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L’asse Roma-Berlino-Tel Aviv (parte I)
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Di prossima uscita presso le Edizioni Il Cerchio di Rimini Lasse Roma-Berlino- Tel Aviv è un libro dal titolo intrigante, di cui consiglio vivamente la lettura, non appena il volume sarà materialmente disponibile in libreria. L’autore è un giovanissimo ricercatore, da poco laureatosi col massimo dei voti all’Università Cattolica di Milano. Si tratta di Andrea Giacobazzi, che con la beffarda incoscienza dell’età e un coraggio da leoni ha accettato la sfida di laurearsi – ripeto, col massimo dei voti e la lode - scegliendo un argomento di tesi il cui sottotitolo, riportato nel libro, fa già tremare le vene ai polsi: «I rapporti internazionali delle organizzazioni ebraiche, dellorganizzazione sionista mondiale e del movimento sionista revisionista con lItalia fascista e la Germania nazionalsocialista».

Per tutti coloro che ritengono Maurizio Blondet un po’ sopra le righe quando parla dello Stato di Israele come Quarto Reich, la lettura di questo volume è una tappa obbligata, più che consigliata.

Tranne che per il meritorio libro di Emmanuel Ratier I guerrieri di Israele e qualcuna delle pagine più sconosciute delle ricerche di De Felice, almeno da noi l’ambito dei rapporti tra movimento sionista, Fascismo e Nazionalsocialismo è del tutto sconosciuto al grande pubblico.

La vulgata imperante ed etimologicamente ignorante è quella dell’odio nazista per gli ebrei, delle persecuzioni cui il popolo ebraico fu stato sottoposto dapprima in Germania con le leggi del ‘34, poi in Italia con quelle del ‘38, fino all’epilogo tragico della guerra e della shoah. Per il resto è notte.

Ignota a tutti (o quasi) è l’idea che il movimento sionista, fondato da Theodor Herzl e mirante a ricostituire in Palestina uno Stato ebraico dopo quasi duemila anni, altro non fu che la variante ebraica del socialismo nazionale, il quale ebbe nell’Italia fascista il prototipo ed al quale si rifecero diversi movimenti europei, tra cui proprio quello nazista.

E’ davvero possibile o è una provocazione gratuita definire il sionismo come socialismo nazionale (o nazionalsocialismo che dir si voglia) ebraico? Stando al libro di Giacobazzi la risposta potrebbe essere affermativa.

Alfred Rosenberg
   Alfred Rosenberg
Come quasi tutte le rivoluzioni nazionali, che attingono ad un mito fondante (Il mito del XX secolo è non a caso il titolo del libro-manifesto di Alfred Rosenberg, il teorico nazista dal cognome singolarmente ebraico) così il mito sionista si alimentò da un lato a quello della discendenza degli ebrei europei dall’Israele biblico e di conseguenza alla rivendicazione della legittimità del ritorno in Eretz Israel, dall’altro al nazionalismo crescente dell’Europa di inizio secolo XX.

Il rapporto tra Torah e nazionalismo ebraico è tornato di moda in questi giorni: un interessantissimo articolo di Paolo Mieli sul Corriere della Sera di martedì 5 ottobre, che recensisce il libro di Shlomo Sand (storico ebreo, docente all’Università di Tel Aviv, in un libro) dal titolo Linvenzione del popolo ebraico, di recentissima pubblicazione per i tipi di Rizzoli, spiega bene come la presunta filiazione diretta tra Israele biblico ed ebraismo moderno fu appunto alla base delle pretese ricostruzioniste del movimento sionista: «Nel saggioRoma e Gerusalemme’ (1862) di Moses Hess, questi scrisse: ‘La razza ebraica è una razza originaria dellumanità che ha mantenuto la propria integrità, nonostante i continui cambiamenti delle condizioni climatiche; il tipo ebraico è rimasto immutato attraverso i secoli’».

