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Ancora sugli anti-Putin
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Ma dov’è l’opposizione «democratica» esaltata dai media occidentali e finanziata dai think-tank americani? Inscena manifestazioni di piazza di folle fotografatissime. Crea blog su internet. Tiene affollate conferenze-stampa. Un affollamento mediatico che, però, non si traduce in maggioranze nelle urne.

Analizziamo i dati elettorali. Russia Unita, il partito di Putin, ha effettivamente conosciuto un rovescio: dal 64% dei voti nel 2007 è sceso a 49,5%. Mantiene una lieve maggioranza alla Duma.

Vladimir Jirinovski
  Vladimir Jirinovski
Vediamo però chi ha guadagnato. Al secondo posto il Partito Comunista, col 19% (aveva l’11% nel 2007). Al terzo posto, col 12% (in notevole crescita rispetto all’8,1% ottenuto nel 2007) il Partito Liberal-democratico – che, nonostante il nome –, è la formazione ultra-nazionalista del pittoresco Vladimir Jirinovski, che ha nel suo programma la ricostituzione dell’impero sovietico nelle sue vecchie frontiere, una socializzazione dell’economia per niente liberista; esalta Stalin (un mito anche per i comunisti) è xenofobo e anti-immigrati, sogna ad alta voce «il giorno in cui le nostre truppe bagneranno gli stivali nel caldo Oceano Indiano» ed ha espresso opinioni fieramente anti-israeliane.

L’altro partito in crescita è Russia Giusta, avanzata dal 7,7% al 13%. Nessun altro partito ha superato la soglia del 7% necessaria per legge per essere presente nella Duma. In complesso, dei 450 seggi della Duma, Russia Unita ne mantiene 238, i comunisti ne conquistano 92, gli ultra-nazionalisti di Jirinovzki ne prendono 56, e Russia Giusta 64.

Il messaggio degli elettori russi è chiaro: non è più «democrazia» e «mercato» quello che chiedono, ma il ritorno allo status di grande potenza, come ai tempi di Stalin, figura su cui convergono i nostalgici del comunismo e i rosso-bruni di Jirinovski. Se non hanno votato Putin quanto nel 2007, non è perchè non lo considerano troppo duro, ma al contrario, troppo molle. Non lamentano che sia poco «liberale e liberista», ma che lo sia troppo. In grande maggioranza, vogliono un regime più forte, non meno; non più filo-occidentale, ma meno. Più Stato e meno mercato.

E l’opposizione «democratica»? Certo, esiste. Ma è ingigantita dalla sovra-esposizione dei media occidentali, i quali invece danno troppa poca attenzione alla forza crescente dei comunisti e dei rosso-bruni, ed alle loro convergenze ideologiche.

Il fatto porta il sito francese Metamag a chiedere: ma siamo proprio sicuro che Putin abbia perso? E cita il politologo Sergei Cherniakhovski: «Certo Vladimir Putin non aveva bisogno che Russia Unita avesse un risultato impressionante». E spiega così la sua stupefacente asserzione: il partito aveva in testa di lista il presidente Dimitri Medvedev, non Putin. «Dati i risultati doggi, ci si domanda quanto pesi Medvedev», che ha portato alla mezza sconfitta un partito che, quando era Putin a guidarlo, trionfava.

«Queste elezioni legislative rimettono in questione il destino politico di Medvedev», conferma un altro analista politico, Rostislav Turovski. E Georgi Chizhov, vice-presidente del Centro di Comunicazione Politica, asserisce: Putin «ha giocato bene, evitando di trovarsi associato a un partito che era sulla china discendente».

Secondo queste interpretazioni, i russi non hanno votato per più democrazia, ma contro la Russia «soft» di Medvedev. (Poutine a-t-il vraiment perdu les élections russes?)

E difatti, in vista delle presidenziali del 2012, Vladimir Putin ha messo tra parentesi Russia Unita, per lanciare una formazione più vasta che ha chiamato Fronte Popolare Pan-Russo.

Un movimento che vuole essere «un appello ad un’ampia coalizione di forze sociali create per attuare lo sviluppo durevole della società».

«Il nostro fine è costruire una Russia forte, democratica e sovrana. Un Paese ad economia di mercato basata sui principii di libertà e sostegno allimprenditorialità, alla competizione, alla solidarietà sociale, alla responsabilità dei datori di lavoro e alla protezione dei diritti dei lavoratori». (english.ruvr.ru)



Tornato al Cremlino, Putin dovrà ridurre la corruzione onnipresente ed attuare l’ambizioso progetto di una rinnovata presenza russa nell’area del Pacifico, quella di massimo sviluppo futuro. Un piano per lo sviluppo dell’Estremo Oriente e Trans-Baikal ha allocato 500 milioni di rubli, il 40% dei quali solo per il miglioramento infrastrutturale del porto di Vladivostok, che sorge di fronte a Cina e Giappone; altri fondi andranno a riunire la rete ferroviaria della Transiberiana con la rete trans-coreana.

Evidente il disegno di fare della Russia una via di transito terrestre ai grandi volumi di merci che dall’Asia vanno in Europa; attualmente, la massima parte dei commerci avviene per le rotte marittime, infestate dalla pirateria nello stretto di Kra e nel Mar Cinese Meridionale. La via terrestre attraverserebbe invece uno Stato stabile e sorvegliato: la Russia appunto.

Dei 600 miliardi di dollari di merci che transitano verso l’Europa, Mosca conta di intercettarne il 15%, contro l’1% attuale. Non a caso in quest’area gli investimenti, di Stato ed anche stranieri, sono cresciuti di 13 volte negli ultimi dieci anni (da 54 a 726 miliardi di rubli) e si conta di farli giungere a 3 trilioni di rubli nel 2025. Naturalmente, è nei piani una più rilevante presenza militare marittima, per proteggere le vie russe nel Pacifico.

Si veda lo studio The phantom of the Pacific: reconsidering Russia as a Pacific power prior to APEC2012, di Alexey Muraviev, elaborato dallo Australian Strategic Policy Institute (ASPI). (Policy Analysis)



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