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Perché Don Gallo non è santo come Francesco
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Questo contributo giunge con mesi di ritardo rispetto al fatto che ha dato ad esso occasione, ossia la recente scomparsa di don Andrea Gallo. Il tempo purtroppo è sempre più spesso tiranno e non consente di inseguire con estrema puntualità gli avvenimenti che, del resto, in una sorta di accelerazione ultima della storia, si accavallano con una intensità prima inusuale. Quindi, spero che non dispiaccia ai lettori questo ritardo.

A differenza di alcuni non sono mai riuscito ad accostare don Andrea Gallo a Francesco d’Assisi o a Madre Teresa di Calcutta. E non – si badi – per i motivi per i quali don Gallo è stato avversato dai cattolici conservatori (che sono qualcosa di diverso dai cattolici tradizionalisti, benché sempre più spesso di recente questi ultimi sembrano non cogliere più le ragioni di questa diversità che, solo qualche anno fa, era ad essi più chiara) ma esattamente perché don Gallo ha fatto lo stesso sbaglio dei catto-cons ossia ha confuso il Vangelo con una ideologia, benché diversa da quella dei conservatori. Liberismo nel caso dei catto-cons,  socialismo umanitario nel suo caso.

Coloro che, invece, dall’altra parte, anche tra i cattolici, ammirano il “rivoluzionario” don Gallo per la sua radicalità evangelica, la quale lo avrebbe portato, come Cristo, a frequentare poveri e prostitute, finiscono per dimostrare di non saper più distinguere tra santità e mera contestazione sociale anche laddove quest’ultima fosse politicamente avversata e perseguitata (“Itaque martyres non facit poena, sed causa”, Agostino En. in ps. 34, d. 2, 13).

Non è infatti questo, ossia aver frequentato poveri e prostitute, che si può rimproverare a don Gallo perché – è Vangelo! – le prostitute ci passeranno avanti nel Regno dei Cieli. Del resto – ed anche questo è Vangelo – è il malato ad avere bisogno del medico.

Comprendo perfettamente lo slancio francescano di molti cattolici: nell’intimo lo condivido. Soprattutto in un’epoca come la nostra che della volontà di potenza ha fatto il suo fondamento. Cosa è, infatti, se non volontà di potenza – nascosta dietro l’apparente debolezza del pensiero relativista – il solipsismo individualistico ed autocentrico che nasce dallo sciogliersi, nella postmodernità liquida, di ogni relazionalità, di ogni legame, anche dei legami artificiali con i quali la modernità aveva sostituito quelli naturali premoderni? Papa Francesco ha chiesto “una Chiesa povera per i poveri”. È giusto che il clero, compreso ed innanzitutto il Papa, accetti la povertà personale persino nei simboli che porta addosso – la croce in ferro anziché in oro – ma non altrettanto lecito sarebbe, ed anzi costituirebbe un vulnus, censurare la maestosità nella liturgia e nella simbologia ecclesiale: l’oro degli arredi liturgici e delle iconografie delle chiese ha la grande funzione di volgere il cuore verso la Luce di Dio. Nonostante tante chiacchiere in proposito, non è però affatto intenzione del Papa attuale spogliare gli altari. Come non aveva intenzione di abbassare, semmai di innalzare, la regalità cristiana, Isabella la Cattolica la quale rifiutò la corona aurea per l’argentea perché Cristo ebbe solo quella di spine.

Pare che, in una occasione, don Gallo ad un cardinale, il quale lo rimbrottava di non vivere dignitosamente, come la sua ordinazione avrebbe richiesto, abbia risposto di ispirarsi a Cristo e che quando gli si avvicinava un drogato o una puttana si chiedeva sempre come avrebbe agito il Signore al suo posto. Ma in questa risposta don Gallo ha dimenticato di aggiungere che Cristo misericordioso con la Maddalena e con l’adultera, salvata dalla lapidazione, chiese loro, ed ottenne, un cambiamento di vita. Nella storia della salvezza sono stati coloro i quali, anche se in apparenza ribelli, sono invece rimasti obbedienti e fedeli alla Chiesa, appunto i santi, ad ottenere dal suo Signore, come un tempo i profeti per Israele, la purificazione ecclesiale e evitare così che gli uomini perdessero fiducia in Essa. Ecco perché non riesco proprio ad assimilare don Gallo a Francesco d’Assisi. Perché, mi sembra, il prete genovese non ha colto in pieno, come l’assisiate, l’essenza vera del cristianesimo ossia la Kenosis, il piegarsi misericordioso di Dio, fino all’Incarnazione, sulla creatura umana per condividerne le sofferenze in un gratuito Amore che solo Dio può offrire (ed i santi in Lui quali Suoi mediatori).