Prosegue Mieli: «Si dovrà attendere, però, ancora qualche decennio perché sia formulata in modo esplicito la tesi che gli ebrei di oggi sono discendenti diretti di quelli che nel XIII secolo avanti Cristo fuggirono dallEgitto guidati da Mosè. Cosa che avvenne solamente con la nascita e lo sviluppo del Sionismo di Theodor Herzl. Le fondamenta del processo di costruzione retroattiva della nazione ebraica furono poste in modo organico da Heinrich Graetz tra la fine dellOttocento e gli inizi del Novecento» (1).

Al di là del dibattito circa la veridicità del racconto biblico, revocata in dubbio dal volume di Sand, ciò che qui importa è evidenziare come l’asserito carattere laico del sionismo sia in realtà inesistente, giacché esso è fin dall’inizio immerso nella suggestione religiosa. Esso appare dunque come una forma del tutto particolare di fondamentalismo religioso, che, al contrario di quello halakhico e rabbinico si fonderebbe non su base mistica, ma sulla prospettiva di un inveramento della promessa biblica nella storia profana attraverso l’azione politica.

Il sionismo sarebbe pertanto come una sorta di millenarismo ebraico attualizzato ed in marcia verso la propria piena realizzazione storica. Israele in base a ciò sembrerebbe destinato a compiere da sé senza attenderlo dall’Alto il proprio destino manifesto, rinascendo come soggetto politico-territoriale a base etnica duemila anni dopo la propria scomparsa: il Sangue ebraico, conservato miracolosamente integro lungo questo tempo infinitamente lungo, troverebbe così modo di ricongiungersi con la Terra che lo ha generato.

Pur partendo da apparenti premesse laiche, l’Israele sionista porterebbe dunque in sé dall’inizio i germi destinati a manifestarlo apertamente come Stato etico ed etnico-religioso.

La pervicacia con cui i dirigenti ebrei di Israele insistono oggi per ottenere il riconoscimento internazionale dello Stato di Israele come Stato ebraico, esplicita semplicemente le premesse dottrinali dell’unica democrazia del Medio-Oriente, dietro cui si celerebbe in realtà nient’altro che l’ultimo (o l’unico) nazionalsocialismo sopravvissuto alla storia. Indicatore inquietante di questa tendenza è l’approvazione ancora in questi giorni, da parte del Consiglio dei ministri del governo Netanyahu, del controverso emendamento fortemente voluto dal partito di estrema destra Yisrael Beitenou, che impone ai nuovi cittadini non ebrei di giurare fedeltà a Israele come Stato democratico ed ebraico.

Si può dire allora che l’idea di una nazione ariana trovi il suo corrispondente in quella di una nazione ebraica e che il Sionismo sia stato solo la vernice esterna e contingentemente presentabile di un nucleo interno, che ha reso operativo in termini politici il misticismo messianico dell’antica tradizione rabbinica? Si può dire che sangue e suolo, Blut und Boden, sia un presupposto comune cui attingono tanto i movimenti fascisti (ed in specie il nazionalsocialismo), quanto il sionismo?

Leggendo il volume di Giacobazzi, questa suggestione – che farà sobbalzare di orrore le vestali incartapecorite della religione olocaustica – appare tutt’altro che irreale:

«Un lato certamente interessante ed utile in ordine alla comprensione sia dellebraismo in sé sia del Sionismo come riedizione moderna del nazionalismo ebraico – scrive Giacobazzi – sarà laquestione del sangue’, o meglio, l’‘ossessione del sangueche tanto accomunerà sionisti, una parte degli ebrei religiosi e nazionalsocialisti».

Poi citando Buber, Giacobazzi documenta ad esempio quali idee attraversassero trasversalmente prima e durante il nazismo la mente di uomini appartenenti anche al popolo ebraico:

«Nella vita quotidiana di un popolo operano le sue comunanze sangue, destino, forza creativa, culturaper così dire il suo fisiologico: esse restano sotto la soglia dell’autocoscienza. Solo nel movimento sono coscienti (…). Attraverso la comunità di sangue, il singolo si arricchisce e si consolida in ogni momento: attraverso ilmovimentodel suo popolo (…) (2).

