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Quelli che sul lavoro non muoiono
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«Omicidio di Stato», strilla Liberazione sullo sfondo di un’orma insanguinata.
«Sistema Italia», piange il Manifesto su fondo nero-lutto.
«Nessuno ferma la strage di operai», urla l’Unità.
Per i cinque morti sul lavoro di Molfetta, i giornali si sono prodotti in un’orgia di lacrime di coccodrillo e di demagogia.
Specie quelli «di sinistra», naturalmente.

Gli articoli: colpa dei padroni che risparmiano sulla sicurezza (a Molfetta, il padrone è morto coi suoi operai).
Colpa di Montezemolo.
Colpa dello Stato e del sistema, del governo che «non fa i regolamenti». 
(A proposito: chi governa l’Italia oggi? Di colpo, per non disturbare «la sinistra» veltroniana,
il governo si è reso invisibile. Non appare più nei TG. Non ne parla nemmeno Mediaset.
Ma il governo è sempre quello: Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Diliberto, Giordano, Pecoraro Scanio).
Una strage nel settore privato, un milione di incidenti sul lavoro ogni anno, 550 mila risarcimenti INAIL; lacrime di coccodrillo, a fiumi, sui sacrificati, sugli sfruttati.

Così, non c’è spazio per raccontare l’altro scandalo emerso lo stesso giorno: quelli che su posto di lavoro non ci muoiono.
I dipendenti pubblici, specie degli enti locali, hanno aumentato il loro tasso di assenteismo: più 9% nei Comuni, più 13% nelle Province.
Il comune di Roma guida la classifica: 39 giorni d’assenza l’anno per ogni dipendente, che diventano 68,5 se si aggiungono le ferie e i permessi retribuiti.
Secondo posto, Rieti, con 37,3 giorni d’assenza.
Terzo Viterbo, con 33,4.

Solo nei capoluoghi di provincia (media di assenze: 26 giornate per dipendente, a parte le ferie)
le giornate perse - ma che noi contribuenti paghiamo - sono più di 4,2 milioni l’anno.
Supponiamo che ogni giornata persa da costoro ci costi 50 euro (stima ottimistica: il costo si aggira sui 100), si arriva a un costo di 210 milioni di euro.
Ossia 420 miliardi di lire l’anno, delle nostre tasse, vanno a pagare gli assenti abituali.
Ma si capisce subito che la cifra è sbagliata per immenso difetto: solo nel comune di Roma, dice l’assessore al personale Lucio D’Ubaldo, «l’assenteismo ci costa 100 milioni l’anno, quasi come una manovra del bilancio comunale».

I dipendenti pubblici sono 3,2 milioni, sparsi nelle 9.300 amministrazioni centrali e locali.
Ci sono gli assenteisti delle Regioni: prima come sempre la Regione Lazio (ogni dipendente manca 21,2 giorni per «malattia», e altri 11,6 per «altre cause», totale 32, 8 giorni di assenza), dove sono anche i più pagati: il costo pro-capite in Lazio è di quasi 50 mila euro l’anno, contro i 41 mila della media regionale.
Probabilmente non si è lontani dal costo delle assenze pubbliche indicato da Confindustria, 14 e passa miliardi di euro l’anno, 30 mila miliardi di lire, ossia un punto del prodotto interno lordo,
o una finanziaria pesantissima.
Questo spiega tutto.
Anche, direttamente e indirettamente, i troppi incidenti sul lavoro nel settore privato.

Dice perché gli operai della Thyssen facevano 13 ore di lavoro e si esaurivano negli straordinari fino a perdere lucidità e attenzione: la paga lorda che basterebbe a vivere è dimezzata dalle tassazioni, con cui gli operai mantengono i dipendenti pubblici assenteisti.
I duemila euro diventano, nelle tasche di chi lavora, meno di mille.
Ciò spiega il perché le piccole imprese arrancano, non reggono alla concorrenza, non crescono
in produttività, limano i costi su tutto ed anche sulla «sicurezza»: perché si devono pagare, con tributi esorbitanti e balzelli odiosi, quelli che sul posto di lavoro non muoiono ma vanno a vivere - un giorno lavorativo su tre - altrove, in allegri shopping o pause-caffè o assenze truffaldine
(il collega timbra il cartellino per te, domani tu timbrerai il suo per lui).
La palla al piede che inceppa la nostra «competitività» mondiale, non è difficile da identificare.

L’enorme assenteismo spiega anche la mancanza di controlli nella mitica «sicurezza»: e chi volete che controlli, se quelli sono per lo più assenti?
Al costo vivo del furto di lavoro andrebbero aggiunti i costi degli ostacoli che l’assenteismo pubblico impone al lavoro privato: data l’intrusività della burocrazia pubblica italiana, dato che per fare qualunque cosa bisogna ottenere un permesso, un’autorizzazione, un certificato pubblico,
gli sportelli vuoti per pausa-caffè o permesso retribuito e ingiustificato ostacolano il lavoro di chi lavora, fanno perdere tempo ed ore a quelli per cui le ore lavorate sono denaro.
E quando sono presenti allo sportello, quei dipendenti sbadiglianti e di malavoglia, che non danno nessun servizio, di fatto «ostacolano» positivamente il fare; il fare di chi è esposto alla concorrenza interna ed estera (1).