Francesco non rivendicava per i poveri “diritti costituzionali”, non accostava, come fossero la stessa cosa o suppergiù, il Vangelo alla Costituzione della Repubblica Italiana. Francesco non faceva neanche le marce per la legalità alla stregua di don Ciotti, un altro prete che fa di Cristo un professore di educazione civica. Il Santo di Assisi, in un’epoca nella quale il potere temporale e la corruzione ecclesiastica fomentavano, per reazione, eresie di ogni genere ed allontanavano gli uomini dalla Chiesa, sporcata dai suoi stessi ministri, non ha fatto, come i catari, il contestatore ma, al contrario, chiedeva di pregare per i sacerdoti e di non pretendere da loro che fossero migliori di quanto lo siamo noi tutti, peccatori (lettera “ad quemdam ministrum”: “e non volere che siano migliori cristiani di quanto non siano”). Francesco è la prova storica dell’esistenza di quell’Amore infinito – per noi irraggiungibile se non fosse Egli  in Persona a piegarsi su di noi – capace, se solo l’uomo glielo permette aprendogli il cuore, di trasformare persino Totò Riina in un nuovo Poverello. Come, appunto, è stato capace, a suo tempo, di fare del giovane scavezzacollo e ricco viziato di Assisi, del “rex iuvenum”, l’Amante di Madonna Povertà. Non è la legalità né la Costituzione né i “diritti universali” che Cristo è venuto a portarci, per quanto tutte queste cose sono umanamente importanti e senza dubbio anche conseguenze, secondarie però, del cristianesimo. Cristo ci ha portato quell’Amore per il quale e solo per il quale ci si spoglia da e di sé stessi, come appunto Francesco che di fronte al padre ed al vescovo si denudò letteralmente. Sacrificio di sé ad imitazione di Lui che si è sacrificato sulla Croce per la salvezza dell’umanità ma anche per dimostrare che “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”(Gv. 15,13) affinché essi comprendessero il Suo insegnamento: “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt. 5,43).

Madre Teresa, nelle baraccopoli di Calcutta, caricava letteralmente sulle sue gracili spalle i poveri morenti, si piegava sulle loro sofferenze, esattamente come Cristo, Dio, si è piegato sull’umanità sofferente per salvarla condividendone la sofferenza. Madre Teresa non partecipava ai talk show perorando diritti costituzionali e non rilasciava interviste invocando politiche sociali più adeguate. Quando giunse ad Oslo, nella sala del Nobel, per ritirare il noto premio, da ella poi devoluto ai poveri, Madre Teresa, nello stesso luogo dove letterati, filosofi e scienziati sono soliti fare altisonanti discorsi, non ha trovato di meglio che chiedere agli astanti, tra i quali i monarchi protestanti di Norvegia, di recitare l’Ave Maria. Ed il pubblico, sbigottito, non appena la suora albanese ha iniziato a recitare la preghiera, non ha potuto fare a meno di alzarsi in piedi e seguirla nella recita. Se qualche parola la santa di Calcutta ebbe, in quell’occasione, modo di spendere fu, per lo sconcerto del media system globale, contro le pratiche abortiste che proprio molti “Nobel” hanno contribuito a diffondere o pubblicizzare.

Francesco e Madre Teresa non si preoccupavano dei “diritti” perché l’amore vero è assolutamente gratuito, presuppone un rispetto totale per l’altro e soprattutto la rinuncia ad ogni reciprocità sulla quale, invece, si basa inevitabilmente il diritto. Quest’ultimo, sia chiaro, è e rimarrà pur sempre necessario fine alla fine dei secoli, fino a quando il Suo Regno che non è di questo mondo non avrà trasformato questo mondo – originariamente creato in statu viae ma macchiato, nel suo peregrinare verso la promessa Perfezione donativa, dalla colpa dell’uomo – nell’identificazione con la Nuova Gerusalemme che, rinnovando la Kenosis divina, scenderà dal Cielo (Ap. 21).

