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Caporetto 2.0. Cosa ci resta da fare.
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Adesso bisogna davvero pregare. Pregare per questo popolo incapace di autogoverno, definitivamente consegnato al fallimento economico e morale. Che si è voluto, fino all’ultima conseguenza, il male che gli verrà addosso. Senza immaginarlo, perché è incapace di prevedere al di là di un giorno o due, come sono i selvaggi ai Tropici.

S’è spaccato Ottobre Rosso. Dobbiamo confessarlo: alla sua solidità, ci credevamo persino noi. Vecchia fattura ma robusta, sovietica. Lunga esperienza alla navigazione subacquea offensiva in acque ostili. Armamento antiquato, ma assolutamente temibile nel disarmo generale. Ora, tutte le armi che credevano di avere si son rivelate da tempo disinnescate, o di cartapesta. La proverbiale «disciplina di partito»: finita. La «base» – un tempo famosa per l’obbedienza pronta cieca assoluta – s’è messa strillare su tutti i facebook, i tweet, sms e blog che no, Marini no! Rodotà! E la classe dirigente? Una volta era lei che «dettava la linea»; ora se l’è fatta dettare dai messaggini sui cellulari. Spaventata, impallidiva, si spaccava davanti ai display dell’iPhone.

E la mitica «egemonia»? Il Partito che ha esercitato per decenni – sprezzante e sicuro di sé – l’egemonia «culturale», sia sopra la «galassia della sinistra» sia sopra «la borghesia» , ecco che subisce l’egemonia di un Comico di piazza e di blog appena arrivato sulla scena-spettacolo. Quella dirigenza che teneva saldamente in pugno «le masse», guarda con timore e rispetto i nomi usciti da una consultazione su blog, di cui nessuno ha potuto sapere quanti hanno votato, e se davvero tale consultazione è esistita e non sia un’invenzione di Grillo e Casaleggio.

Vi rendete conto? Grillo e Casaleggio contro Ottobre Rosso, e lo silurano. Si parla di cinquantamila votanti, e ammesso che sia vero, Rodotà pare fosse il terzo scelto di una serqua demenziale: diciamo 5 mila voti? Ad essere buoni. Ebbene: il Secretary General è stato scelto come comandante di Ottobre Rosso da 3 milioni di voti alle famose primarie. Aveva dalla sua la maggior forza «democratica» immaginabile, nel partito che si dice «democratico», egemone dell’area che si dichiara «democratica». Eppure quegli stessi tre milioni che l’avevano scelto come usato sicuro, adesso hanno demolito la sua autorità (e il loro voto) a colpi di tweet e messaggini.

Sicché al primo voto presidenziale , la monolitica potenza «democratica» del segretario gli si è squagliata le mani, e il partito si disfa in fazioni: il più grande «gruppo misto» della storia parlamentare, ha scritto qualche cronista sarcastico. La rotta del Comandante era: presidente condiviso con Berlusconi, poi (senza dirlo) governo di larghe intese. Però, appena il siluro interno arriva a segno (o scoppia nella camera di lancio: l’Ottobre Rosso si rovina tutto da sé), ecco che il Segretario comunica nell’interfono: contrordine, votare Prodi.

Ora, votare Marini era una strategia. Votare Prodi era un’altra strategia: quella esattamente contraria. Una con Berlusca e una contro di lui. Può lo stesso comandante guidare l’una e l’altra? Per di più, appena Grillo promette: «votate Rodotà con noi e si aprono praterie», ecco che miriadi di «militanti» cercano di strappargli il timone, di storcergli la rotta, per andare là dove dice il Gran Belinone.

Il vecchio, potente e maestoso Ottobre Rosso era stato fabbricato prima dei tweet, dei blog e delle mail. Ciascun tweet o sms conta nulla, essendo lanciato da nullità sub-personali senza progetto né visione, da mere impulsività, da riflessi di «pance»; ma miriadi di tweet viola e arcobaleno, verdi e rosa, che strillano, pigolano, urlano, piangono e minacciano hanno piegato le tempre degli ufficiali di bordo, che non erano poi tanto d’acciaio.