O altrove. «Noi (ebrei) siamo come la statua rotta che ha bisogno di un artista (…) bussiamo alla grandetà primigenia della razza, della cultura, dellopera e del valore (…). Ma per tutto ciò cè bisogno di discendere alla madre, alla terra» (3). Spingerà gli ebrei all’azione incoraggiandoli dicendo: «Pura forza! Unità! Grandezza! Questo ci può chiedere il destino» (4).

Parole che credevamo di poter sentire pronunciare solo da qualche gerarca del regime nazista, risuonano invece identiche o quasi nella bocca del cantore del Chassidismo.

Arthur Ruppin
   Arthur Ruppin
E che dire di Arthur Ruppin, già citato sociologo e dirigente della Jewish Agency? Secondo costui il rischio di estinzione della razza ebraica è tale da fargli lanciare un vero grido d’allarme: «Il sangue ebraico si perde, presto o tardi, quasi senza traccia, in quello della popolazione circostante. La discendenza dellebreo battezzato è perduta non solo per lebraismo, inteso come religione, ma anche per il popolo ebraico» (5).

Parlando delle razze umane non si esimerà di applicare alle stesse i principi del darwinismo asserendo: «Efuor di dubbio che il fattore selettivo, che preferisce nel mondo vegetale ed animale certe varietà e finisce col trasformare tutta la specie, può esercitare la sua azione anche fra le razze umane. Noi abbiamo già accennato alla preferenza che nei matrimoni ebraici si dava ai giovani studiosi del Talmud, come ad un fattore di selezione etnica» (6).

Tacendo del fatto che Ruppin volle dissociare gli ebrei dalla razza semitica, per farli rientrare nel ceppo ariano e quindi bianco, Giacobazzi conclude affermando che «nel solco tracciato dalla nostra analisi è infine doveroso parlare del frutto pratico di questi elementidi sangue e di razza’ e dellidentità nazional-religiosa presenti nel sionismo. La legislazione israeliana, con la celebrelegge del ritorno’, istituita poco dopo la nascita dello Stato ebraico, indica chiaramente come questi aspetti non fossero prescindibili rispetto allessenza dellideologiadel ritorno’. Si afferma chiaramente nel testo di legge: ‘Diritto di aliyah: 1. Ogni ebreo ha il diritto di venire in questo Paese come oleh(7) si specificherà in seguito chi potrà vantare questo diritto: ‘Ai fini della presente legge, ebreo significa una persona che è nata da una madre ebrea o una persona che si è convertita al giudaismo e che non fa parte di nessunaltra religione(8). Questi passaggi, per quanto attenuati in prassi e in legislazioni successive, risultano essere evidentemente il coronamento sostanziale dellopera e del pensiero sionisti. Chi è di fede ebraica e chi è figlio di madre ebrea ha accesso alla cittadinanza».

Insomma fede e razza coincidono ed esse richiamano la terra, sicchè più che mai nella prospettiva ebraico-sionista sangue e suolo si attraggono.

Continua Giacobazzi: «Theodor Herzl, riconosciuto come il fondatore del Sionismo politico, non avrà difficoltà ad affermare: ‘Non ritengo il problema ebraico né come un problema sociale, né come un problema religioso, sebbene possa prendere anche queste ed altre sfumature. Esso è un problema nazionale (…). Noi siamo un popolo, Un Popolo(9) o ancora: ‘Non permetteremo che le velleità teocratiche di alcuni nostri rabbini prendano piede: sapremo tenerle ben chiuse nei loro templi(10). Nonostante Herzl definisca come sfumatura il fatto religioso, vedremo quanto esso rappresenti in realtà (…) un aspetto che si compenetra inseparabilmente nellideologia e, soprattutto, nella mentalità dei sionisti: la tradizione della fede ebraica costituisce un ingrediente irrinunciabile che contribuisce a definirne la direzione di marcia (…). Il Sionismo stesso non può prescindere dal depositum fideigiudaico né sul piano culturale né su quello spirituale, la fede delle sinagoghe è il collante e, al tempo stesso, il propulsore ideologico che forgia il popolo e che ne fissa lidentità in vista della rinascita nazionale (…). Sebbene, come rilevato, sia attribuibile al sionismo la mera definizione di movimento politico avente lo scopo della costituzione di uno Stato ebraico’, sarà in realtà proprio laspetto spirituale che, in buona parte, ne definirà il percorso evolutivo; come vedremo, non si tratterà semplicemente di uno Stato ebraico ma delloStato ebraico che, come già si stabiliva al 6° Congresso del 1904, non potrà avere altra meta finale allinfuori della Palestina (11). Sistematicamente le proposte alternative (Uganda, Argentina, Madagascar) verranno considerate provvisorie o sostanzialmente scartate. Nahum Sokolow, segretario generale del Congresso Sionista, nel 1921 ribadirà: ‘La Palestina è la Terra Promessadella Bibbia e la Bibbia non è un rotolo di pergamena marcito» (12).

