>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
San Giacomo della Marca
Stampa
  Text size
«L’usura è sangue succhiato ai poveri»

Monteprandone, un ciuffo di case a pochissimi chilometri dall’Adriatico, appollaiate su un colle nell’immediato entroterra di San Benedetto del Tronto, divide la piccola valle del torrente Ragnola da quella piena di verde del fiume Tronto.

La cittadina, secondo la leggenda fu fondata, nel nono secolo, da un cavaliere franco al seguito di Carlo Magno, tal Brandone o Prandone, da cui il nome del paese.

E, proprio in questa lingua di territorio, che il primo settembre 1393 nacque da Antonio Gangali (1) e da Antonia Rossi, che avevano già diciassette figli, Domenico, che fu accolto con gioia ed esultanza nonostante la famiglia fosse povera e sopravvivesse appena. Più tardi, al momento della sua entrata nell’Ordine Francescano, Domenico cambiò, come d’uso, il suo nome in quello di Giacomo e, siccome aveva visto i natali nella Marca Anconetana di allora, aggiunse al nuovo nome quello di «della Marca» appunto per ricordare le sue origini e rinunciare addirittura al cognome di nascita.

Era ancora un bambino quando gli fu assegnato il compito di pascolare il gregge di pecore e di maiali in quella lingua di terra compresa tra il torrente Ragnola ed il fiume Tronto. La sorte lo privò molto presto del padre e fu affidato ad uno zio prete di Offida, che gli insegnò a leggere ed a scrivere ed in seguito, aveva tredici anni,  lo mandò a scuola ad Ascoli dove frequentò un maestro per apprendere quella che allora era la cultura di base composta da grammatica, retorica, dialettica, geometria, aritmetica, musica ed astronomia.

Il ragazzo era fornito di una vivace intelligenza ed era anche molto determinato nello studiare, tanto da manifestare il desiderio di poter continuare gli studi. Nel 1406 si recò a Perugia per seguire, presso quello Studium Universitatis, i corsi di Diritto: essendo povero e non potendosi mantenere agli studi, fu aggregato ad una confraternita che lo ospitava presso quel monastero dei Francescani di Monteripido, che più volte ho già citato parlando di San Giovanni da Capestrano e di San Bernardino da Siena. Ma grazie alle sue doti fu preso in casa da Francesco Ubaldo degli Ubaldi, docente universitario che gli affidò l’incarico di precettore ed educatore dei suoi figli e di quelli del fratello, in tutto una decina di ragazzini tra maschi e femmine.

Proprio nello stesso periodo e nella stessa facoltà incontrò San Giovanni da Capestrano, con il quale condivise non solo gli studi, ma anche una amicizia che sarebbe stata duratura e lunga.

Insieme a San Bernardino da Siena formarono un trittico di Santi predicatori veramente eccezionale e molto affiatato. Come anche «Gian Todesco», soprannome di San Giovanni da Capestrano, Domenico era molto portato per gli studi giuridici ed eccelleva anche per un rigore morale che sicuramente lo proiettava nel mondo dei giureconsulti verso una brillante carriera.

Nel 1412 conseguì la laurea in Diritto Civile. Era talmente stimato da Ubaldo degli Ubaldi che quando questi fu chiamato a Firenze a ricoprire la carica di collaterale del Podestà, nel primo semestre del 1416, lo portò con sé come collaboratore personale. Lavorò anche come pubblico notaio nella segreteria del Comune fiorentino e poi anche come giudice dei danni dati a Bibbiena. Le esperienze giuridiche gli saranno di ausilio e molto utili in tanti interventi sociali che dovrà affrontare nella sua vita successiva.

Ma il mondo allora come oggi, era ed è dominato da una immoralità e da una disonestà tali da creare, a chi ancora sente in sé il forte richiamo della morale, degli squilibri e dei forti scompensi. Anche Domenico visse questo travaglio interiore.