Se dobbiamo rinunciare ad ogni nostro presunto diritto di superiorità e dominio sul prossimo è proprio perché in ultima istanza, essendo solo Lui la fonte di ogni vero ed autentico diritto umano, nessuno ha diritti auto-centrici, tautologici. Nessun uomo ha diritti ma tutti li riceve per dono dall’Amore di Dio, fondamento anche della Giustizia (che non è la “giustizia”, quella meschina praticata dagli uomini che sovente la confondono con il proprio utile): «Non abbiamo nessun diritto sull’altro. Per amore infatti dobbiamo lasciar perdere ogni nostro diritto, dobbiamo assolutamente rinunciarvi. Nessuno dice al suo prossimo: “Perché non mi ami?”, ma compie gesti d’amore e così trascina all’amore anche il prossimo» (Doroteo di Gaza, VI secolo, Lettere, 16, 201).

Il cardinale Bergoglio – che anche prima di essere eletto Papa, forse ad imitazione dell’umiltà di Isabella La Cattolica, la prima evangelizzatrice del Nuovo Mondo, preferiva portare addosso la croce di metallo vile o almeno meno prezioso dell’oro – frequentava le favelas argentine per insegnarvi il catechismo, battezzare i “chicos” anche se nati da situazioni sacramentalmente irregolari, aiutare i poveri, nel pieno rispetto della Tradizione della Chiesa. Bergoglio difendeva i suoi preti, che come lui lavoravano nelle favelas, dalle accuse di “sovversivismo”, formulate dalla giunta militare di Videla al soldo degli Stati Uniti, proprio perché aveva ben chiara la differenza tra la Carità evangelica ed il mero impegno politico-sociale. La Carità rimane nella storia, perché viene dall’Eterno, i progetti politici, anche quelli più nobili, finiscono sempre inevitabilmente per rovinare nell’eterogenesi dei fini.

La Thatcher, credendo di farsi beffe di certi suoi critici, ebbe una volta a dire che se il buon samaritano non fosse stato ricco non avrebbe potuto soccorrere il povero sventurato e fare così del bene. È tipico di chi è fuori della Chiesa non comprendere l’essenza della Scrittura ed avvicinarla con mentalità banalizzante. Se è più facile che una gomena (tale l’esatta traduzione dall’ebraico, laddove il testo greco presenterebbe un refuso tradotto poi con “cammello”) passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco acceda al Paradiso, vuol dire che il buon samaritano è stato tale, buono ossia misericordioso, nonostante le sue ricchezze e non per merito delle sue ricchezze. Il suo cuore era evidentemente pieno di Amore di Dio traboccante in amore del prossimo, sicché quel cuore sapeva essere distaccato dalle ricchezze ponendole non al secondo posto ma, di fronte alla sofferenza del fratello, all’ultimo. Perché tale, l’ultimo, è il posto che, per amore o per sacrificio della volontà appropriatrice, la Carità assegna alla ricchezza, degradandola da idolo a mero mezzo per fare del bene.

La ricchezza esalta la volontà di potenza, l’arroganza, la superbia, il disprezzo del prossimo, l’egocentrismo, che sono il contrario dell’umiltà. L’umiltà di Dio che si è piegato sulla creatura, di Colui che è “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29) e che per questo aborre l’arrogante, l’orgoglioso: come arrogante ed orgoglioso, nella sua convinzione di essere un “giusto”, era il fariseo della parabola che, nel Tempio a cospetto di Dio,  disprezzava il pubblicano. Maria è stata prescelta proprio perché Piena di Umiltà e quindi Piena di Grazia. Lucifero, invece, è caduto perché pieno di sé, perché ha attribuito a sé, alla sua autosufficienza, la Luce che gli proveniva dall’Altissimo, al Quale, tra le creature angeliche, egli era il più vicino.

Il beato Fabro, che fu il primo compagno di Ignazio di Loyola, raccontò un giorno: «Sentii un altro desiderio durante la Messa, e cioè che tutto il bene che io potessi fare, o pensare, o ordinare, fosse tramite il buono spirito e non tramite quello cattivo. Da lì venni a pensare come Nostro Signore non debba considerare buono riformare alcune cose della Chiesa secondo il modo degli eretici; poiché essi, benché in molte cose, come pure fanno i demoni, dicano la verità, non la dicono con lo Spirito di verità, che è lo Spirito Santo» (Memoriale, n. 51) (1). Commenta in proposito Papa Francesco: «Non sempre il demonio tenta con la menzogna. Alla base di una tentazione può ben esserci una verità, ‘vissuta’ però con un cattivo spirito. (…). Qui si basa – in gran parte – la struttura dell’ideologia. Apparentemente l’ideologia è frutto di una verità …; tuttavia – nella realtà – è frutto della volontà (nella terminologia del beato Fabro, del cattivo spirito). Ne discende che un’ideologia deve essere sempre giudicata non per il suo contenuto quanto per lo ‘spirito’ che la sostiene, che non è esattamente lo Spirito della verità» (2).