Sotto la gragnuola delle nuove armi dell’idiozia virtuale in tempo reale, anche lo scafo di Ottobre Rosso, tutto in titanio, ha ceduto. A bordo, sono scoppiati ammutinamenti; dei sabotatori hanno operato di nascosto. E tutto lo strillio della «base» virtuale ha deviato la rotta in un unico senso, quello che il compagno Lenin aveva già giudicato demente e contro cui Gramsci aveva messo in guardia, avvertendo che era la posizione del perdente a sinistra: il massimalismo.

«Il compagno Lenin ci ha insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, (...) noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile, sia pure incerto, oscillante e provvisorio», aveva sancito Gramsci. Lenin ci aveva scritto un saggio: «Estremismo, malattia infantile del comunismo». Adesso, l’estremismo diventa la malattia terminale.

Il sogno di un futuro insieme al Movimento 5 Stelle ha preso la mano, e i veri comunisti – che non sognano –, sanno fin troppo dove questo porterà: al frazionismo suicida della «sinistra arcobaleno», del «popolo viola», dei girotondi e delle galassie finocchie, all’auto-confinamento in una fazione (o più fazioni) minoritarie per vocazione, che non saranno mai – mai più – «maggioranza nel Paese».

Insomma: Ottobre Rosso giace sul fondo spezzato in diversi tronconi, sono avvenute diverse esplosioni ed altre avverranno.

È tragicamente divertente come Rosy Bindi, D’Alema e la Finocchiaro, che tanto si sono battuti contro Renzi che li voleva rottamare, si sono rottamati da sé. Gente che s’è fatta rieleggere per la decima volta, ora giace sul fondo come rottame, o si auto-rottama dimettendosi. Non poteva farlo prima?

E i rigurgiti massimalisti, utopici e di pancia della «base» che non è più «massa», che non sta in fabbrica e davanti al tornio ma davanti al tablet, hanno ottenuto questo risultato: far rivincere, alle prossime elezioni, l’odiato Cavaliere. Applausi.

S’intende, alle prossime elezioni il Pdl vincerà come ha «vinto» nella ultime il PD: per minore rapidità nella discesa, per abbandono dell’avversario. Oggi c’è chi tributa al Cavaliere l’aggettivo di «statista», perché la sua formazione – in confronto – è sembrata d’acciaio, e lui un leader che «detta la linea». Il partito liquido s’è mostrato Ottobre Rosso. Ma è ovvio che i suoi nani e ballerine, da Berlusca in persona scelti e messi in lista, abbiano obbedito agli ordini ricevuti; sono da lui miracolati, sono yes men scelti apposta in quanto yes men.

Però attenzione; è bastato che il Cavaliere si assentasse, pochi mesi fa, perché il partito si liquefacesse e sfaldasse in gruppuscoli del 2%, privo di prospettive, programma e pieno di gentucola sbiadita.

Ora, è proprio questo il motivo per cui dobbiamo pregare, e pregare sul serio per questo Paese che non è nazione, né società.

Le due entità – impossibile chiamarle partiti, formazioni o cose del genere – che sono salite al Quirinale ad implorare Napolitano di restare in carica , sono due amebe senza testa né consistenza. Anzi, due liquami, due diarree. Il fatto stesso che non sappiano far altro che riproporre il solito presidente, dopo tutto il casino che hanno fatto, fotografa il loro miscuglio di infantilismo e di assenza di idee, di irresponsabilità e cortezza di vedute, pressapochismo e vacuità, e di cinico nichilismo. A loro, dell’Italia incagliata, smarrita e collassante, nulla importa.

