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Lezione russa ai neocon in crisi di nervi
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Il 13 aprile, a Washington, il presidente Medvedev aveva fatto dichiarazioni che hanno rallegrato Israele e i suoi serventi in USA ed Europa: «Certo, non vorrei che si arrivasse a sanzioni, ma ad un certo punto possono diventare inevitabili. L’Iran non risponde alle domande che gli sono rivolte, e si limita a lanciare grandi frasi...».

E’ fatta, è fatta!, la Russia è con noi! Abbandona Teheran per il bene d’Israele!, si sono rallegrati lorsignori. Poi, passando i giorni, è subentrata la delusione, poi il dispetto. Ne dà notizia su Novosti l’analista Dimitri Babitch, con un’ironia che va ritenuta semi-ufficiale: «Molti media occidentali si sono messi a far dei rimproveri alla Russia: perchè Mosca non ci aiuta, dopo le concessioni che ha ottenuto da Washington?». Qualche giornale aveva detto che la Russia «abbandona il suo alleato medio-orientale»...

Dimitri Babitch
   Dimitri Babitch
«Ahimè, tutte queste offese e speranze sono infondate», replica Babitch, per il semplice fatto che «l’Iran non è mai stato uno dei ‘nostri’ e dunque non possiamo ‘tradirlo’. E’ assurdo ritenere l’Iran un alleato della Russsia, e ancor più, una marionetta. Possono crederci solo le persone sotto l’influenza di una stampa antirussa che accusa la Russia di essere la fonte di tutti i mali, compreso il nucleare iraniano».

E Babitch rivela al mondo una cosa inaudita: che la Russia ha ancora un suo interesse nazionale nelle relazioni mondiali, ed è ancora capace di non subordinarlo a quello di Israele.

«Naturalmente», dice, anche Mosca, «come tutti gli altri Paesi, non ha interesse a che l’Iran si crei un’arma nucleare. Ma non ha nemmeno interesse ad una guerra preventiva contro l’Iran come l’intervento di Bush in Iraq nel 2003», giustificato da «l’esistenza di armi atomiche nell’Iraq di Saddam Husssein», notizia «che non è stata mai confermata».

La Russia, chiarisce Babitch, sa che un conflitto con l’Iran avrà conseguenze «più gravi della campagna irachena»: l’Iran è ai nostri confini, ed ha una «grossa minoranza azera»: «Inutile spiegare quali conseguenze avrebbe per la Russia la trasfromazione dell’Azeribaijan in Stato sulla linea del  fronte, e la sua destabilizzazione».

Dopo questa limpida spiegazione che è interesse nazionale russo non avere un conflitto ai confini, Babitch offre un altro motivo. Un motivo che deve far illividire di rabbia certi ambienti neocon, nemicissimi di Obama, perchè tarda ad obbedire agli ordini di Netanyahu.

«La Russia ha un altro interesse: dare all’amministrazione Obama la possibilità di salvare la faccia, dal momento che in questi ultimi tempi essa manifesta un atteggiamento sano verso la Russia, rinunciando a trattarlo da Paese nemico. La Russia è uno dei rari casi in cui l’orientamento della politica estera di Obama può vantare qualche progresso. Altrove, la situazione è peggiore».

Per esempio? «Un conflitto quasi aperto col premier israeliano Benjamin Netanyahu» causato dai «tentativi di Obama di contribuire ad una riconciliazione tra israeliani e palestinesi».

Altro esempio: le pessime relazioni USA con Hamid Karzai in Afghanistan.

Insuccessi dopo insuccessi, povero Obama mal consigliato... ma (continua Babitch) «contrariamente al parere di numerosi ‘falchi’ americani ed est-europei, la Russia non ha interesse a che falliscano gli sforzi di Obama di istituire la stabilità e la non-violenza nei rapporti internazionali (da non confondere con il ‘nuovo ordine mondiale’ di George W. Bush). E’ in questo senso che bisogna interpretare le parole di Medvedev» che sono state lette in funzione anti-iraniana.

«La Russia non tradisce nessuno e non inventa niente di nuovo: semplicemente, aspira ad agire in unione con la comunità mondiale». (L'Iran trahi par la Russie?)

Una flemmatica risposta a quegli ambienti che, a Washington e in Israele, stanno cercando in tutti i modi di trascinare gli USA nella nuova guerra per Sion, e nel frattempo fanno credere che l’attacco all’Iran sia imminente: con un tal frenetico flusso di «fughe di notizie», rivelazioni e contro-rivelazioni, la cui fonte disinformativa è così evidente, da sfiorare il ridicolo e da dimostrare che certi ambienti sono nel pieno di una crisi di nervi: il mondo non obbedisce loro con la prontezza che vorrebbero, ed allora ecco:

Israele fa sapere che la sua aviazione cerca «grandi spazi aerei per addestrarsi a voli a lunga distanza»

Notizia che dovrebbe far paura, e che invece rivela l’isolameno in cui Sion si trova.  Dallo sterminio di Gaza detto Piombo Fuso, la Turchia ha smesso di concedere allo Stato ebraico il proprio spazio aereo. Recentemente, l’Ungheria ha aperto un’inchiesta per due aerei da ricognizione israeliani che hanno sorvolato lo spazio aereo magiaro, infiltratisi a quanto pare durante un’esercitazione congiunta europea: il capo del traffico aereo nel ministero dei Trasporti ungheresi (un «sayan»?) è stato licenziato in tronco.

E chi offrirà allora il suo spazio aereo perchè Sion possa mostrare i muscoli e la faccia feroce? Magari Sarko, magari Berluscò. Ma forse no.

