esplosioni successive, nonché gli effetti speciali tesi a nasconderle alla vista.
Così sospettano da sempre i complottisti.
Fatto sta che quel giorno fatale Giuliani non entrò nel bunker di vetro al 23° piano, ma «diresse le operazioni di soccorso» dal molo vicino, in cui guarda caso la Protezione Civile aveva già allestito  le sue infermerie e centri di ristoro dalla sera prima.
La Torre 7 fu evacuata completamente.
Cadde cinque ore dopo le Twin Towers, seppellendo tutto quel che conteneva: compresi uffici della CIA e tutti i documenti originali relativi allo scandalo Enron.
L’allusione di Franck Rich deve far rizzare i capelli in testa non solo a Giuliani: la Regan sa anche questo?
Per questo è stata avvicinata da un alto dirigente della Fox News Corporation di Murdoch, che le ha «consigliato» di mentire agli inquirenti su ciò che aveva saputo dal suo amante Kerik?

Chi sia questo alto dirigente, il New York Times lo adombra: Roger Ailes, un esperto di propaganda e PR che ha lavorato alla campagna di Giuliani nel 1989, e poi, nel 1996, ha praticamente creato la Fox News per Murdoch.
La rete tv di Murdoch è qualcosa di più che la sostenitrice della candidatura di Rudy, che si presenta con lo slogan «Il sindaco dell’America»: basta dire che Sean Hannity, il giornalista che conduce il talk show di successo «Hannity and Colmes» per la Fox, è anche il capo della campagna raccolta-fondi per Giuliani presidente. Esempio di giornalismo obbiettivo.
Ma non è il solo esempio.

Murdoch sta comprando il Wall Street Journal: e ancora prima di diventarne padrone, ha ottenuto che il Wall Street Journal, nel riportare in breve il caso di Judith Regan, ha omesso l’accenno, nella querela di lei, al «dirigente» anonimo che le consigliò di mentire.
Per l’affare di Monica Lewinsky, il Wall street Journal s’è prodotto con tanto zelo alla caccia di rivelazioni sul presidente Clinton, da poter pubblicare poi ben sei volumi delle sue inchieste.
Su Giuliani, solo qualche breve, qualche ritaglio di giornale.
Ma l’impero Murdoch non controlla tutto.


Il  Chicago Tribune, per esempio, ha rivelato che Giuliani, appena lasciata la carica a New York, s’è portato via tutti i documenti del suo mandato di sindaco e li ha depositati presso una «fondazione senza scopo di lucro» che appare gestita da suoi simpatizzanti benestanti: costa 1,5 milioni di dollari, e i donatori sono ignoti.
Ma una cosa è nota: la fondazione tax-exempt ha la stessa identica sede della Giuliani Partners.
Il New York Times accusa: lì «sono stati copiati e archiviati i documenti [molti sull’11 settembre] prima che fossero riconsegnati agli archivi municipali di New York. E secondo gli storici sentiti dal Chicago Tribune, non c’è modo di appurare se le carte sono state restituite integralmente alla custodia pubblica. Il sindaco Bloomberg ha da allora firmato una legge che vieta che simili fatti, senza precedenti, si ripetano».
E l’articolo di Franck Rich non è ovviamente casuale, né un esempio di coraggiosa indipendenza giornalistica.
E’ la direzione e la proprietà del New York Times che è partita all’attacco di Giuliani, per liquidarne la candidatura presidenziale.

Difatti, un fondo non firmato (che esprime la «linea» del giornale) intitolato «Full disclosure» intima a Giuliani di rendere noto tutto dei suoi affari.
Compreso questo: «Come mai egli è diventato multimilionario, solo sei anni dopo che, nella causa di divorzio (dalla sua seconda moglie) s’era dichiarato nullatenente, quasi povero» per non pagare gli alimenti.
«Le sue conferenze pagate sul tema dell’11 settembre di sicuro c’entrano per qualcosa. Ma c’entra anche il suo giro di consulenze».
Si torna alla Giuliani Partners, al socio-autista Kerik condannato per malversazioni, ai clienti anonimi che la Giuliani Partners ha servito.
E alle rivelazioni che Judith Regan potrebbe fare davanti a un giudice, se Murdoch l’ebreo non si affretta a versarle  i suoi 100 milioni di dollari.
Evidentemente, i poteri forti hanno deciso di seppellire l’unico candidato che il partito repubblicano può presentare con qualche (tenue) speranza di riavere la Casa Bianca.

Certo, ci sarebbe Ron Paul, il repubblicano libertario, che nei sondaggi è il primo e il preferito dalla gente comune, e che voterebbero in tanti, sia conservatori che progressisti, per la sua coraggiosa posizione anti-guerra.
Ma non fateci conto: non è lui quello che i poteri forti vogliono favorire.

La loro favorita è Hillary Clinton.
Del resto, anche nella campagna presidenziale precedente, quei poteri non sostennero Bush, bensì Al Gore.
Bush vinse con una manciata di voti (decretati validi dalla Corte suprema) ottenuti in Florida, ossia nello stato dov’era governatore suo fratello.
Fu un colpo di mano neocon, preludio al golpe che va sotto il nome »11 settembre».
Ora, gliela fanno pagare, ed hanno forse trovato nella Regan la Monica Levinsky del caso. L’America sarà «democratica», e farà le stesse cose che ha fatto Bush, solo un po’ meglio. 



1) La Regan avrebbe detto «Of all people, the Jews should know about ganging up, finding common enemies and telling the big lie»
Ossia: «Meglio di tutti gli altri, gli ebrei sanno come fare comunella, identificare i nemici, e dire le bugie più grosse».
2) Frank Rich, «What ’that Regan woman’ knows», Herald Tribune, 19 novembre 2007.

 

 
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