Qui è interessante notare le analogie tra San Giacomo della Marca ed il suo amico e confratello San Giovanni da Capestrano: entrambi passarono, in maniere differenti, per le stesse esperienze svolgendo la loro professione di giuristi, entrambi, passando per la «magica», o meglio Santa piana di Assisi, si sentirono chiamati dalla spiritualità di San Francesco. A San Giovanni da Capestrano San Francesco apparve in sogno, San Giacomo si sentì attratto dal magnetismo spirituale della Porziuncola. Poco prima, aveva pensato di ritirarsi nella Certosa di Firenze, ma il Priore, molto prudentemente, lo aveva consigliato di prendersi ancora un po’ di tempo per riflettere: evidentemente non era quella la strada che doveva imboccare. Era il 25 luglio 1416, quando bussò alla porta del Sacro Convento dei

Francescani di Santa Maria degli Angeli. Otto giorni dopo, il primo di agosto, vestì l’abito francescano che San Bernardino da Siena gli inviò dalla Verna. Dopo un anno di noviziato passato all’Eremo delle Carceri, il posto dove San Francesco si ritirava per meditare e pregare, fu inviato a Fiesole, per gli studi teologici. Durante la Quaresima del 1420 fu ordinato sacerdote ed il 13 giugno tenne il suo primo sermone in onore di Sant’Antonio da Padova: fu talmente incisivo e la sua predica talmente coinvolgente che i superiori lo indirizzarono subito verso questo impegnativo e difficile compito. E, come maestro di oratoria, frate Giacomo ebbe proprio San Bernardino da Siena dal quale, oltre il parlare «chiarozzo chiarozzo» apprese anche la devozione al Nome di Gesù a cui rimase sempre molto attaccato e che venerava in maniera particolarissima. Dal vescovo di Ancora Astrogio degli Agnesi, a quel tempo Commissario e tesoriere di Martino V per la Marca Anconetana, gli arrivò il primo elogio fatto comunicando ai vescovi la sua nomina papale a predicatore contro gli eretici locali con possibilità di assolvere i pentiti. Il riconoscimento diventerà «universale» man mano che frate Giacomo si affermerà sempre di più sulla scena sociale.

Il cardinale Enea Silvio Piccolomini, futuro Pio II, disse di lui «Giacomo della Marca… famoso per la cultura letteraria e per la santità di vita
».

Si autoimpose, infatti, severissime serie di penitenze, faceva sette quaresime l’anno, dormiva soltanto tre ore per notte ed era tormentato da continue tentazioni, sebbene castissimo, indossava un abito logoro, osservava il digiuno in maniera ferrea: addirittura verso la fine della sua vita, il Papa Sisto IV gli proibì di digiunare in quanto la sua salute era «di interesse pubblico».

Ancora una volta vediamo che la massima carica del Cattolicesimo, il Rappresentante di Dio in terra e Vicario di Cristo, partecipava direttamente e con una percezione della situazione molto precisa, alla vita ed al bene della Chiesa stessa, oltre che a preoccuparsi in maniera fattiva della cura delle anime: sinceramente, davanti a certe prese di posizione discutibili e a certi discorsi o appelli inani rivolti, oggi, al «Consesso Internazionale», queste figure di Papi Pastor Pastorum ci mancano tanto e forse fanno molto meditare sulla crisi che sta attraversando la Chiesa di Dio, anche per la mancanza assoluta di quell’Auctoritas morale che è necessaria per esercitare il Magistero.

Nel primo decennio di predicazioni frate Giacomo, parlò ad Ascoli, Venezia, Fano, Aversa, Cascia dove, durante la Quaresima, fu ascoltato da Santa Rita, la quale fu infiammata dai suoi sermoni, Macerata, Fabriano, Ancona, Pesaro e Rimini dove era vivissimo il ricordo delle prediche di Sant’Antonio da Padova. Parlava a lungo della Passione di Cristo e riusciva a commuovere i suoi ascoltatori cui diceva di perdonare qualsiasi offesa e che invitava a perdonare i propri nemici proprio per amore del Crocifisso.