Israele fa sapere che i suoi capi stanno considerando ad alta voce se aggredire l’Iran da soli, senza autorizzazione da Washington

La notizia è sul Wall Street Journal di Murdoch, sempre pronto a fare propaganda per Sion. Ma anche questa propaganda si sta rivelando controproducente, esponendo una situazione ben poco favorevole a Sion.

Ephraim Sneh
   Ephraim Sneh
«Non abbiamo bisogno di permesso dagli USA», vanta arrogante Ephraim Sneh, già viceministro della guerra sotto Olmert. Ma il generale Giora Eiland, già consigliere di sicurezza nazionale, riflette che Netanyahu ha così trattato male Obama, che non è il caso di peggiorare le relazioni con Washington con un colpo di testa senza permesso.

«Cosa diranno gli americani quando dovranno pagare la benzina 10 dollari a gallone a causa di Israele, o se si vedranno trascinati in una guerra che non vogliono per colpa di Israele?».

Un sondaggio della BBC in 28 Paesi ha mostrato che il 50% degli intervistati ha un’opinione negativa di Israele, e solo il 19% è pro: due soli i Paesi filo-israeliani a maggioranza, Stati Uniti e... Kenia.

Un attacco israeliano unilaterale, riflettono alcuni, gioverebbe piuttosto all’Iran. Già, perchè farebbe schizzare alle stelle i corsi del greggio, assicurando al regime introiti aumentati. Perchè il patriottismo persiano per un attacco non provocato farebbe sparire ogni opposizione interna al regime. Perchè per una volta non Israele, ma l’Iran apparirebbe come la vittima di un aggressore impopolare, e il regime vedrebbe rinsaldarsi i suoi rapporti con Turchia, Siria e i non-allineati sudamericani, da Chavez a Lula.

Il fatto stesso che Israele minacci di colpire da solo è un riflesso della disperazione verso gli USA.

Generale McChrystal
   Generale McChrystal
Il generale McChrystal, capo delle operazioni in Afghanistan, ha recentemente dichiarato: «Non ci sono prove che l’Iran invii armi e combattenti in Afghanistan», smentendo così un luogo comune  della propaganda sionista (ha detto anche «Abbiamo troppi contractors privati»). (Gen McChrystal: No Proof Iran Sending Fighters or Weapons to Afghanistan)

L’ammiraglio Mike Mullen che presiede gli Stati Maggiori riuniti, il capo dei capi, ha detto in un discoso alla Columbia University: «L’Iran con armi nucleari è una situazione incredibilmente destabilizzante. Attaccarlo creerebbe lo stesso risultato. E in un’area già così instabile, non abbiamo bisogno di altra instabilità». (Joint Chiefs Chair: No, No, No. Don’t Attack Iran)

Insomma, per tradurre: non è che non vogliamo obbedire, ma proprio non ce la facciamo. Ci avete spompati.

Basterebbe che gli americani ripetessero almeno la frase che Bush pronunciò nel 2005, e che abbiamo sentito per cinque anni: «Tutte le opzioni sono sul tavolo» (All options are on the table). E invece, la frase contraria – novità inaudita – è sfuggita al sottosegretario alla Difesa USA Michele Flournoy in una conferenza-stampa a Singapore: «L’uso della forza militare... non è sul tavolo per adesso» (It’s OFF the table in the near term).



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Michele Flournoy e l'ammiraglio Mike Mullen



C’è voluta una smentita del capo della sala-stampa del Pentagono («No, no, nessuna opzione è OFF the table»), ma ormai il danno è fatto. Tanto che su The Nation, l’ottimo Robert Dreyfuss (ebreo, ed anche questo è indicativo), ha potuto scrivere:  «l’attacco non avverrà. Niente, nada, zero. Da anni, anche sotto Bush, è chiaro che i capi militari USA non vogliono attaccare l’Iran: nè allora, nè oggi, nè mai».

Sì, la lobby può costringere 72 senatori USA a firmare una lettera ad Obama, con l’ingiunzione di attaccare l’Iran «subito». La lobby può far sapere a tutto l’ambiente politico che, ormai, punta su Sarah Palin (auguri) che, «lei sì, riflette lo spirito americano verso Israele». Ma i generali sanno che gli USA non possono affrontare una terza guerra, e non la faranno mai. (Op-Ed: Palin’s policies reflect Americans’ spirit on Israel)

Shimon Peres ha «rivelato» che la Siria fornisce missili Scud ad Hezbollah

E sì, Obama ha chiesto spiegazioni all’ambasciatore siriano. Ma la risposta vera è venuta da Saad Hariri, il primo ministro libanese, tutt’altro che filo-siriano e ben poco amico di Hezbollah: «Grossi missili in Libano? L’accusa e la minaccia sembrano simili a quel che si usava dire delle armi di distruzione di massa in Iraq. Armi mai trovate. Stanno tentando di riproporre lo stesso scenario contro il Libano».

Probabilmente, Israele, per sfogare i nervi, farà una strage in Libano, e magari in Siria (Paesi ideali, in quanto deboli), come paventa ad alta voce il re di Giordania. Ma la sua impotenza fondamentale diventa ogni giorno più chiara. Sei anni di minacce vuote all’Iran – «Partiamo, adesso attacchiamo» – stanno rivelando il ridicolo dell’isteria: l’Iran non è forte, ma è troppo lontano. Può far della sconfitta militare un vantaggio politico, mentre per Israele è il contrario (ricordare Hezbollah, 2006). E i servi euro-americani, proprio, non ce la fanno a dare una mano.

A Mosca se ne sono accorti. Chissà quando lo capiranno Sarkò e Berlù.


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