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Guarda chi diventa atomico
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Qual è il secondo Paese al mondo per riserve di uranio dopo l’Australia? Il Kazakhstan, l’ex repubblica sovietica. Già oggi è il terzo esportatore mondiale. E metà delle sue riserve (quasi un quinto del totale mondiale) si può estrarre con il sistema di «percolazione in situ» (in situ leaching), metodo meno costoso e meno dannoso per l’ambiente e la vita rispetto all’estrazione mineraria.

Oggi che l’uranio torna di attualità, il Paese ha l’ambizione di aumentare di molto la sua estrazione: dalle 9.445 tonnellate del 2008 alle 18 mila tonnellate nel 2015, e 27 mila nel 2025. Lo scopo dichiarato è diminuire la dipendenza del Paese dall’export petrolifero, perchè il Kazakhstan ha anche questa dubbia fortuna. I rischi sono ovvii, dato che il regime che lo governa è ampiamente corrotto, e che i privilegi minerari - attraendo interessi stranieri notoriamente senza scrupoli - diventano facilmente maledizioni: vedi Angola, Nigeria e Iraq.

Attualmente, solo gli stadi iniziali dell’industria uranifera sono condotti in Kazakhstan: il minerale, macinato a costituire la «torta gialla», viene poi inoltrato in Russia per la gassificazione e l’arricchimento. Lo stadio successivo, la produzione di pellets del combustibile, si fa in Kazakhstan; per la produzione delle barre da centrale atomica, il materiale torna in Russia.

L’azienda di Stato Kazatomprom ha acquistato la metà della proprietà di un nuovo impianto di arricchimento (che sarà completo nel 2011) e che sorgerà a fianco di quello russo, già esistente, di Angarsk in Siberia. La tecnologia di arricchimento rimane però «chiusa» ai tecnici kazakhi, e il regime dice che va bene così, per non creare allarmismi di proliferazione. La Russia avrà la priorità su 6 mila tonnellate annue di minerale grezzo uranifero kazako, per alimentare, oltre le centrali attualmente in funzione, altri due reattori in progetto.

La Kazatomprom possiede anche il 10% dell’International Uranium Enrichment Center, altro stabilimento situato in Angarsk, di cui la russa Techsnabexport possiede il 90%. Per adesso però: l’impianto è nato per offrire combustibile nucleare a Paesi che non hanno la capacità tecnologica di produrlo in proprio, e questi nuovi clienti diverranno anche soci. La quota moscovita si ridurrà in proporzione. Ma la Russia non resterà a lungo il solo partner del Kazakhstan in questo delicato settore. Il regime cerca attivamente collaborazioni con altri Paesi.

La canadese Comeco sta sudiando la fattibilità di un impianto di conversione in esafluoruro che sorgerebbe a Ust-Kamenogorsk: se il progetto andrà in porto, il Kazakhstan disporrà di uno stadio ulteriore della lavorazione, la gassificazione.

Il Giappone ha già un piede nel Paese, per una via traversa: nel 2007 la Kazatomprom ha comprato dalla Toshiba il 10% delle azioni della Westhinghouse Electric Corporation (per 540 milioni di dollari). Risultato: Toshiba-Westhinghouse sono diventati partner tecnologici dell’azienda kazaka di Stato, e insieme produrranno le «fuel assemblies» il prodotto finale, dal 2011 o 2012. Con questo accordo, il Paese ex-comunista ha ottenuto un accesso diretto al mercato mondiale dell’uranio: se oggi il Kazakhstan vende al Giappone l’1% del suo fabbisogno nucleare, nel 2010 conta di aumentarlo al 30-40%.

Toshiba inoltre aiuterà il regime a costruire centrali atomiche, e assistenza tecnologica (o trasferimento di know-how) in cambio di varie concessioni bilaterali, fra cui una quota di proprietà dei giacimenti kazaki acquistata dalla Marubeni Corporation.