Non voglio giudicare don Gallo per l’enormità dei suoi errori filosofico-politici, desunti da una impostazione culturale rimasta, per quanto riguarda l’esegesi storica del XX secolo, ai tempi di György Lukács o di Giuseppe Dossetti. Una impostazione che gli ha fatto vedere in Berlusconi un novello Mussolini, accostando un socialista-rivoluzionario, come il secondo, che, pur nelle contraddizioni di una ideologia nata a sinistra e realizzatasi quale regime a destra, modernizzò l’Italia, ad un parvenu puttaniere e ricco sfondato come il padrone di Mediaset (3).

Don Gallo leggeva la storia contemporanea come lo scontro tra fascismo ed antifascismo, naturalmente arruolando Cristo ed il Vangelo nell’antifascismo sulla base dell’insegnamento di Dossetti. Una prospettiva storicamente e filosoficamente falsa, benché don Gallo non ne avesse colpa non avendola elaborata lui ma soltanto ingenuamente accolta. Non ha saputo tuttavia emanciparsene per scoprire che il vituperato fascismo, almeno un certo tipo di fascismo, appartiene di diritto alla sinistra della quale lui, don Gallo, sentiva di essere parte giustificando tale sua adesione con il Vangelo. Non ha saputo, don Gallo, fare i conti con il disincanto cui la storia costringe la mitologia politica alla quale ha prestato fede per una vita intera. Se don Gallo avesse raggiunto la maturità delle scelte di vita non nel dopoguerra ma negli anni ’30 o durante la guerra civile del ‘43/45 egli sicuramente sarebbe stato uno di quei preti che insieme alla Croce innalzavano anche il gagliardetto littorio oppure sarebbe stato tra i preti di don Tullio Calcagno nella “Crociata Italica” a difesa del duce e dell’Italia dalla “barbarie anglo-americana”. Perché in don Gallo la confusione era tra Vangelo e  ideologia (lo “spirito cattivo” di Fabro). Al di là del tipo di ideologia.

Charles Peguy, che socialista lo era per davvero, confessò, un giorno, ad un amico “Ho ritrovato la fede, la fede di mia madre”. Da quel giorno le sue opere sono diventate testimonianza, luminosa, della via cristiana che, insieme alla Bellezza, è la Carità. Ne “L’Argent”, una tra le sue opere più belle, Peguy, contrariamente a Marx che ne “Il Manifesto” esaltava il ruolo della borghesia irreligiosa e calcolatrice, prendeva le distanze, in questo conciliando il suo “socialismo” con la ritrovata Fede cristiana, dalla modernità colpevole dell’impoverimento spirituale dell’uomo al quale essa ha sottratto il vissuto comunitario premoderno intriso di fede e carità, sostituendo la carità con la pelosa filantropia. Peguy se la prendeva anche con i cristiani e gli uomini di Chiesa perché, diceva, abboccano all’inganno e confondono umanitarismo e Carità. Ma queste luminose pagine Peguy ha potuto scriverle non da socialista, o almeno non più solo come socialista, ma da cristiano perché la conversione non fu per lui il passaggio al campo capitalista ma la scoperta che le esigenze del cuore, della misericordia, che lo avevano spinto al socialismo non potevano essere soddisfatte da una ideologia, neanche da quella socialista tanto più nobile del capitalismo, ma soltanto dalla Grazia, dall’Amore di Cristo.

Non giudico, ho detto, don Gallo per le sue sviste culturali perché non è questo il metro con cui Dio lo ha giudicato. Il metro di Nostro Signore è un altro: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 35-36). Se questo è il metro don Gallo ha forse superato il giudizio. Tuttavia questo non fa di lui un esempio di quella santità con la quale Nostro Signore Gesù Cristo vuole ricordare, lungo i secoli, agli uomini, la Sua Presenza Viva nella storia: la santità di Francesco e di Madre Teresa, di Camillo de Lellis e di Filippo Neri. E di tanti altri.