Insieme a San Giovanni da Capestrano intraprese un lungo giro di prediche che lo portò in Europa dove affiancò, nella predicazione, il santo abruzzese: Germania, Austria, Svezia, Danimarca, Boemia, Polonia, Ungheria.

Nel luglio del 1425, ad Assisi, incontra il suo maestro San Bernardino da Siena; lui stesso così ricorda questo momento nel suo discorso commemorativo del Santo senese tenuto a L’Aquila per la sua morte:

«Ricordo quando tu ed il collega fra’ Vincenzo ed io andammo nella mezzanotte dal Sacro Convento di Assisi all’acquisto della santa indulgenza di Santa Maria degli Angeli in altissimo silenzio (2)… Ugualmente ricordo quando in San Damiano, alla presenza di molti frati, a mensa mi ponesti alla tua destra… Ugualmente ricordo quando (scendevamo) in processione a Santa Maria degli Angeli e mi hai voluto come tuo compagno di fila nel seggio dei dignitari…
».

L’amicizia e la stima reciproche tra i due Santi durò tutta la vita con scambio di reciproche gentilezze come quando, impegnati nella predicazione, San Bernardino a Massa Marittima e San Giacomo a Siena, San Giacomo ricevette dei «donativi» da San Bernardino che ricambiò con l’invio di alcune tinche del lago Trasimeno, evidentemente reputate una vera delizia.

San Giacomo sempre nel discorso commemorativo della morte del Santo senese così scrive:

«Ricordo quando alla Capriola, volevi che mangiassi sempre con te nella tua stanzuccia, o quando tu venivi nella mia stanzuccia e (scherzando) mi portavi via le mie pianelle ed io ti ostacolavo e poi mangiavamo insieme» (3).

L’impegno contro le eresie

Particolarmente mirate erano le sue prese di posizione contro le idee estremistiche assunte dai cosiddetti «fraticelli dell’opinione»: costoro erano dei frati divenuti scismatici, apostati dell’ordine francescano, che pretendevano di osservare alla lettera la regola di San Francesco.

Le principali tesi che essi sostenevano erano: vi sono due chiese, una carnale e ricca che è la chiesa romana, l’altra spirituale e povera che è quella dei fraticelli; i ministri della chiesa carnale hanno perso ogni autorità, che risiede nella chiesa spirituale; ogni giuramento è illecito; i sacerdoti in stato di peccato perdono ogni giurisdizione e non possono amministrare i sacramenti; il Vangelo di Cristo ha avuto compimento soltanto con i fraticelli, mentre fino ad allora era stato oscurato ed estinto. A questi errori si aggiungevano altri capi di falsa dottrina sul sacramento del matrimonio, sulla fine del mondo e l’avvento dell’Anticristo, le quali, senza dubbio, erano influenzati delle teorie espresse in merito da Gioacchino da Fiore. Il movimento fu soggetto a scomunica e divenne una setta.

Sebbene nominato Inquisitore contro di loro, insieme a San Giovanni da Capestrano, nel 1426, da Papa San Martino V, il suo scopo era sempre ed unicamente quello della conversione e della riappacificazione di chi era nell’errore. Le sue prediche e le sue nettissime prese di posizione lo esposero a gravi rischi: lui stesso così si esprime:

«Voi fate cose detestabili per dimostrare non dico carità, ma «canità», non pietà ma empietà diabolica, perché cercate di ammazzare chi predica contro di voi, come quando avete inviato 500 ducati per far uccidere Frate Giovanni da Capestrano e 200 ducati contro di me a Maiolati, come poi l’attentatore ha confessato a frate Giovanni da Ascoli, mio confessore. Ed avete dato 150 monete d’oro ad un tale di Esanatoglia perché mi uccidesse mentre predicavo a Rieti, ma costui pentitosi, venne a Fabriano dove fu assolto dalla scomunica dal cardinale Capranica, penitenziere maggiore, e da me frate Giacomo perdonato».