E sono loro che sosterranno il prossimo governo «del presidente», esattamente come hanno sostenuto il governo Monti mentre questo devastava l’economia con le tasse, la persecuzione fiscale, aggravando la stretta creditizia, trasformando la recessione in Grande Depressione, e intanto regalando 4 miliardi a Montepaschi. Poi Berlusconi ha deciso di far cadere Monti. Adesso, è di nuovo lì a sostenere il prossimo, Amato, o chiunque altro del genere, con gli «otto saggi» nominati ministri da Napolitano, che li ha scelti già da prima. Un governo che farà le stesse cose, perché il programma non cambia: tenerci nell’euro, pagare i debiti con le austerità (magari ottenendo dall’eurocrazia qualche contentino su nuovi debiti da fare «per la crescita») , niente default a nessun costo. Insomma, ci dirigono verso la Grecia, dove si apre il primo campo di concentramento per debitori verso lo stato (1).

Ma l’Italia ha bisogno di ben altro. Ha bisogno di una direzione politica audace e intelligente, all’altezza del caso disperato che è.

Nei primi 3 mesi del 2013 sono scomparse altre 30 mila aziende, mille persone al giorno hanno perso il lavoro, i consumi sono a livello 1960, manca liquidità a tutti i produttori, le banche non vogliono estendere il credito, i debiti degli enti pubblici verso le imprese continuano a non essere pagati. E il debito pubblico aumenta nonostante, o a causa, delle strette di cinghia disumane.

E il depauperamento culturale del Paese si aggrava. Nel 2012 sono emigrati oltre 35 mila giovani «troppo qualificati» per trovare lavoro da noi (il 30% in più che l’anno prima), la spesa pubblica per cultura e istruzione è inferiore a quella greca.

«Le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, il deficit logistico-infrastrutturale, l’inefficienza della Pubblica amministrazione, la mancanza di credito e i costi dell’energia», secondo uno studio della Cgia di Mestre, hanno spinto 27 mila aziende a delocalizzare negli ultimi dieci anni (dal 2000: grazie, euro): sottraendo al comparto produttivo italiano 108 miliardi di fatturato e oltre 30 miliardi di salari ai consumi interni. Oltre un milione e mezzo di posti di lavoro sono stati creati all’estero (2); se fossero stati creati in Italia, ci avrebbero fatto risparmiare altri 14 miliardi di ammortizzatori sociali. Invece, gli ammortizzatori sociali stanno per esaurirsi. Sempre più disoccupati avranno sempre meno provvidenze.

Che cosa faranno i due liquami, partecipando con loro ministri al governo del presidente?

Nient’altro che quello che hanno sempre fatto. A questo Paese occorrerebbe una speranza dei rinascita, con cui accompagnare le durissime riforme necessarie: tagli alla sanità a copertura totale che garantisce tutto a tutti (e aspira 250 degli 800 miliardi di spesa pubblica); tagli agli stipendi e stipendiati pubblici, con snellimento assoluto della burocrazia; tagli al peso insostenibile delle pensioni. Ma queste due amebe non hanno la minima legittimità per affrontare misure così impopolari. Ancor meno sono capaci del coraggio politico, e visione politica, che richiede l’uscita dall’euro e il simultaneo default sovrano. Milioni di twitter s leverebbero a condannarli, a strillare, pigolare, minacciare, «facciamo questo», no facciamo quello, no dateci Rodotà, anzi la Gabanelli, anzi Gino Strada, non vi votiamo più... Sceglieranno la via più facile.

L’amico Eugenio Benetazzo prevede due misure: il prelievo forzoso sui 5 milioni di conti correnti sopra i 100 mila – alla cipriota – entro le prime settimane di governo, con la scusa di rifinanziare la cassa integrazione normale e speciale, effettivamente urgente. E poi la drastica riduzione dell’enorme peso delle pensioni , ormai insostenibile: sopra i mille euro, o i 1500, sarà prelevato un «contributo di solidarietà per i giovani disoccupati», che Benetazzo si augura sia calcolato in scaglioni di progressività, e accompagnato da un tetto di pensione massima per chi ne prende tante e lucrose, alla Giuliano Amato da 30 mila euro mensili, o l’alta dirigenza pubblica.

Niente di meno certo, come potete capire. Toglieranno le pensioni ai pensionati, perché loro non twittano; ed anche se scendono in piazza, sono innocui, non possono scioperare né mettere a ferro e fuoco le piazze; e neppure scenderanno in piazza, saranno troppo occupati a percorrere i mercati rionali alla ricerca di torsoli di verdure buttate. Perché coi pochi soldi, devono pagare l’IMU.