«Varare subito i nuovi decreti sulla sicurezza», strilla Avvenire.
In questo senso c’è l’immancabile «appello del presidente della repubblica», che viene applaudito per la sua «sensibilità» (ma ha mai cacciato una lira, Napolitano, per le vittime del lavoro operaio?).
In Italia, davanti ad ogni problema e tragedia, si pensa a «fare una legge».
Che si aggiungerà ai milioni di leggi inapplicate e inapplicabili per l’inadempienza del settore pubblico, che se offre un servizio, lo offre solo a se stesso, e a spese di tutti noi.
E’ un modo di bastonare l’aria, anziché bastonare i responsabili.
Come se una legge sulla sicurezza potesse ovviare all’ignoranza tecnica dilagante anche fra gli operai, cui nessuno ha insegnato che le esalazioni in una cisterna non sono solo un cattivo odore, ma un veleno, e che prima di lavare l’interno di un’autobotte bisogna immettervi aria, aria in quantità; al costume d’incuria che vediamo in ogni addetto all’edilizia - solo in Italia i muratori non portano l’elmetto perchè fa caldo, anche questo un sottoprodotto della cattiva istruzione, dell’arretratezza generale, dell’inadempienza delle scuola pubblica.

Avvenire, nel suo editoriale coccodrillo, vuole una legge «anche con qualche forzatura sanzionatoria», cui finora si sono opposti gli industriali.
Egoisti?
No, perché la forzatura sanzionatoria è pensata contro gli imprenditori, presunti colpevoli in via preventiva di «trascurare la sicurezza» per aumentare i profitti.
«Vale la pena di correre il rischio di un costo economico più elevato del dovuto», scrive il cattolicissimo Avvenire.
Ma il «costo economico più elevato del dovuto» lavoratori e imprenditori lo pagano già: e lo pagano per mantenere la Casta assenteista, inadempiente, costosa e ostacolatrice.
Avvenire - cioè, nelle questioni di lavoro, la CISL di Pezzotta - vuole aggiungere un costo aggiuntivo ai «padroni», senza sottrarre il costo aggiuntivo dei fancazzisti comunali, provinciali e regionali.

Se proprio ci dev’essere una nuova legge per la sicurezza, la si formuli così: ad ogni morto sul lavoro, agli assenteisti pubblici si sottragga la retribuzione di una loro giornata d’assenza, che andrà a costituire un fondo di solidarietà per quelli che sul lavoro ci muoiono.
Una legge educatrice.
Per aiutare gli assenteisti a capire che il posto fisso e ben pagato, lo devono a contribuenti molto più poveri di loro: quanti contribuenti nel privato hanno uno stipendio di 41 mila euro l’anno, come ogni dipendente regionale in media?
A capire che quel posto da cui si assentano 65 giorni l’anno, obbliga gli altri a sfiancarsi negli straordinari per portare a casa 980-1.200 euro il mese, con cui non riescono a mantenere la famiglia. A capire che è la ricca paga che rubano a far mancare i soldi per coprire i costi della sicurezza, dell’addestramento, dell’istruzione tecnica e dei controlli.

Una legge che tolga il maltolto, lo stipendio rubato da questi parassiti, può aiutarli a sentirsi uniti agli altri verso i quali hanno dovere di fornire servizi che non forniscono; in una parola, a farli partecipi del triste destino comune di arretratezza, di discesa nella scala della civiltà materiale,
di cui loro - gli assenteisti - sono una causa primaria.
Avvenire dice che «dobbiamo tutti sentirci responsabili imprendi¬tori, sindacati, rappresentanti politi-ci, istituzioni, mass media, lavorato¬ri»; come vedete, nella lista mancano loro, quelli che sul posto di lavoro, il caldo sicuro posto pubblico, non ci vanno, ma si fanno pagare.
La lista doveva cominciare da lì.
Come mai non comincia?

La CISL rifiuta di riconoscere l’assenteismo dei pubblici dipendenti, che sono il nerbo della sua «base»: strilla che le cifre sono false.
Ma anche la «destra» tace: 3,2 milioni di dipendenti pubblici assenteisti sono elettori, la Casta è tanto numerosa da essere una forza sociale temibile, da non irritare.
E i giornali piangono lacrime di coccodrillo, mentre nascondono la notizia: le assenze crescono in Comuni e Province, non diminuiscono.



1) Un caso di ottusità burocratica vissuto personalmente: prendo la residenza a Viterbo, dalla Lombardia, e vado alla ASL per farmi assegnare il medico di base. Mi rispondono che devo  fornire i dati della mia ASL lombarda: numero della ASL, indirizzo esatto, eccetera. Facilissimo, ecco qua: la  Lombardia ci ha fornito di una modernissima tessera sanitaria di plastica con un chip, identica
ad una carta di credito: tutti i dati sono nella memoria elettronica. Ma ovviamente, la Lombardia è la sola ad aver adottato questo mezzo avanzato. In Lazio vogliono il «documento cartaceo». E non hanno nemmeno torto. Quel chip di memoria della mia avanzatissima tessera sanitaria non si può leggere se non nei terminali della Regione Lombardia. Nemmeno io posso sapere cosa vi è contenuto, dei miei dati personali; devo per forza andare alla ASL di Lombardia, ad uno sportello, e  - dopo la solita coda - pregarli di leggere per me i miei dati in quella memoria, e implorarli di farmi una stampata «cartacea» del contenuto. E’ un esempio di secessione mentale, tipico del servizio pubblico che serve solo se stesso: in Lombardia non si sono messi nei panni degli assicurati, non  hanno pensato che questa tessera (che forse contiene dati medici personali utili) potesse essere letta anche fuori dalla regione, magari d’urgenza, se l’assicurato ha un incidente in Lazio o in Calabria. E’ anche un esempio di come, in mano alla nostra burocrazia regionale, anche la tecnologia avanzata diventa un ostacolo, anziché un ausilio, e peggiora l’arretratezza. La mia tessera elettronica, in Lazio, è l’equivalente della sveglia che il selvaggio si appende al collo.


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