L’impegno della Chiesa contro le eresie era fortemente basato sulla riconciliazione ed il perdono.

Ricordo che in Provenza, contro i Catari, la Chiesa aveva in campo San Domenico e tutta una serie di penitenzieri e di norme per riaccogliere gli eretici nel suo seno: le stragi le compivano i Signori politici, come sempre, preoccupati della forte perturbativa e sovversione dell’ordine sociale e pubblico che certe eresie contenevano in sé.

A Maiolati i fraticelli avevano tentato di ucciderlo addirittura mettendo del veleno nel calice prima che celebrasse la Messa, ma Dio lo aveva preservato dalla morte. Dietro questi fatti l’iconografia del Santo lo ritrae sempre con il bastone, simbolo del suo continuo itinerare e con il calice in mano dal quale fugge un serpentello.

Nel 1432, San Giacomo viene mandato dall’Ordine a predicare sul litorale della Dalmazia: è a Ragusa, Cattaro, nell’isola di lesina, Zara e Trieste. Doveva restare in giro per l’Europa per ben nove anni.

In Europa centrale impattò le teorie eretiche di Jan Hus. Frate Giacomo si rese conto che c’era tutto un mondo da sostenere e da rifare e lui, che aveva lasciato le battaglie forensi per ritirarsi nella pace del chiostro, dovette ricominciare ad affrontare durissime battaglie per la difesa della cristianità.

Il riconoscimento più alto della sua opera fu quanto affermato dal vescovo di Bosnia, più tardi, che ebbe a dire:

«Bisogna dare atto che non appena i frati minori di fra’ Giacomo si insediano nelle località occupate dagli eretici, questi si dileguano come cera al sole».

San Giacomo della Marca
San Giacomo della Marca
Grazie alla sua opera si arrivò, dopo tragiche e sanguinose guerre, ad una ricomposizione della frattura ereticale con il Concilio di Basilea del 1431 in cui l’opera del Santo fu determinante.

In Dalmazia organizzò varie opere di carattere religioso e sociale e la sua predicazione in quelle terre fu accompagnata da eventi prodigiosi: a Ragusa guarì un povero sellaio paralizzato agli arti inferiori e coperto di piaghe facendogli invocare il nome di Gesù, a Sebenico restituì la salute ad un infermo, nell’isola di Lesina guarì un povero agonizzante che i parenti avevano portato in chiesa da lui: gli tracciò la croce ed il monogramma di Cristo e questi balzò dal lettuccio e tornò a casa camminando da solo. A Cattaro pose il monogramma di San Bernardino sopra un infermo affetto da paralisi che gli scuoteva tutte le membra.

Inviato in Bosnia dall’Ordine per cercare di ristabilire una concordia tra i francescani che erano, al loro interno, divisi sempre in maniera maggiore tra spirituali e conventuali, dovette affrontare anche una dura lotta per difendere quella terra dalle sempre più frequenti incursioni turche e per combattere l’eresia dei Bogomili. Essi predicavano una gnosi dualistica tra bene e male, rifiutavano il culto della Croce, predicavano una castità portata fino alla esasperazione: per impedire l’atto procreativo si eviravano. Erano molto vicini ai Catari.

La permanenza in Bosnia lo abbatte moltissimo e lo riduce in uno stato di vera prostrazione fisica, tanto che, rientrato in Italia per poter ottenere maggiori poteri di autorità dal Santo Padre, viene sollecitamente invitato dall’amico San Bernardino come San Giacomo stesso ricorda:

«… ricordo quando da Urbino mi mandasti ad avvertire che mangiassi anche un po’ di carne, altrimenti non avrei potuto perseverare nelle fatiche per il Vangelo…».