«La maggior parte di chi legge è destinata a perdere comunque gran parte del proprio denaro», conclude Benetazzo. Sono d’accordo.

Ovviamente, così questa non-dirigenza liquefatta non otterrà che un risultato: un’aggravata, ulteriore riduzione dei consumi interni, quindi il potenziamento di uno dei motori che ci trascinano nella Depressione e nella deflazione. Soprattutto, le pur necessarie decurtazioni della spesa pubblica parassitaria devono essere promosse in vista di una vera rinascita, di una riacquistata competitività, di prospettive concrete di speranza, insomma di una «visione». Le due amebe, e i rottami di quel che resta dei partiti, non ne sono minimamente capaci. Tutta la loro «sapienza» si riduce alla protezione delle loro clientele dalla tempesta che ci travolgerà. Più oltre non vanno.

E non si speri nel Movimento 5 Stelle. Non solo quello ha come programma la raccolta differenziata per ricavare metano dai rifiuti domestici, biciclette al posto delle auto, orticelli di guerra in attesa guerra mondiale con sterminio di cinque sesti del genere umano, dopodiché nascerà la Democrazia SMS. S’è visto come ha reagito Grillo.

Qualche tempo fa, il vostro cronista diceva che il movimento grillino occupava, nella tragica situazione italiana di oggi, lo stesso posto che il fascismo occupò negli anni ’20 davanti alla partitocrazia esaurita, invecchiata e nullista di allora… Ma occupa questo posto come un calco; non Mussolini, ma il suo stampo vuoto.

È incredibile quanto presto Grillo ha confermato questa analisi. Prima proclama la marcia su Roma, l’assalto all’aula sorda e grigia, chiama in piazza «milioni di persone»; poi innesta la retromarcia su Roma. Non verrà, fanno sapere quelli della Digos ai pochi manifestanti pronti all’assalto; tornate a casa, non c’è niente da vedere.

Il succo della questione lo dà Sabina Guzzanti, la comica rossa, scesa nella notte per unirsi agli assaltatori del parlamento. Lo fa, ovviamente, con un tweet:

SabinaGuzzanti (@SabinaGuzzanti)
20/04/13 20:55
Noi siamo in piazza #grillo s’è sfilato, le spara grosse e poi si caga sotto

Ma povera Guzzanti, ancora non hai capito. La marcia su Roma del 22 la fecero combattenti della grande guerra, sperimentati, avevano almeno qualche autoblindo, alcune mitragliatrici automontate, e i moschetti. Per questo il re, invece di ordinare ai Carabinieri di sparare, convocò «il cavalier Benito Mussolini» e gli diede il governo. Oggi, con quali armi volevate marciare su Roma? Con gli Smartphone e i Tablet collegati wi-fi; e con una legione della morte di comici televisivi in testa alle plebi. La «democrazia del web» ha i suoi limiti, al di fuori dal mondo virtuale. Grillo l’ha capito, ma tardi.

E il cavalier Grillo ha una paura barbina di esser chiamato a governare davvero. Come tutti i dirigenti di questa classe dirigente che non sa governare, che non sa dettare la linea, non sa farsi obbedire né credere – e figurarsi combattere. Questa, è stata anche la disfatta del Movimento 5 Stelle. Anche se loro ancora non lo sanno, e ci subisseranno di sms e messaggini e mail, pigolanti, urlanti strillanti pance virtuali.

Due mesi fa, quando il Movimento suddetto stravinse le elezioni, il vostro cronista – ricordate? – avvertì: «Abbiamo rifatto Caporetto!», rotto il fronte dell’euro, compiuto il primo atto della disfatta che ci attende tutti.

