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Ad Obama scappa una verità. Fra le menzogne
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Bombardare l’IS in Siria? La risposta del presidente Obama ai giornalisti: «Non voglio mettere il carro davanti ai buoi. Ancora non abbiamo una strategia». (assaporatela in inglese: But I don’t want to put the cart before the horse. We don’t have a strategy yet.), e poi: «La mia priorità è assicurarmi che le posizioni guadagnate dall’IS in Iraq siano riportate alla situazione precedente...». Frase che un giornalista presente, Jon Williams, traduce così: Obama «ha detto che la linea politica USA non è debellare l’IS, ma solo di riportarla alle posizioni precedenti» («He says not US policy to defeat ISIS, only reverse gains).

Verace ammissione, per una volta: il potere americano non vuole danneggiare l’IS, che gli è costato tanti soldi e fatica. Dopo le scene di decapitazioni via web deve dar l’impressione di agire, ma evitando di colpire a fondo. Nelle profonde riflessioni delle giornate scorse fra Casa Bianca e Pentagono, l’imbarazzante situazione ha preso la seguente forma: come bombardare i tagliagole del califfo senza «involontariamente aiutare il regime di Assad»?

Secondo l’agenzia AP, allo scopo di «evitare di rafforzare senza volere il Governo siriano», si è seriamente parlato di «bilanciare gli attacchi contro lo Stato Islamico con attacchi su bersagli del regime di Assad», uno «strike» su questo, uno «strike» sull’altro, insomma bombardicchiare a par condicio: un po’ quelli e molti questi... La cosa ha finito per sembrare folle persino ai folli del Dipartimento di Stato. Da cui «non abbiamo ancora una strategia»: mentre scrivo questo articolo, però, può uscirne una.

Le menzogne anti-Putin. Un riepilogo.

Sull’Ucraina, invece, la strategia ce l’hanno: «Mosca ha gettato la maschera, ha invaso lo Stato sovrano e democratico», come ha detto la portavoce USA al consiglio di sicurezza dell’ONU sùbito convocato su urgente richiesta di Kiev; la NATO (il ben noto Rasmussen, che ha bisogno di una nuova poltrona essendo scaduto) dirama immagini satellitari che «provano» l’invasione. Insomma è guerra. Mi correggo: non guerra, ma sanzioni più dure. Che paghino gli europei (i veramente danneggiati).

Resta il fatto che i nostri media ripetono e strombazzano il cumulo di menzogne americane, molto intensificate in queste ore. Con l’aiuto di Zero Hedge, siamo in grado di riepilogare quello che hanno fatto credere alle folle.

«La Russia ha invaso l’Est Ucraina, vuole annetterlo». Niente di più falso. Se si annettesse la zona russofona, Putin avrebbe immediatamente le truppe Nato – chiamate, invocate da Kiev – ai suoi confini, ancorché un poco allargati. È esattamente quello che Putin ha voluto scongiurare con tutte le sue iniziative. Egli punta ad un’Ucraina indipendente, neutrale e se possibile federale, uno Stato-cuscinetto che tenga a qualche distanza le aggressive forze Atlantiche. È per questo che Putin, a Minsk, ha rifiutato di discutere con Poroshenko (e la Ashton) in termini di «guerra» Russo-ucraina. Ciò che avviene, ha detto, è «questione interna», una guerra civile, inevitabile conseguenza del colpo di Stato avvenuto a Kiev, dove un Governo eletto (ancorché corrotto) è stato rovesciato e sostituito da una giunta scelta dal Washington e sostenuta da frange naziste – che oltretutto hanno immediatamente vietato l’uso della lingua russa, quella parlata dagli abitanti del Donetsk.

Con un’annessione, inoltre, Mosca dovrebbe assumersi il costo immane di sollevare quella economia in rovina, ancor più oggi distrutta dal conflitto; un privilegio che preferirebbe lasciare al regime di Kiev e ai suoi contributori occidentali, FMI, UE, USA... Per contro, è la giunta di Kiev che ha un bisogno disperato di «internazionalizzare» il conflitto, facendolo passare per una guerra tra Russia e Ucraina, per trascinare gli occidentali al suo fianco.

«Mosca sostiene la Repubblica popolare di Lugansk e la Repubblica popolare del Donetsk, le due regioni che si sono dichiarate separate da Kiev». In realtà, il Cremlino ha rifiutato di riconoscere quelle due «repubbliche». Putin aveva sconsigliato i ribelli di tenere quel referendum con cui le popolazioni del Donbass hanno chiesto a schiacciante maggioranza l’adesione alla Russia; ha consigliato almeno di rimandarlo, e chiesto ripetutamente un cessate il fuoco e una soluzione della crisi negoziata internazionalmente... I capi delle due «repubbliche» hanno rifiutato, preferendo cercare una vittoria militare.

«NATO ed USA stanno difendendo l’Europa dalla minaccia che la Russia pone alla sua pace» . Verità è che sabato 23 agosto, Angela Merkel è piombata a Kiev ed ha detto asciutta alla giunta: «Bisogna trovare una soluzione alla crisi in ucraina senza nuocere alla Russia. Ci vuole un dialogo. Non può esserci che soluzione politica». Come soluzione, la Cancelliera ha evocato nientemeno che la parola «decentralizzazione» dell’Ucraina, e persino chiarito che se «l’Ucraina volesse aderire alla Unione Eurasiatica» (ossia il mercato comune russo), «l’Unione Europea non ne farebbe una ragione di conflitto». Cose che la Merkel ha ripetuto al vertice di Minsk al presidente Poroshenko nei termini più chiari: «Non è interesse della Germania la continuazione del conflitto con la Russia (...) Dipendiamo gli uni dagli altri e ci sono tanti altri conflitti nel mondo dove dovremmo mettere i nostri sforzi in comune. Spero dunque si facciano dei progressi».

Immediatamente dopo questo intervento della Cancelliera la disperata giunta di Kiev ha strillato: «La Russia ci invade! L’Europa ci aiuti!». Il solito trucco che tenta da settimane, ma è stato sùbito sostenuto dalla Nato (Rasmussen) e dagli americani che hanno fornito le «prove».

Lungi dal difenderci, è per mandare a monte l’iniziativa di pace di Berlino che USA e NATO hanno spinto l’Europa e tutti noi all’orlo della guerra – o almeno, alla recisione dei rapporti economico-politici con la Russia, che per loro stavano diventando troppo stretti. Lo ha detto Dmitri Trenin, uno dei più autorevoli politologi russi: «L’escalation della guerra in Ucraina in un conflitto aperto è ora probabile per la prima volta, dopo il fallimento della proposta tedesca di un cessate il fuoco».
Una volta sabotato il suo sforzo, alla Merkel non è rimasto che far finta di credere alla invasione russa, e unirsi alle minacce di «più gravi sanzioni». Il perché è solo ipotizzabile. Da una parte, le forze armate tedesche sono in situazione miserevole (non hanno nemmeno qualche vecchio armamento da regalare ai kurdi iracheni, la sua aviazione è in «sfacelo catastrofico» – secondo Spiegel).

Dall’altra, non sono da escludere minacce dirette all’incolumità fisica dei leader: quelli ormai sono disposti ad ammazzare (Ex-CIA propone l’uccisione di Putin), come hanno fatto con i capi degli Stati vassalli sudamericani che deviavano dalla linea. Vada qui una lode alla nostra Ministra Mogherini, che – inaspettatamente, o ingenuamente – ha avuto il coraggio di tenere posizioni tali, da farsi bollare come «filo-russa» o filo-Putin.

«L’imperialismo russo è quello che minaccia l’Europa. Putin vuole far rinascere l’URSS». Lo fanno credere i Ferrara, i Mentana, il giornali berlusconidi, insomma tutti i media complici volonterosi dell’imperialismo anglo. Stiamo infatti assistendo al ritorno dello sforzo secolare di Londra ed alleati di spingere la Russia, privata delle sue propaggini occidentali, lontana dall’Europa.

Anche quando a Pietroburgo c’era lo Zar, infaticabili guerre (basterà ricordare quella di Crimea) per negare alla Russia lo sbocco ai mari caldi, anzi persino al suo mare di casa, il Mar Nero, e ad impedire alla sua flotta l’attraversamento degli Stretti, ciò che l’oceanico impero britannico sentiva come una minaccia. La strategia è quella che Brzezinski ha delineato di nuovo dal 1997 nel suo The Grand Chessboard: «L’Ucraina è il perno, la sua semplice esistenza come Stato indipendente trasformerà la Russia. Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un Impero euro-asiatico». Non diceva niente di nuovo. Senza disturbare McKinder, già negli anni ’30 lo storico polacco J. Wasowicz scriveva: «Senza l’Ucraina, Mosca viene respinta nelle foreste del Nord».

«L’esercito di Kiev vince, sta stringendo l’assedio a Donetsk e Lugansk, il territorio in mano ai ribelli si restringe»: così la BBC, la CNN, i tiggì – così ci vogliono far credere. La realtà è che le forze armate ucraine si stanno sgretolando, i comandi non appaiono capaci di condurre vere offensive e si limitano a bombardare con missili e katiusce i civili (sperando che si ribellino ai ribelli...), i suoi soldati sono male armati, male addestrati e demoralizzati; si fanno continuamente chiudere in sacche; disertano in numero sempre maggiore, spesso rifugiandosi in Russia; le perdite subìte sono sicuramente migliaia. Colpiti e distrutti dai ribelli, cominciano a scarseggiare di mezzi corazzati, che sono residuati bellici sovietici rimessi in azione dopo due decenni di ruggine. Per contro, i ribelli hanno aperto un secondo fronte che ha colto di sorpresa i comandi, e stanno assestano colpi decisivi... tanto che il presidente Putin, nella notte del 29 agosto, ha riconosciuto che le milizie ribelli del Donbass hanno ottenuto «una grande vittoria» riprendendo la cittadina di Novoazovsk, e la ha pubblicamente invitate a «aprire un corridoio umanitario per i soldati ucraini che sono stati accerchiati [nell’ennesima sacca, ndr] onde evitare ogni inutile perdita di vite umane, dando a questi uomini la possibilità di abbandonare il teatro dei combattimenti senza ostacoli e ritrovare le loro famiglie, le loro madri, le loro spose, i loro figli. Faccio appello alle milizie anche perché forniscano assistenza medica a quelli che sono stati feriti».

«Quello di Kiev è un Governo legittimo, sovrano e sostenuto dalla popolazione».

Sì, come no. Giusto il 28 agosto una grossa, tesissima manifestazione di piazza a Kiev s’è adunata davanti al ministero della Difesa reclamando a gran voce le dimissioni del presidente Poroshenko e del Ministro della Difesa per la disastrosa piega che sta prendendo il conflitto armato. Fra i manifestanti c’erano «i destri», ma c’erano anche madri e mogli dei soldati. Hanno bloccato Vozdukhoflotsky Boulevard, una delle importanti arterie della città, e la più centrale, Khreshchatyk. La giunta ha ordinato tre mobilitazioni (richiamati anche i sessantenni), incontrando un’opposizione popolare sempre più dura, e adesso vuole reintrodurre la leva obbligatoria appena abolita.



La miseria della gente si aggrava (la valuta non fa che perdere potere d’acquisto), il crack è imminente e l’economia è devastata non solo nell’Est ma nel resto del Paese; le unità militari in ritirata sono rabbiose, sull’orlo dell’ammutinamento. La situazione è grave e pare prossima alla destabilizzazione della giunta. Lo ha ammesso uno dei membri più duri della giunta, il parlamentare radicale Oleg Lyachko, in un suo post dove si sente il panico: «La situazione in Est Ucraina è complicatissima; il presidente Poroshenko si culla nelle illusioni. Diverse unità sono state accerchiate nelle regioni del Donetsk e di Lugansk, e non possono forzare il blocco se non vengono prese misure. (...) Non è stato fornito nessun supporto aereo né ai difensori di Mariupol né ai volontari accerchiati a Ilovaisk. L’esercito non ha abbastanza armi pesanti, artiglierie, aviazioni, comunicazioni e trasporto. L’economia deve essere ricostituita per le necessità di guerra».

«Il russi hanno abbattuto il volo Malaysia». Incredibile, lo ha ripetuto senza vergogna l’Ambasciatrice USA all’ONU Samantha Power (vedova del neocon Cass Sustein, giurista e j). Già: come mai non si parla più delle cause di questo abbattimento? Come mai una tal coltre di plumbeo silenzio?

«Quattromila soldati russi combattono coi ribelli». Bruttissimo, deplorevole. A patto di dimenticare – come i nostri media fanno volentieri – che il 24 o 28 luglio scorso (la data non è certa), le milizie del Donbass in combattimento hanno ferito un Generale americano, Key Randy Allen, che stava comandando una operazione «punitiva» (è il tipo di azioni che conducono le milizie neonaziste del Pravi Sektor) e ucciso tre ufficiali americani, ufficiosamente «addestratori» delle forze speciali ucraine. Il Generale era arrivato con 180 elementi della US Army, Rangers e specialisti per l’aviazione da una settimana. Non erano i soliti contractors privati, ma impiegati dello Stato federale chiamato Stati Uniti d’America.

Interessante finale: il Presidente Obama «è stato molto attento a prendere le distanze dalle ultime accuse ucraina che parlano di invasione, dicendo che “non c’è veramente un salto di qualità” nella linea di Mosca contro l’Ucraina». Ha anche generosamente escluso che gli Stati Uniti scenderanno in guerra contro la Russia. Dopotutto, le più gravi sanzioni che gli europei commineranno a Mosca (a sé stessi), bastano allo scopo.

Mission accomplished, e partenza per le usuali ore sul campo di golf.



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