Proprio in Bosnia, dove era tornato con la nomina di commissario pontificio e di legato pontificio datagli dal Concilio di Basilea, fondò il Terzo Ordine francescano che fu poi confermato dallo stesso Pontefice. Fece sentire la sua forte influenza nelle cattedrali, nelle piazze come nelle modeste chiese di periferia per l’affermazione del nome cristiano. La lotta agli eretici dette buoni risultati ottenendo anche il plauso del Concilio riunito a Basilea.

La lotta contro l’usura

San Giacomo aveva ricevuto una grande impronta dallo studio della giurisprudenza e in quel campo, come abbiamo visto, eccelleva in maniera precipua. Era quindi attento a qualsiasi tipo di fenomeno che avesse una rilevanza sociale, da portatore di pace, da predicatore, oltre che da francescano, sentiva fortemente l’obbligo di dover svolgere un compito di carattere prettamente sociale ed orientato alla risoluzione ed alla normativizzazione dei vari problemi che dal vivere civile potessero nascere. La grande amicizia con San Bernardino e con San Giovanni da Capestrano lo focalizzarono su due principali temi: uno il lavorare per pacificare varie fazioni e varie realtà geografiche in guerra tra loro, l’altra poter risolvere i grossi problemi che affliggevano la società del suo tempo.

In questo campo la sua azione si concentrò su tre settori: la lotta all’avarizia, la lotta all’usura e la denuncia e condanna della pedofilia. L’avarizia, per il Santo, distoglieva l’uomo dal consesso sociale, lo faceva avulso dal medesimo, lo accattivava sempre di più verso un cupo egoismo che spingeva l’avaro a diventare un adoratore del denaro che pian piano lo rendeva suo servo fino alla completa schiavizzazione. Allora qualsiasi forma di umano sentire diventava solo un pallido ricordo soffocata dalla passione per i soldi. I risvolti sul sociale preoccupavano moltissimo il giureconsulto Giacomo, in quanto l’avaro al pari dell’usuraio, distoglieva ricchezza alle attività produttive e le faceva diventare sempre più difficili da svolgersi e l’economia reale, come la

chiamiamo oggi, che produceva «honesta et bona» ricchezza necessaria all’armonica vita dei consociati, degradava in un povertà ed una miseria che gridava vendetta al cospetto di Dio.

La sua azione di predicazione in questo senso era vieppiù aumentata dal suo passato trascorso negli studi di legge. La condanna che esprimeva era violenta e la sferza che adoperava non si limitava alle sole parole, ma metteva la sua capacità giuridica al servizio del popolo scrivendo statuti di città, creando confraternite di mutuo soccorso che potessero annullare i tragici effetti e dell’avarizia e dell’usura.

In questo campo senz’altro l’impronta del suo maestro e grande amico San Bernardino, furono determinati: ripeteva in ogni sermone che gli usurai erano «succhiatori del sangue di Cristo» e ciò per uno come lui che metteva il Sacro Nome sopra ogni altra venerazione era davvero il colmo.

Il tessuto connettivo dell’economia del suo tempo era formato da una gran parte di contadini e coltivatori delle terre e da piccoli ed espertissimi artigiani che fornivano, ad un tipo di economia molto localizzata, quanto era necessario: dal vestiario alle scarpe, fino agli attrezzi da lavoro, all’oreficeria, al commercio di ogni genere di cose.
La monetazione metallica preziosa, aurea ed argentea, rendeva il mezzo primario di scambio dei prodotti scarso ed il passaggio di mano delle merci moto lento e difficile.

Si era quindi formata, in tutta Italia, una vasta rete di usurai che, possedendo somme abbastanza consistenti di denaro, prestavano il medesimo a chi purtroppo ne aveva urgenza e bisogno. I tassi erano elevatissimi e quasi sempre, come anche oggi, la restituzione di capitale e interessi era molto difficile.