Poteva mancare l’interesse della Cina? Ovviamente no. Pechino ha un fornitore tradizionale di barre di uranio, la francese Areva. Presto, questa dipendenza da un fornitore unico (e occidentale) sparirà: nel maggio 2007, il China Guangdong Nuclear Power Group (CGNPG) ha firmato con Kazatomprom un accordo per produrre combustibile per la Cina; quattro mesi dopo, le due aziende hanno raggiunto un accordo per lo sfruttamento congiunto dei depositi  kazaki.

Il Kazakhstan manderà in Cina la totalità dell’uranio estratto dalla joint-venture; all’inizio in forma grezza (yellowcake), ma dal 2013 in forma di combustibile finale. Nè le ambizioni kazake si fermano qui.

L’opinione pubblica è fortemente ostile al nucleare (450 test atomici militari condotti a Semipalatinsk nell’era sovietica hanno devastato l’ambiente e la salute della gente); ogni tentativo di proporre la costruzione di centrali nel territorio nazionale ha sempre incontrato una fortissima opposizione.

Ora però, salita la domanda nazionale di energia elettrica, si sta concretando il progetto di costruire una centrale ad Aktau (dove già esisteva un impianto sovietico, che ha smesso di funzionare nel 1999) dal 2011, di 600 megawatt.

Attualmente  il 70% dell’elettricità che serve al Paese viene dal carbone, e un altro 15% da idrocarburi; la centrale atomica dovrebbe servire a liberare più risorse (carbone, gas e petrolio) per l’esportazione.La centrale progettata è di concezione russa.Si tratta di un adattamento di motori nucleari usati nelle navi da guerra russe (due reattori VBER-300) e sarà costruita in società con Mosca.

Altri progetti interessanti riguardano la costruzione di una ventina di piccole centrali da 50-100 megawatt da spargere nelle piccole città isolate del Paese, dove manca energia. Toshiba è all’avanguardia nella concezione di micro-centrali atomiche usa e getta: sigillate, non richiedono manutenzione e vengono sostituite quando sono esaurite, come pile elettriche.

Non basta: il Kazakhstan vuole produrre e vendere centrali chiavi-in-mano: e per quanto incredibile sembri una simile aspirazione (ma si vede che l’URSS ha seminato qualche gruppo tecnico locale) è già in atto una società mista con la Russia, la Atomnye Stantsii, che intende costruire piccole e medie centrali (100-400 megawatt) a Paesi che - secondo El Baradei, il direttore della AIEA - servono a Paesi del terzo mondo o piccoli  (come Ghana, Thailandia, Giordania), ma che i grandi costruttori di mega-centrali atomiche non offrono. Inutile sottolineare i rischi di questa  ambizione nucleare.

Benchè sia firmatario del trattato di non-proliferazione, il Kazakhstan è al centro della regione che l’America ha reso la più instabile del mondo, a cominciare dall’Afghanistan. Le vie della malavita con cui l’oppio afghano giunge ai «mercati» possono benissimo essere usate per contrabbandare materiale fissile. Il fatto che Kazatomprom abbia il monopolio dell’estrazione e dell’export, e che la commercializzazione sia soggetta a licenze, dovrebbe in teoria rendere difficile lo spaccio di materiale del genere a funzionari corrotti. Ma quel che può non fare la corruzione, può fare la negligenza.

In Kazakhastan esistono già quantità di rifiuti nucleari, eredità dell’era sovietica. E qualche anno fa Kazatomprom stava per attuare un suo piano per «importare» rifiuti nucleari da altri Paesi a pagamento: solo le proteste di gruppi antinucleari ha impedito il progetto. Ancor oggi la Kazatomprom paga regolarmente multe per violazione delle norme sulla conservazione di tali rifiuti; il prezzo in salita dell’uranio continua a rendere conveniente questa «spesa».




Toghzan Kassenova, «Kazakhstan’s nuclear ambitions», Bulletin of the Atomic Scientists, 28 aprile 2008.

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