Una Caporetto è una Caporetto. Anche se, questa, avviene al rallentatore, non è una festa rivoluzionaria, ma una tragedia della viltà e della diserzione. L’autodistruzione di Ottobre Rosso non è che una fase della rotta; ora li voglio vedere, i superstiti, riemersi in piccola Barca (3). La «politica» che si fa proteggere da sé stessa implorando Napolitano di tornare al Quirinale, è un’altra. Il commissariamento permanente ci dà la prima monarchia repubblicana. Il saccheggio che ci attende tutti, creando quella comunanza nella miseria che non sappiamo darci nella volontà di destino, è la conseguenza della nostra disfatta. E non abbiamo ancora visto niente.

Bisogna pregare, è l’unica arma che abbiamo ancora. Sul serio, organizziamo gruppi di preghiera per la salvezza della società che è dis-società, per la comunità senza destino comune. Riporto qui, come esempio, la preghiera che Faustina Kovalska elevò, in anni tremendi, per la sua Polonia.

«O Gesù misericordioso, Ti prego per l’intercessione dei tuoi santi, e specialmente per l’intercessione della Tua amatissima Madre che Ti ha allevato nell’infanzia. Ti supplico, benedici la mia patria. O Gesù, non guardare ai nostri peccati, ma guarda le lacrime dei bambini piccoli, la fame e il freddo che soffrono. O Gesù, per questi innocenti, fammi la grazia che ti chiedo per la mia patria».

Naturalmente, bisognerà apportarvi qualche correzione. Qui, a soffrire fame e freddo sono i vecchi; i bambini, li abbiamo ammazzati nell’utero delle madri, ce ne mancano circa 4 o 5 milioni. Né ci sono innocenti, qui; quel che ci cade addosso è solo il contrappasso, il karma che ci siamo fabbricati con le nostre mani. Un’umanità senza Dio non ha diritto di permanere, e noi di Dio ci siamo «liberati».

Ma a maggior ragione,

«quanto più la coscienza umana, nella secolarizzazione, perde il senso della parola “misericordia”; quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della su misericordia, tanto più la Chiesa ha il dovere e di far appello a Dio con forti grida. Queste forti grida devono essere proprie della Chiesa dei nostri tempi, rivolte a Dio per implorare misericordia (...) cioè di quell’amore che è più potente della morte, più potente del peccato e di ogni male; l’amore che solleva l’uomo dalle sua abissali cadute» (Dives in Misericordia, (8, 15).

Questa Chiesa, signori, siamo noi: peccatori non innocenti. Fuori il Rosario, signori.




1) È proprio così: «il governo Greco sta adattando un campo di addestramento militare vicino alla prefettura di Attica per «ospitare» i Greci insolventi! Da febbraio scorso in Grecia è entrata in vigore una legge che impone il carcere per i debitori dello stato: Un debitore (dello Stato) che ha come debito; 5,000 euro può andare in prigione fino a 12 mesi 10,000+ euro – almeno 6 mesi. 50,000+ euro – almeno un anno. 150,000+ euro – almeno 3 anni. (Greek gov’t seeks military camp to serve as prison for state debtors)
2) E le imprese italiane non sono andate all’estero alla ricerca di salari più bassi. La maggior parte si sono stanziate in Francia e in Svizzera, dove le paghe sono alte e le norme del lavoro, severe. Ma, scrive la CGIA di Mestre, «Un elemento di forte richiamo è la certezza del diritto. In Francia i tempi di pagamento sono più puntuali e più rapidi di quanto avviene da noi. La giustizia francese funziona e chi non paga viene perseguito e sanzionato. Senza contare che i tempi di risposta delle autorità locali sono strettissimi, al contrario di quanto succede in Italia dove l’unica certezza sono i ritardi che accompagnano quasi ogni pratica pubblica».
3) Fabrizio Barca, ministro di Monti, iscrittosi al Partito due giorni fa, ha dato appoggio (via tweeet, ovvio) alla candidatura di Rodota: insomma vuol fare il capo della «sinistra-sinistra» con Vendola, e senza Renzi: la formula per perdere. Finirà per confluire nella Grillo & Casaleggio Associati. Il suo tweet pro Rodotà, spiega maligna una dirigente, «è una dichiarazione di intenti molto più efficace delle 47 pagine del suo manifesto». (Ansa)


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