Il Santo non poteva tollerare che una piccolissima élite di grassatori potessero strozzare l’economia, togliendo la possibilità del giusto guadagno ad onesti lavoratori ed in più senza svolgere alcun tipo di onesta attività.
Di supporto aveva la Chiesa cattolica, che considerava gravissimo peccato contro Dio e contro il prossimo applicare degli interessi sulle somme prestate.

Le sue prediche contenevano sempre delle nette prese di posizione di condanna contro questa piaga: non mancava mai di stigmatizzare gli effetti deleteri che produceva, non si stancava mai di denunciare e di affrontare, a costo di grandi rischi personali, queste caste di «succhiatori del sangue di Cristo», più di una volta scampò ad attentati che gli usurai esasperati ordivano contro di lui armando la mano di sicari.

Da pratico e valente giurista capiva che non potevano bastare le prediche, ma ci voleva assolutamente un tipo di mezzo che schiacciasse la testa a questa idra malefica.
Decise di battere il nemico con le stesse sue armi, ma aggiungendo la solidarietà e la pietà cristiana verso i fratelli.

Insieme ad altri confratelli creò la struttura dei Monti di Pietà: dando a questo strumento la forza dell’aiuto economico a tempo, la leva della carità cristiana e, con grande intuizione, due potenti strumenti, uno la regolamentazione giuridica attraverso gli Statuti e l’altra la localizzazione del mezzo che rendeva il prestito sicuro del ritorno a scadenza. In una comunità locale ristretta le persone si conoscevano bene e quindi prestare somme di denaro era facile ed efficace.

Fondò una ventina di Monti e dette loro sempre i relativi rigidi ed equi Statuti. Ma nelle zone prevalentemente agricole il mezzo si adattò all’ambiente assumendo la forma di Monti Frumentari: il prestato in questo caso era la materia prima agricola, soprattutto frumento e cereali vari, che permetteva un accesso, a prezzi equi e solidali, alla stessa, ma che aveva anche il grandissimo pregio di servire da compensazione contro le eventuali frequenti carestie rendendo il prezzo dei prodotti calmierati e togliendo all’usura una delle colonne su cui fondava e perpetrava la sua esistenza: la speculazione sui prodotti.

Chi aveva bisogno, poteva impegnare le proprie cose, non più all’esoso tasso preteso dai privati usurai, ma ad un interesse minimo.

Sulla richiesta dell’interesse si scatenò una grande diatriba: molti sostenevano l’illegittimità di questo tipo di mezzo in quanto il Vangelo proclamava: «Prestate non sperando nulla di ritorno». I detrattori, insomma, accusavano di usura proprio coloro che la volevano combattere ed estirpare.

Altri invece erano del parere che fosse legittimo un piccolo interesse da richiedere a chi chiedeva il prestito. San Giacomo, San Bernardino e San Giovanni da Capestrano si trovarono d’accordo nel dimostrare che l’interesse minimo del 5% era giusto:

«E nessuno ardisca dire che questo è usura, perché io, frate Giacomo e tanti valenti uomini che hanno sottilmente vagliato questa cosa, non ce l’avremmo posta».

Giustificava poi tutto questo con la giurisprudenza ed anche con la Bibbia e la nuova istituzione prevedeva anche la necessità di pagare l’affitto della sede e soprattutto il dovere di corrispondere lo stipendio agli addetti e sosteneva ciò con questa originale argomentazione:

«Nessuno, in tale occupazione, è tenuto a servire a proprie spese e a perdere il tempo».

Cosi scrive Silvano Bracci: «Frase lapidaria da moderno sindacalista, che dimostra il rispetto per la persona e manifesta la sua concretezza, mentre altri predicatori contavano sulla generosa carità cristiana sia pubblica sia da chi avrebbe svolto qualche mansione nell’esercizio del Monte» (4).

I Monti avevano bisogno di capitali, che venivano versati da chi ne voleva far parte, rendevano un grande servigio alla collettività tutta, non rubando niente, ma fornendo la propria opera per il buon funzionamento dell’istituzione. La sapienza giuridica e la grande professionalità maturata negli anni della giovinezza a Perugia e a Firenze furono di grandissimo aiuto a San Giacomo.

