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Però questo Al-Sisi: sembra Assad
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Questo articolo mira a completare quello precedente sul bagno di sangue in Egitto, ascoltando altre voci. Stavolta è quella di un Tarek Ezzat che appare su sul francese Afrique Asie. L’autore si auto-dichiara «militante rivoluzionario egiziano», dunque onestamente di parte. Se qualcuno ha informazioni in grado di smentirlo, ne sarò grato.

Tarek Ezzat nega che i Fratelli Musulmani abbiano vinto le elezioni in modo democratico, come i media continuano a ripetere. E descrive dei fatti avvenuti ai seggi: «Agli anti-Morsi, e soprattutto ai cristiani, è stato impedito di votare. A volte sotto minaccia di bruciare le loro case o botteghe e di ammazzare i loro figli».

«La confraternita e il suo partito hanno falsificato le liste elettorali; gli elettori del suo partito avevano più schede. Il caso più stupefacente è stato un elettore che disponeva di 60 schede diverse, utilizzabili in seggi diversi. La magistratura ha è stata appellata per indagare su questa frode prima della deposizione di Morsi».

La giustizia è stata interpellata anche per una frode che riguarda il poligrafico dello Stato, che ha stampato centinaia di migliaia di schede in più, rimesse nelle mani dei partigiani di Morsi.

«Per legge, il presidente del seggio elettorale deve essere un magistrato. La magistratura ha rifiutato questa supervisione, perché i fratelli musulmani si accalcavano in massa nei seggi per intimidire i votanti ed obbligarli a votare Morsi». Un’altra tattica era, da parte degli attivisti pro-Morsi, quella di «organizzare file d’attesa interminabili ai seggi, che quasi non si muovevano; si votava lentissimamente, al punto che gli altri elettori finivano per stancarsi e se ne andavano».

Tendo a crederci, perché mi ricordano da vicino le tattiche dei comunisti anni ’50, i loro attivisti minacciosi, freschi reduci dalla «lotta partigiana» (non pochi ancora lordi di sangue fresco, in certe zone) con il distintivo falce-martello a presidio dei seggi. Secondo Ezzat, «è stato appurato a livello giudiziario, e prima della destituzione di Morsi, che è stato il generale Shafik [l’avversario di Morsi, ritenuto vicino a Mubarak, ndr] a vincere le elezioni presidenziali. Ma i Fratelli Musulmani hanno minacciato di mettere il Paese a ferro e fuoco (...) Il voto dell’assemblea nazionale è stato annullato e l’assemblea disciolta per via delle frodi di cui sopra. Ma il giorno in cui la Corte Costituzionale doveva decidere la validità del voto sulla costituzione, le orde pagate dagli islamisti hanno assediato l’edificio della Corte e impedito ai magistrati di riunirsi».

Se questo è anche solo in parte vero, scade alquanto l’argomento con cui gli europei fanno la lezione ai militari egiziani: bisogna partire dal fatto che Morsi, con tutti i suoi difetti, è stato votato democraticamente...

Ma non basta. «Appena preso il potere, i “deputati” islamisti hanno proposto una legge per sopprimere l’età minima matrimoniale, onde permettere il matrimonio di minorenni e di bambine. Col motivo che il Profeta sposò Aisha [la sua moglie favorita] quando aveva 9 anni».

Un’altra legge dei Fratelli mira a «sopprimere l’insegnamento obbligatorio e gratuito elementare. Con la motivazione che non c’è bisogno di scuole, poiché il Profeta stesso era analfabeta».

L’autore inoltre accusa Morsi e il suo governo di aver lanciato subito una campagna di odio contro i cristiani, denominati «crociati» nemici dell’Egitto e dell’Islam (i cristiani sono in Egitto prima dei musulmani, come noto). Chiese sono state incendiate, cristiani assassinati. Ezzat denuncia che «centinaia di fanciulle cristiane» sono «rapite, convertite e sposate a forza» dai più estremisti, senza che il governo Morsi abbia non solo impedito, ma deplorato in alcun modo i fatti. Denuncia anche «un vero pogrom» avvenuto nel maggio 2013, «dove degli islamisti hanno trucidato degli sciiti in preghiera». Ezzat parla di «una coppia di innamorati ammazzati in strada perché la sharia vieta ai giovani di uscire insieme, di una bambina delle elementari andata in classe senza velo e rapata in classe dalla direttrice scolastica: questi incidenti si ripetono ogni giorno, dall’insediamento di Morsi gli islamisti facevano regnare il terrore». Piacerebbe conoscere i particolari. O ricevere una smentita.

Il nostro ricorda che Morsi aveva nominato come governatore della zona turistica di Luxor un esponente della stessa organizzazione terroristica che, proprio a Luxor, nel novembre 1997, massacrò ben 58 turisti (svizzeri e giapponesi) davanti all’antico tempio di Atsheput, atrocità che devastò l’attività turistica del Paese e dunque la sua economia. Verissimo: il tizio nominato da Morsi si chiama Adel ek-Khayat, è dirigente del gruppo clandestino Gamaat Islamiya responsabile della strage (alle elezioni ha avuto13 seggi), ed è stato costretto alle dimissioni dalle proteste dell’opinione pubblica.

Ultimo tocco: «Morsi ha nominato ministro della cultura uno che, appena insediato, ha chiuso il teatro d’opera del Cairo, vietato il ballo e la danza e imposto delle serie televisive “senza attrici”».

Che dire? Come minimo questo: l’Egitto necessita di provvedimenti più urgenti che una legge che consenta il matrimonio delle bambine e l’abolizione dell’obbligo scolastico (1). Decisamente, almeno da questa descrizione, i Fratelli Musulmani mi ricordano molto i comunisti anni ‘50, totalmente in preda ai loro dogmi ideologici e ai più schematici. Trinariciuti dell’Islam che impongono i loro dettami ideologici ad una società che non conoscono, che è più complessa e plurale di quella che loro credono, e che dopo piazza Tahrir non ha certo scosso da sé il regime di Mubarak per cadere sotto una dittatura più ottusa, ignorante e retriva.

In fondo, anche loro hanno perso la partita per gli stessi motivi dei nostri trinariciuti di allora, perché pensavano di trascinarci a forza nel paradiso socialista – noi occupati dagli americani «liberatori», sede del Papato, eccetera. Per nostra (e loro fortuna) i nostri trinariciuti dell’epoca avevano capi più acuti, o almeno più machiavellici di loro. Quando nel 1947 Giancarlo Pajetta, con centinaia di partigiani prese d’assalto la Prefettura di Milano e telefono trionfante a Togliatti: «Compagno, la Prefettura di Milano è nostra», si sentì rispondere un sarcastico: «Bravi, ed ora che ve ne fate?». Se ne tornarono a casa, ma in fondo la doppiezza del Pci, falsamente democratica, lo ha sempre danneggiato, il popolo italiano non s’è mai fidato tanto da dargli la maggioranza, e non avrebbe mai governato se la DC – o quella parte il cui ultimo triste rimasuglio è Rosi Bindi – non avesse raccolto voti di centro e destra per portarli a sinistra, in consociativismi, convergenze parallele e compromessi storici: tutti succedanei furbeschi della maggioranza che al Pci è sempre mancata. C’è una doppiezza anche nei Fratelli Musulmani; non hanno appoggiato le folle di piazza Tahrir e poi, quando quelle hanno fatto cadere il vecchio regime, ne hanno approfittato impadronendosi della rivoluzione, per riportare il Paese all’indietro, ai fellahin credenti che sono il suo nerbo elettorale.

Alla Fratellanza manca evidentemente un Togliatti. I trinariciuti di Maometto hanno preteso di governare l’Egitto, un Paese levantino di 85 milioni di abitanti, basato sul turismo, con legami continui con i vicini mediterranei, un esercito che dipende dagli Usa, come i Talebani governarono l’Afghanistan culturalmente medievale, politicamente isolato e geograficamente imprendibile sull’Hindukush. Così, l’economia basata sul turismo è collassata, la disoccupazione è aumentata del 30%, i prezzi sono cresciuti del 40, per comprare un euro oggi ci vogliono 13 lire egiziane mentre prima ne bastavano 7, le riserve di valuta sono quasi a zero, il governatore della banca centrale ha dato le dimissioni... e di tutto questo la responsabilità è accentrata sulla Fratellanza accentratrice.