A riprova di ciò e senza negare i profondi conflitti interebraici che caratterizzarono la nascita e lo sviluppo del movimento sionista e la contrapposizione che una parte significativa del rabbinato oppose a quel progetto, Giacobazzi ricorda ad esempio come Dante Lattes, uno dei primi sionisti in Italia e condirettore del Corriere Israelitico, nonché rabbino della Comunità di Siena, riconosceva nel programma sionista un progetto politico alla cui base stava l’elezione biblica:

«Fin dal 1862, Moses Hess, nel suoRoma e Gerusalemme’, che è insieme prodotto del patrimonio ideale dIsraele e delle ideologie più recenti del suo tempo, della pura ortodossia ebraica e della sua moderna corrente misticail Hassidismo –, della filosofia hegeliana e delle nuove tendenze sociali dellepoca, vede nella redenzione degli ebrei un aspetto e una premessa della redenzione degli uomini. A noi manca la terra, per attuare lideale storico del nostro popolo, il quale altro non è che il Regno di Dio in terra, lepoca messianica, annunziata da tutti i nostri profeti (13)».

Il movimento sionista, se dovette contrastare da un lato la rassegnazione della tradizione halakhica, che attendeva da Dio la restaurazione di Israele, trovò dall’altro come bersaglio dei propri strali anche l’assimilazionismo, quel fenomeno cioè che, specie dopo la Rivoluzione Francese con l’affermarsi dell’Haskalà (cioè l’Illuminismo ebraico), andò via via decretando la fine del ghetto e dell’emarginazione, perlomeno nell’Europa occidentale. L’ebreo secolarizzato ed integrato divenne ad un certo punto l’ossessione non solo della tradizione rabbinica, ma anche dell’avanguardia sionista.

Secondo Giacobazzi «pare di assoluta evidenza come il sionismo sia plasmato a partire da questo singolare impasto di modernità e tradizione; i suoi primi passi e la sua crescita, non a caso, dovranno affrontare le tendenze refrattarie non solo da parte degli ortodossi ma anche da parte di quegli assimilatiche irridevano la volontà di segregazione presenti nella scelta dellemigrazione in Palestina (עליה, Aliyah); lebraismo emancipato occidentale’, in cui non era raro trovare ebrei integrati e potenti, guardava spesso con malcelata sufficienza, se non con vero e proprio disprezzo, agli sforzi nazionali profusi da chi, come Max Nordau, dissuadeva ogni suo correligionario dal credere di essere soltanto tedesco, francese, italiano(14) (…). Non si può non notare come lavversione reciproca fosse forte; lo stesso Nordau arriverà addirittura a parlare dei ricchi ebrei assimilati chiedendosi: ‘Ma che cosa ha di comune Israele con quella gente? La maggior parte di costoro - eccettuo volentieri una minoranza - appartengono alle nature più basse dellebraismo che una selezione naturale ha destinato alle professioni in cui si guadagnano rapidamente i milioni; non mi domandate come (…)! Già molti di loro abbandonano lebraismo; e noi auguriamo loro buon viaggio, dolenti soltanto che, nonostante tutto, essi siano di sangue ebraico, sia pur dei suoi residui (15)».