In pochissimi, anni con l’espandersi dei Monti, la piaga dell’usura fu quasi totalmente debellata, permettendo una notevole crescita economica e facendo cambiare destinazione finale al denaro che tornò sufficiente, pur nella sua giusta rarità, per sostenere le attività economiche. Un suo allievo e confratello, e anche lui Santo, Bernardino da Feltre divenne il maggior propagatore di questa idea tutta francescana e cattolica.

Grande l’impegno profuso anche contro la pedofilia, che spesso approfittava delle miserande condizioni economiche in cui versavano le famiglie. Chi aveva disponibilità acquistava il bambino o la bambina direttamente dai genitori: i piccoli venivano impiegati nei lavori domestici o in quelli dei campi e delle botteghe artigiane, mantenuti e non pagati. In più si abusava anche di loro: il Santo andava personalmente da questi loschi figuri e spesso riusciva, con il suo carisma, a convertirli ed a liberare dalla condizione di schiavitù questi miserevoli fanciulli; anche nelle sue prediche inveiva in maniera veemente contro questa piaga e spesso addirittura chiamava per nome i soggetti davanti a tutta la comunità implorando il perdono da parte dei peccatori e della comunità stessa verso di loro.

Nell’ambito di questa concezione giuridicamente organica della società rientrano anche i numerosissimi interventi svolti per pacificare le fazioni che San Giacomo svolse non solo in Italia, ma anche durante i suoi viaggi all’estero.

Riuscì ad esempio a pacificare contrasti tra Ungheria e Boemia sorti per motivi dinastici, riuscì a riconciliare gli Ussiti con la chiesa di Roma. Fu tenuto in grandissima considerazione da Francesco Sforza, il quale lo volle suo consigliere; eppure indossava un saio strappato e rattoppato, mangiava quasi soltanto un pignattino di fave cotte e si appoggiava ad un bastone nel suo andare. Il Signore di Milano, essendo morto l’arcivescovo, appoggiato dal popolo, propose a frate Giacomo di assumere lui la cattedra che era stata di Sant’Ambrogio.

San Giacomo, ricordando anche l’esempio di San Bernardino che aveva rifiutato la cattedra vescovile per ben tre volte, declinò l’invito dicendo che non poteva limitare, in quanto francescano, la sua opera di evangelizzazione ad una sola diocesi, ma doveva svolgere il suo compito dove, nel mondo, ce ne fosse stato bisogno.

Clamorosa, per chiudere, fu la riconciliazione che riuscì ad ottenere tra Ascoli e Fermo eterne rivali e giurate nemiche da sempre. Era il 1446: propose alle due città di confederarsi e diventare «un popolo solo, un unico territorio con leggi e diritti uguali per tutti. Propose anche, come nel suo stile, interventi nel sociale: impose il calmiere sui cereali, sulla frutta ed altri generi di largo consumo, predispose interventi in favori delle vedove, degli orfani dei diseredati con appositi statuti che furono accettati con entusiasmo. Il giorno di Pentecoste del 1446 portò ben 400 ascolani a Fermo e davanti ad un uditorio in delirio gridò a squarciagola ‘Pace, Pace, Pace’. Ad Ascoli fu quasi portato in trionfo ed accolto con rami di ulivo e di palma sul ponte di Porta Solestà: mentre entrava nella città continuamente ripeteva: ‘Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam’».

Tra il 30 aprile ed il 2 maggio del 1444 avvenne un fatto davvero eccezionale: San Giacomo e San Bernardino da Siena passarono tre giorni di ritiro spirituale, di riposo e svago sull’Isola Maggiore del Lago Trasimeno, luogo dove anche San Francesco si recava per meditare; furono giorni passati in grande serenità ed amicizia in cui i due Santi trovarono anche il tempo per pescare. Alla fine del brevissimo periodo San Giacomo rivolto a santo senese disse:

«Padre, io vado a predicare a Todi. E voi dove andrete?». «Io me ne andrò nel Regno», rispose il popolarissimo predicatore: San Giacomo pensò che l’amico volesse andare nel Regno di Napoli.