Luigi Copertino




1) Cit. in Jorge Mario Bergoglio “Umiltà, la strada verso Dio”, emi, Bologna, 2013, p. 13
2) Cfr. J.M. Bergoglio, op. cit., p. 13.
3
) Naturalmente anche Mussolini non fu da meno quanto a lussuria e tuttavia rispetto a Berlusconi conservò almeno una certa sobrietà evitando di consumare i suoi incontri adulterini tra olgettine, lazzi e orge. Quanto poi, da un lato, all’incapacità della compagine ecclesiale di far fronte alle pressioni mediatiche di potenti lobby organizzate, e, dall’altro lato, alle miserie attuali dell’attuale sinistra abbiamo potuto verificarne tutta la consistenza proprio in occasione del funerale di don Gallo. Il cardinale Bagnasco non ha avuto remore nel comunicare Vladimiro Guadagno, in arte “Luxuria”, supportando con quel gesto la propaganda del noto “transgender” che si è esibito in una retorica predica sulla “chiesa” di don Gallo che ha accolto anche loro, creature trans-formanti, come figli di Dio, dimenticando, però, di ricordare che Cristo al perdono ed alla Misericordia, quindi all’accoglienza caritatevole del peccatore, accompagnava sempre l’ingiunzione al cambiamento di vita e non la pretesa “luxuriana” all’affermazione del diritto – libertario e quindi borghese, individualistico – dei gay e dei trasngender a persistere in comportamenti sociali e sessuali inevitabilmente “catari” ossia in odio alla vita, alla fecondità spirituale e naturale della vita. Sempre durante la Messa dei funerali di don Gallo quando Bagnasco ha fatto memoria del cardinale Siri si è alzato un coro di fischi e contumelie. La deriva “luxuriana” è la dimostrazione palese della debacle della sinistra un tempo attenta alle serie questioni sociali e non ai presunti “diritti civili”. Siri è stato un grande difensore dei lavoratori. Interveniva direttamente nelle controversie portuali tra lavoratori ed armatori applicando la Dottrina Sociale Cattolica ed ottenendo, per diplomazia ma anche ammonendo evangelicamente i datori di lavoro, migliori condizioni per i dipendenti. La sinistra, oggi, corre dietro al politicamente corretto, ai gay, ai "diritti civili" ossia all'individualismo libertario e liberale più netto. È poi così strano che vinca il capitalismo liberista? Pier Paolo Pasolini lo aveva già compreso: l’emergente potere neocapitalista – diceva negli anni ’70 – non sa più che farsene dei “valori tradizionali” ma anzi ha bisogno di sbarazzarsene per sciogliere tutti i legami comunitari di ostacolo al mercato, per far trionfare il solipsismo del quale quel potere si nutre. Certo non sappiamo se don Gallo avrebbe gradito la cagnara inscenata al suo funerale. Tuttavia c’è stata ed è stata inscenata dai “suoi”. La sinistra transgender è la quintessenza dell’individualismo borghese. I funerali del sacerdote genovese sono stati un’apoteosi dell’arroganza, perché personaggi arroganti sono la Parietti e Luxuria che presenziavano. Questi tristi personaggi, arricchiti dai proventi della società spettacolo di cui sono espressione, fanatici dell’integralismo radical-chic, non sanno neanche per sentito dire cosa sia la povertà, la fame, la sofferenza dei padri di famiglia sfruttati o dei disoccupati. Per loro la vita è tutta godimento e contestazione. Sono esattamente come quegli ipocriti contestatori inchiodati da Pier Paolo Pasolini alle loro contraddizioni di classe, ossia i ricchi figli di papà che occupavano le università, durante quella rivolta intergenerazionale ma intraborghese che fu il ’68, e picchiavano i poliziotti che erano i figli della vera povera gente. In questo ha ragione don Ariel Levi di Gualdo: Cristo accoglieva adultere e prostitute ma queste, dopo aver sperimentato la Sua accoglienza ed il Suo Amore, cambiavano vita e non facevano comizi per i "diritti" dei transgender. Mio nonno materno era minatore e comunista negli anni '50 ma aveva una concezione sacrale della famiglia, voleva che le figlie frequentassero la Messa ed ha voluto i funerali religiosi. Mio nonno non avrebbe mai accettato una sinistra transgender dedita al trionfo dell’ideologia borghese dei “diritti civili” ossia dell'individualismo benché in forma libertaria e non conservatrice. Meglio i vecchi comunisti di un tempo che questo nichilismo, che questo radicalismo liberal-borghese travestito – e proprio il caso di dirlo! – da rivoluzionarismo salottiero.


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