Emerge chiaro da queste parole che l’aspirazione del movimento sionista è profondamente identitaria, che non nell’ebreo laico cosmopolita ed intergrato esso cerca sostegno, ma lo spera da quella stessa matrice rabbinica che ha nel corso dei secoli ha forgiato la civiltà ebraica.

Prosegue Giacobazzi: «Concludendo il suo discorso al 3° Congresso di Basilea Max Nordau affermerà: ‘Non serbiamo rancore a questi poveri martiri dellassimilazione. Limitiamoci a staccarci da loro come essi si staccano da noi. Non contiamo neppure sugli uomini pratici che ci abbandonano nella lotta, pronti a venire a noi quando la vittoria sarà conquistata’. Nel medesimo discorso Nordau si dichiarerà pronto ad andare avanti anche senza l’appoggio dei rabbini, ma parlando di loro come dei ‘nostri naturali collaboratori’».

Il Sionismo dunque è un movimento politico nazionalista, formalmente laico, ma che fonda la propria dottrina sulla mitologia religiosa della restaurazione della nazione e del sangue ebraico in Eretz Israel: in filigrana del manifesto politico del Sionismo sta il rotolo della Torah, che ha costruito e mantenuto l’identità ebraica lungo i secoli del cosiddetto esilio (Galut) al solo scopo di impedirne l’assimilazione, per poter veder il popolo eletto ritornare un giorno a quella terra, che ne avrebbe consentito la ricostruzione come nazione, vale a dire come moderno e risorto Regno di Israele.

(continua)

Domenico Savino





(le note da 2 a 15 sono tratte dal volume in questione)

1) http://corriere.it/2010/ottobre/05/Mose_Sionismo_una_storia_inventata
2)
M.G. Gelber, The jungjüdische Bewegung. An Unexplored Charter in German-Jewish Literature and Cultural History, Leo Baeck Institut Yearbook, XXXI, 1986, pagina 105, citato in V. Pinto, I sionisti, Storia del sionismo attraverso i suoi protagonisti, M&B Publishing, 2001, pagina 148.
3)
M. Buber, Das Land der Juden, in Die jungjüdische Bewegung. An Unexplored Charter in German-Jewish Literature and Cultural History, Leo Baeck Institut Yearbook, XXXI, 1986, pagine 193-194, citato in V. Pinto, I sionisti, Storia del Sionismo attraverso i suoi protagonisti, M&B Publishing, Milano, 2001, pagina 168.
4)
M. Buber, Er und Wir. Zu Theodor Herzls 50er Geburtstag, in Die jungjüdische Bewegung. An Unexplored Charter in German-Jewish Literature and Cultural History, Leo Baeck Institut Yearbook, XXXI, 1986, pagina 204, citato in V. Pinto, I sionisti, Storia del Sionismo attraverso i suoi protagonisti, M&B Publishing, 2001, pagina 158.
5)
Ivi, pagina 261.
6)
Ivi, pagina 291.
7)
Law of Return 5710-1950, confronta M. J. Gibney, R. Hansen, Immigration and asylum: from 1900 to the present, ABC-CLIO, 2005, pagina 945.
8)
Law of Return (Amendment No. 2) 5730-1970, confronta U. Davis, Apartheid Israel: possibilities for the struggle within, Zed Books, 2003, pagina 182.
9)
T. Herzl, Lo Stato ebraico, Carabba editore, Lanciano, 1917, pagina 25.
10)
Ivi, pagina 147.
11)
D. Lattes, Il Sionismo nel pensiero dei suoi capi, Casa editrice Israel, Firenze, 1925, pagina 81.
12)
Ibidem, pagina 126.
13)
D. Lattes, Il Sionismo nel pensiero dei suoi capi, Casa editrice Israel, Introduzione, pagina VIII.
14)
Ibidem, pagina 23.
15)
Ibidem, pagina 29.


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