Mentre predicava, su comando del Papa, a Todi frate Giacomo ebbe un momento di esitazione e tacque e così scrive fra Venazio:

«Senza parlare né altro per spacio de tre paternostri et in quillo punto morì San Bernardino… et seguitando a predichare, la prima parola che disse fu: ‘mo è cascata una grande colonna’».

Il Papa Callisto III nel 1457 lo inviò di nuovo in Ungheria per predicare la Crociata contro i Turchi.

Non mancò di recarsi ad Ilok per vistare la tomba di San Giovanni da Capestrano dove piangente si raccolse in preghiera. Raccolse un volume di testimonianze di fatti prodigiosi e grazie ricevute in nome di San Giovanni ed inviò il tomo al Papa il quale gli ingiunse di aprire un processo per la canonizzazione del frate francescano.

Sisto IV, a cui aveva predetto prima l’elezione a Ministro Generale dell’Ordine dei Francescani e poi anche la sua elezione al Soglio Pontificio, lo inviò a Napoli su richiesta del Re Ferrante d’Aragona. Trascorse a Napoli gli ultimi tre anni della sua vita: ammalatosi gravemente temeva soltanto una cosa: che il dolore fisico lo distraesse dalla preghiera, nelle ultime ore della sua vita. Ai confratelli chiedeva insistentemente perdono per il cattivo esempio che aveva dato. Chiese di poter rientrare nelle Marche, ma la morte lo colse ancora a Napoli il 28 novembre 1476, le sue ultime parole furono:

«Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù».

Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria la Nova.

Nel 2001 il corpo è stato traslato nel Santuario «Santa Maria delle Grazie», da lui fondato nel 1449, a Monteprandone.


L’urna con il corpo di San Giacomo della Marca


È stato beatificato il 12 agosto 1624 da Papa Urbano VII. Papa Benedetto XII lo ha proclamato Santo il 10 dicembre 1726. È tra i patroni della città di Napoli, di Monteprandone e copatrono di Mantova.

Luciano Garofoli




 1) Sul cognome ci sono delle differenti scritture: padre Umberto Picciafuoco O.F.M. propende per Gangali, altri lo nominano come Gangale. Ho seguito il primo, autore di una corposa e veramente precisa biografia.
2) San Giacomo fa qui riferimento al famoso Perdono di Assisi istituito da San Francesco stesso, che si lucra il 2 agosto presso la Porziuncola di Santa Maria degli Angeli. San Giacomo e San Bernardino restarono ad Assisi fino alla metà di agosto di quell’anno.
3) Questi momenti di vita quotidiana sono particolarmente toccanti:il loro vivere il francescanesimo è totale e ci dimostrano la grande umanità di questi due giganti della fede, che si fanno gli scherzi e cercano di sfruttare i rari momenti in cui possono trascorrere, da amici, le poche ore che riescono a vivere insieme lontano dalla loro missione.
4) Silvano Bracci, San Giacomo della Marca divino predicatore, Editrice Velar, Gorle, 2010.


L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


[1] San Giacomo fa qui riferimento al famoso Perdono di Assisi istituito da San Francesco stesso, che si lucra il 2 agosto presso la Porziuncola di Santa Maria degli Angeli. San Giacomo e San Bernardino restarono ad Assisi fino alla metà di agosto di quell’anno.

[1] Questi momenti di vita quotidiana sono particolarmente toccanti:il loro vivere il francescanesimo è totale e ci dimostrano la grande umanità di questi due giganti della fede, che si fanno gli scherzi e cercano di sfruttare i rari momenti in cui possono trascorrere, da amici, le poche ore che riescono a vivere insieme lontano dalla loro missione.
 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità