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Soldati francesi con Boko Haram. Ed altri giochi sporchi
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Il 12 gennaio scorso l’armata regolare del Camerun ha sferrato un’operazione di successo contro la setta jihadista di Boko Haram nella località di Kolofata: gli islamisti hanno lasciato sul terreno 140 morti. Settanta sono stati fatti prigionieri. Fra questi, «otto di origine europea», come si legge nel comunicato del Governo camerunese.

Chissà di quale nazione, vi chiederete. Risposta rapida: Laurent Fabius, il Ministro degli Esteri di Parigi, scrive Afrique Media, «avrebbe ordinato al Governo camerunese la liberazione e il rimpatrio in Francia degli 8 europei catturati dalle forze di difesa (...) e che erano al servizio degli islamisti terroristi, affinché siano giudicati e condannati secondo le loro colpe». Commenta l’agenzia africana: «Monsieur Fabius agisce come se il Camerun fosse il suo cameriere e non avesse un proprio sistema giudiziario e leggi anti-terroriste... Le dichiarazioni del ministro Fabius sono una manifestazione di disprezzo e di fragrante violazione della sovranità del Camerun»…

I soldati del Camerun, nel loro fortunato attacco, hanno messo le mani «su un importante arsenale di armi da guerra , fucili d’assalto, armi pesanti e materiale di trasmissione ultramoderno», e non basta: anche «due carri armati, e due aerei cargo del tipo Antonov provenienti dal Katar contenenti munizioni ed armi pesanti». Non male per un gruppo di scalzacani negri, ancorché ferocissimi. Si vede che hanno molti e potenti amici.

Non è nemmeno una novità. I nostri più attenti lettori ricorderanno che nella notte del 5-6 dicembre scorso le autorità portuali nigeriane hanno arrestato l’equipaggio di un aereo da carico russo, carico d’armi, che aveva dovuto atterrare nell’aeroporto di Kano Nigeria, per motivi tecnici (era diretto a N’Djamena, Ciad). L’equipaggio dell’aereo russo era stranamente composto esclusivamente di ufficiali dell’Armée Française. Peraltro l’ambasciatore russo, svegliato nella notte per «dare spiegazioni», dopo aver fatto rapidi controlli con Mosca, è in grado di confermare: la matricola dell’aereo, visibile in coda, è una matricola russa falsificata. La Russia non riconosce questo aereo, e men che meno il carico di armi. Qualcuno l’ha voluto far apparire come russo per qualche motivo.

Che giochi sta giocando Hollande?

È la domanda che s’impone. La scoperta africana di questa alleanza fra La Pera e Boko Haram potrebbe dare consistenza ad una voce che è circolata: nella sacca di Debaltsevo in Ucraina, fra gli ottomila militari di Kiev chiusi dentro senza speranza, ci sarebbero dei soldati francesi. Non mercenari, ma regolari in missione. E sarebbe questo il motivo per cui Hollande, facendosi accompagnare dalla Merkel, s’è precipitato a Mosca a parlare a Putin ed imbastire in fretta una tregua che consentisse l’esfiltrazione dei suoi uomini, senza farli identificare.

Non è possibile confermare la voce. Quel che è certo è che i ribelli del Donbass, intercettando le comunicazioni radio che si scambiano i rinchiusi della sacca, sentono quattro lingue: «l’inglese, il polacco, il francese e probabilmente il fiammingo», come ha confermato Eduard Bassurin, alto grado militare della Repubblica del Donetsk. L’elenco delle lingue parlate nella sacca dev’essere più ampio, se qualche giorno fa Mosca ha elevato una formale protesta contro il Governo della Croazia per il fatto che militari croati combattono a fianco delle milizie di Kiev. La cosa è stata confermata dalla ministra degli Esteri croata Vesna Pusic in forma di smentita: no, i nostri non combattono a fianco delle milizie neo-nazi (il battaglione Azov, macchiato di autorità), ma «integrati nell’armata regolare di Kiev, per quanto ne so». Per quanto ne so.

I Balcani, di nuovo?

L’avventurismo destabilizzatore USA-UE sta già per ottenere un risultato fatale: la riapertura della frattura nei Balcani, fra occidentalisti e filo-russi. Proprio da pochi giorni il Governo della Macedonia, minacciato di colpo di Stato democratico (o espansione della democrazia, secondo Soros) ha scelto il fronte filo russo, insieme a Serbia, Grecia e Cipro. L’atto con cui la piccola repubblica ha decretato in quale campo sta, è stata l’approvazione , da parte del Parlamento macedone, di un emendamento alla Costituzione che risuona così: si chiama matrimonio «esclusivamente l’unione di un uomo e di una donna». Con 72 voti contro 4. Il che ha fatto infuriare il capo dell’opposizione, tale Libco Georgevski, che a Radio Free Europe (CIA) ha tuonato: «L’attuale Governo è contro la NATO e contro la UE, è uno strumento della politica di Belgrado...». È un parziale insuccesso delle note Ong americane NED (National Endowment for Democracy) e NDI (National Democratic Institute), che coi soldi di Soros e con le direttive di Victoria Nuland si sono prese a cuore da tempo la povera Macedonia, e il suo inespresso bisogno di democrazia occidentale. Non c’è dubbio che queste Ong – accusate ingiustamente dal Governo vigente di aver tentato un colpo di Stato per il cambio di regime – moltiplicheranno gli sforzi per estendere le libertà occidentali ed i nostri valori alla piccola repubblica.