Nello scorso articolo, sulla base di una valutazione israeliana, ipotizzavo una quasi cessione del Sinai, da parte dell’esercito egiziano, alla Israeli Defense Force, per farne una base sionista-americana. Ora, pare che fosse Morsi a preparare il tradimento: aveva introdotto nella costituzione (oggi abolita) un articolo che gli permetteva, in quanto presidente, di vendere una parte del territorio nazionale, a suo giudizio, a chiunque. anche ad una potenza straniera. Non pare lontana dal vero la voce che dipinge Morsi (altra doppiezza) come «americano» sul libro paga della NSA. Fra l’altro, c’è il sospetto che Morsi e il governo della Fratellanza abbiano lasciato il Sinai a gruppi islamisti armati fratelli (alcuni dei quali hanno massacrato i soldati egiziani mesi orsono) e ad Hamas, forse come base per una soluzione del conflitto israeliano-palestinese che contemplerebbe l’espulsione dei palestinesi, appunto, nel Sinai. Quando poi Morsi ha rotto le relazioni diplomatiche con la Siria incitando a battere Hezbollah, i gallonati egiziani – che hanno i loro privilegi ed interessi da difendere – hanno catalogato la Fratellanza come organizzazione terrorista ed anti-nazionale. Ed hanno agito.

Anche la descrizione del generale Al-Sisi, ministro della Difesa nel governo militare e artefice della repressione, come obbediente creatura degli americani va corretta. Mentre a Washington giungevano le notizie del massacro, Chuck Hagel (Pentagono) ha telefonato «almeno 15 volte» al generale egiziano per ammonirlo che «gli Usa restano impegnati a lavorare con tutte le parti per arrivare ad una via d’uscita pacifica e inclusiva». Ma quelle telefonate «ed altre ancora da membri della amministrazione Obama, fra cui il segretario di Stato John Kerry, non sembrano aver influenzato le decisioni di Al-Sisi dall’altro capo della linea». Così il sito americano specializzato in affari delle difesa, DefenseOne. (The Pentagon Has Lost Its Leverage with Egypt. Now What?)

DEBKA File racconta di una telefonata dello stesso Obama. Il presidente Usa «voleva dare al generale una lavata di capo come quella che fece al presidente Hosni Mubarak nel febbraio del 2011»: la telefonata dopo la quale Mubarak dovette lasciare. Stavola invece «il generale Al-Sisi non ha accettato la chiamata del presidente Obama», insomma ha fatto dire di non essere in ufficio. «I funzionari egiziani che hanno risposto hanno informato educatamente il presidente Usa che la persona giusta a cui rivolgersi era il presidente ad interim Adli Mansur, a cui sarebbero stati lieti di trasferire la chiamata. Dalla Casa Bianca hanno declinato». Crederci o no? Direi di sì, anche perché DEBKA cita «nostre fonti», e la capacità di intercettazione dei servizi israeliani non deve aver avuto difficoltà ad ascoltare Cairo e Washington. (Saudi King Abdullah backs Egypt’s military ruler, warns against outside interference)

Al-Sisi non solo ha rifiutato la «lavata di capo», ma ha dato lui una lezione umiliante ad Obama, di fatto schernendolo. Mai è apparsa più comicamente palese la perdita di autorità e prestigio degli usa in Medio Oriente.

Da militare, Al-Sisi, impegnato in una lotta per la vita o per la morte, capisce che l’azione una volta intrapresa deve andare fino in fondo, e se desse retta al repertorio di consigli americani, si troverebbe di nuovo alla mercé dei Fratelli Musulmani che invece vuole eliminare. Ma è anche vero che, se ha dato questo schiaffo, è perché sa di poterlo fare. La minaccia americana (del resto non esplicitata) di sospendere alle forze armate egiziane l’aiuto di 1,5 miliardi di dollari l’anno ha poco peso, dal momento che l’Arabia Saudita di miliardi ne ha promesso 13 (gli Emirati altri 3), purché i militari continuino l’eliminazione dei Fratelli Musulmani. La monarchia saudita wahabita li detesta. Re Abdullah ha emanato un saluto ai militari egiziani dove taccia la Fratellanza di «terrorismo» islamico. Senti chi parla, ma il testo è chiaro e rimbombante: «Il Regno d’Arabia, il suo popolo (sic) e il suo governo si ergono al fianco dei loro fratelli in Egitto contro il terrorismo. Faccio appello agli onesti in Egitto, e nelle nazioni arabe e musulmane di levarsi come un sol uomo e con un solo cuore contro il tentativo di destabilizzare il paese che è all’avanguardia della storia araba a musulmana». (Saudi king calls on Arabs to stand with Egypt)

Re Abdullah «lavora» ancora per gli americani? Non è più cosa sicura. Come saprete, il 13 luglio scorso, il principe saudita Bandar (capo dei servizi e di tutti gli arcana imperii) è volato a Mosca per un colloquio con Putin, durato 4 ore. Secondo quel che i russi hanno fatto filtrare, ha offerto di acquistare 15 miliardi di armamento russo, purché Mosca smettesse di sostenere Assad in Siria, assicurando per giunta che la posizione russa di fornitrice dominante di gas all’Europa non sarebbe state messa in pericolo dagli stati del Golfo. Vladimir ha rifiutato, ovviamente. Restava la sensazione che Bandar avesse fatto quell’offerta con il consenso, se non addirittura su suggerimento di Washington. Non sembra sia così: appena uscita dall’incontro con Putin, il principe Bandar è stato invitato a Washington per un incontro col presidente Obama, evidentemente sorpreso. «Bandar non ha fino ad oggi risposto all’invito», sottolinea DEBKA con tipica Schadenfreude. Sembra che anche i Sauditi ormai giochino in proprio, come già pronti per un Medio Oriente post-americano.

Obama chiama e l’uno non risponde al telefono, l’altro non si fa vivo. Patetico e sconsolato, il portavoce della Casa Bianca ha detto sull’Egitto: «Stiamo osservando per sapere cosa accadrà nel Paese». Al Pentagono, danno voce al timore: se noi smettiamo di fornire l’armamento all’esercito egiziano (i famosi aiuti da 1,5 miliardi), le armi gliele vendono i russi

I russi che non fanno prediche sulla democrazia e – fanno sapere – rispettano «la sovranità e la non-interferenza degli Stati» (sottinteso: mica come quelli che sapete). E l’ambasciata del Cairo a Mosca ha pubblicamente detto di «fare contro» sulla assistenza della Russia «in tempi di prova, come fu in passato». In passato, prima cioè che Anwar Sadat espellesse dall’Egitto 5 mila esperti e consiglieri militari sovietici per aderire al processo di pace con Israele e mettersi sotto l’ala di Washington. Il ministro degli Esteri Lavrov h avuto una lunga telefonata con il collega egiziano, Nabil Fahmy: nulla è trapelato sul tema della conversazione; ma va’ notato che in quel caso, ai telefoni egiziani c’è chi risponde. Insomma, dal punto di vista dei russi, il generale Al-Sisi e la giunta eradicatrice del Cairo paiono una forza laica che lotta contro gli islamisti; anche in Siria, essi aiutano Assad come forza laica minacciata dalla legione straniera di jihadisti.

Sempre più appare che Assad aveva ragione a resistere, che Mosca ha ragione ad assisterlo, e che Al-Sisi somiglia sempre più ad Assad, e si sente meglio al sicuro coi russi. «Una eccezionale finestra d’opportunità per Mosca», dice Asia Times.





1) Come idiozia ideologica, bisogna riconoscere che il varo urgente delle leggi contro l’omofobia in Italia, e i matrimoni omosessuali in Europa, non sono da meno. Ma noi non scendiamo in piazza a strapparli dal potere... Nella sua atrocità, la vicenda egiziana ci ricorda almeno che la politica è faccenda pericolosa e tragica, al fondo della quale scorre il sangue di chi sbaglia, non di «diritti umani», nozze gay e «interventi umanitari». E che richiede coraggio; i pagliacci si astengano.



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