Che giochi gioca Obama?


Un’altra domande che si impone. «Aerei della coalizione (capeggiata dagli USA) contro Daesh paracadutano armi e munizioni a Daesh»: lo ha denunciato davanti al Parlamento iracheno il presidente della Commissione Sicurezza e Difesa del medesimo Parlamento, Hakem al-Zamli. Aggiungendo che «abbiamo prove documentali, fotografiche, informative che questi aerei violano la sovranità irachena e gli usi internazionali».

Chuck Hagel
  Chuck Hagel
Nessuna smentita, anzi nessuna risposta, è venuta finora dall’Amministrazione USA. Bisogna riconoscere che non sono risposte facili da ottenere: non c’è riuscito nemmeno Chuck Hagel, che era addirittura il Ministro della Difesa di Obama: quando nel settembre scorso ha chiesto alla casa Bianca risposta «scritta» alla domanda: «Contro chi si batte il Pentagono in Siria?», non solo non ha ricevuto risposta, ma è stato licenziato. Chuck Hagel era un poco disorientato: sapendo benissimo che Daesh era stato formato ed addestrato da USA e Sauditi per rovesciare il laico Assad in Siria e poi inviato in Iraq a massacrare sciiti ed eliminare il Governo sciita di Al Maliki, con addestratori della CIA sul campo, voleva sapere come ciò si conciliasse con le disposizioni date al Pentagono di bombardare questi loro terroristi preferiti.

Misteri di Obama. O meglio, misteri del suo vacuo e confusamente machiavellico cerchio magico (pare che Hagel sia stato licenziato in tronco da Susan Rice, la negretta attuale consigliera di sicurezza nazionale, «intellettualmente ed affettivamente» vicina ad Obama): un cerchio magico oggi sotto accusa da parte dei Savi Anziani di Washington (Council on Foreign Relations) come abbiamo illustrato in un articolo precedente.

Un attacco obliquo alla Nuland


Potrebbe far parte di questo attacco dell’Establishment anche una notizia assolutamente non confermata, e di cui lasciamo tutta la responsabilità a Benjamin Fulford, un blogger canadese con un passato da linguista (scrive libri in giapponese) e di analista strategico-finanziario, che sembra ben informato su certe cose. Se fosse vera, è una notizia-bomba:

Ai primi di febbraio in Germania sarebbe stato arrestato «un assistente di Victoria Nuland» (la sottosegretaria di Stato che tanto ha operato per portare l’Ucraina nella sfera NATO) che è anche un dipendente di una finanziaria chiamata Vanguard Corporation, in possesso di quasi un miliardo di dollari falsi – ma falsi di alta qualità, in banconote da 100 – con cui verrebbero pagati mercenari in Siria, Iraq, Ucraina , Libia. Anche i mercenari americani oggi presenti in Ucraina sarebbero pagati coi dollari falsi. En passant, Benjamin Fulford rivela che quando il 18 maggio la truppa di Kiev attaccò la città di Sloviansk senza aspettarsi l’efficace difesa dei ribelli del Donbass, la Academi (è l’ex Blackwater di funesta memoria in Iraq) ci ha perso 59 suoi contractors, e la Greystone, un’altra ditta di militari privati, 17.

Non è bello morire per un pugno di dollari. Falsi, poi...

Il tizio della Nuland arrestato dai tedeschi, di cui non si fa il nome, avrebbe reso ampia confessione: gettando luce, fra l’altro, sulla misteriosa e sanguinosa sparatoria che a piazza Maidan, ai primi di febbraio, fece 95 morti: dove misteriosi cecchini spararono indiscriminatamente sia sui poliziotti sia sui dimostranti. Accadde il febbraio di un anno fa.

Di questo oscuro e losco episodio – che precipitò la caduta di Yanukovitch e il putsch dei filo-americani di Kiev – parlò a Catherine Ashton, come forse si ricorderà, il ministro degli Esteri estone Urmas Paet, in una telefonata che fu intercettata: «Il fatto rivoltante è che dietro ai cecchini non c’era Yanuchovic, ma dei membri della nuova coalizione (d’opposizione, ossia i liberatori filo-occidentali). La Ashton, per nulla rivoltata, cercò di parlare d’altro. Fausto Biloslavo, l’ottimo inviato del Giornale, il 7 marzo 2014 trasse la conclusione seguente: «è forte il sospetto che nel bagno di sangue del 20 febbraio in piazza Maidan fosse coinvolta una “terza forza”, che aveva l’ordine di sparare per uccidere su manifestanti e poliziotti con l’obiettivo di creare il caos. Come è puntualmente avvenuto provocando la caduta» del Governo eletto di Yanukovitch.

Adesso l’uomo nelle mani dei tedeschi avrebbe confessato che l’ordine sarebbe venuto dalla Nuland: far sparare i cecchini in modo da «creare un po’ di panico». Da cui si vede che – vera o no, confermata o no – la notizia-bomba ha un bersaglio chiaro: è un siluro lanciato alla Nuland, al cerchio magico e ai forsennati guerrafondai del Dipartimento di Stato. Un siluro che pare originato dall’interno stesso dell’Establishment americano, con grande interesse e soddisfazione del Pentagono.

Può far parte del siluro il fatto che la BBC, di colpo, è tornata sulla misteriosa sparatoria di piazza Maidan di un anno fa, intervistando uno sparatore, che ha ammesso di aver sparato, quel giorno fatale, sui poliziotti.

Ma ancor più strana, e più rovinosa per i neocon, è l’improvvisa ricomparsa di Zakarias Moussaoui con una testimonianza-bomba, accuratamente riferita da Robert Parry, l’analista con ottimi agganci coi servizi d’intelligence USA critici dell’andazzo.

Ricordate Zacarias Moussaoui?


Zacarias Moussaoui
  Zacarias Moussaoui
Forse no, e siete scusati: sono cose vecchie, risalgono al 2001, l’11 Settembre. Cittadino francese d’origine marocchina, Moussaoui è stato dipinto – e condannato all’ergastolo – come «la mente dietro gli attentati» dell’11 Settembre, «esponente di Al Qaeda» ed «uomo di fiducia di Bin Laden»: anche se non ha avuto modo di compiere fisicamente l’attentato magari dirottando un aereo, per il semplice fatto che è stato arrestato in Usa nell’agosto 2001, ossia un mese prima che l’evento si producesse.

Ebbene: questo poveraccio (probabilmente innocente) che marcisce da 15 anni nella galera di massima sicurezza di Florence Colorado, di colpo torna all’attenzione del New York Times: questo autorevolissimo quotidiano, il 4 febbraio scorso, rivela che Moussaoui ha fatto dichiarazioni giurate in cui «implica alti dirigenti sauditi come collaboratori di Al Qaeda», compromettendo en passant «anche il Likud, illuminando cioè la bizzarra alleanza fra Ryad e Netaniahu».

Moussaoui, dal fondo della sua cella, accusa il principe Turki al-Faisal, all’epoca capo dei servizi sauditi, il principe Bandar bin Sultan, già ambasciatore di Arabia Saudita in USA, il miliardario al-Waleed bin Talal.... Che costoro fossero amiconi di Osama bin Laden e suoi potenti finanziatori e suggeritori, è un segreto di Pulcinella: nel rapporto del Congresso sull’11 settembre, pubblicato nel 2002, ci sono 28 pagine che il presidente Bush fece a suo tempo segretare (ma che alcuni senatori hanno potuto leggere), proprio perché mettevano in luce la parte negli attentati del regime saudita, nonché gli intimi rapporti che univano i Bin Laden alla stessa famiglia Bush. Basta ricordare che il principe Bandar bin Sultan, l’uomo che minacciò Putin di lanciare i «suoi» terroristi ceceni a fare strage alle Olimpiadi di Sochi, se Mosca non smetteva di sostenere il regime di Assad, era così intimo di Dubya da esser chiamato «Bandar Bush».

Al New York Times lo sanno benissimo, questo segreto di Pulcinella. La vera novità è che un giornale così autorevole, voce storica dell’Establishment, inopinatamente, dia tanta importanza al povero Moussaoui; ma sono quelle 28 pagine segretate che ora l’inopinata testimonianza dell’ergastolano rischia di riportare alla conoscenza pubblica, rovinando gli strani rapporti non solo della famiglia Bush, ma dei neocon ebrei in intima alleanza coi sauditi. Rapporti che s’incarica di illuminare Parry, riferendo accuratamente di vari incontri – recentissimi – tra israeliani e sauditi d’alto livello, in cui entrambe le parti si trovavano d’accordo strategicamente su alcuni punti: il comune paura che l’Iran si faccia la bomba atomica, l’odio per la componente sciita che «si estende da Teheran a Beirut via Damasco», e dunque la necessità di far cadere Assad, che da Damasco è «la chiave di volta» di questa «mezzaluna sciita»... meglio i terroristi sunniti del DAESH che Assad, hanno detto tanti personaggi ebrei, da Michael Oren, ex ambasciatore in USA per Israele) fino a Netanyahu. Adesso che l’Establishment sembra aver deciso che a Damasco è meglio rimanga Assad, quest’alleanza saudi-giudaica vuol essere fatta diventare un’incriminazione di un regime ormai in disgrazia agli occhi americani (i sauditi hanno distrutto la loro industria dei gas da scisti), e di un Netanyahu che ha fatto perdere la pazienza ad altissimi ambienti USA.

Se ciò comporterà un cambiamento a danno della Nuland, è ancora tutto da vedere. Ma sarà interessante seguirlo.




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