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Ultime conversazioni di Benedetto XVI dopo le sue dimissioni
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Il perno del suo Pontificato: la creazione della figura del “Papa emerito”

È appena uscito (settembre 2016) un interessante libro/intervista a cura dello scrittore e giornalista tedesco Peter Seewald (Milano, Corriere della Sera/RCS) intitolato Benedetto XVI. Ultime conversazioni.

Benedetto XVI risponde chiaramente e concisamente alle domande del giornalista. Quindi, leggendo questo libro, ci si può formare un’immagine più chiara della personalità e del pensiero filosofico/teologico del giovane teologo don Joseph Ratzinger, del maturo cardinale Prefetto della Congregazione Per la Dottrina della Fede e del Papa, che non solo ha dato le dimissioni dal S. Soglio nel 2013, ma ha inventato la figura del “Papa emerito”. Mi sembra, come evidenzia il Seewald stesso, che questa sia la chiave di volta, il perno, il fulcro o il cardine del Pontificato di Benedetto XVI, il quale proprio per questo motivo passerà alla storia come il “primo Papa emerito”. Questo, piaccia o no è un fatto esistente, constatato e quindi innegabile: “contra factum non valet argumentum/ contro il fatto non vale il ragionamento”, anche se la valutazione di quest’atto dal punto di vista della Tradizione apostolica, della teologia tradizionale e della storia ecclesiastica non può che essere negativa. Infatti è un fatto 1°) che sino al 2013 non è mai esistito nessun “Papa emerito” e 2°) che tale figura non era contemplata né dal diritto né dalla teologia della Chiesa. Ora il Papa è una figura istituita da Gesù, come successore di Pietro in quanto Vicario di Cristo in terra sino alla fine del mondo. Il Papa è il Capo e il Fondamento della Chiesa, che è Cristo continuato nella storia. Pio XI era solito dire: “Chi tocca il Papa muore”. Non mi sembra, a partire da quanto detto e scritto da Ratzinger nel libro/intervista in questione, che sia possibile scusare Benedetto XVI di aver voluto toccare e ritoccare la natura del Papato e la funzione del Papa. Ma la parola definitiva spetta a Dio, che lascia fare e non strafare. Ora di fronte ad un atto così grave, nella sua essenza e nelle sue conseguenze, solo l’Onnipotenza divina può porvi rimedio, o convertendo il Pontefice “scellerato” o togliendolo dalla faccia della terra, come insegna S. Tommaso d’Aquino: “Il cattivo prelato può essere corretto dall’inferiore che ricorre al superiore denunciandolo, e, se non ha un superiore ricorra a Dio affinché lo corregga o lo tolga dalla faccia della terra” (IV Sent., dist. 19, q. 2, a. 2, qcl. 3, ad 2).

Progressista sin da giovane

Innanzitutto Peter Seewald nella sua Introduzione mette bene in luce come il giovane don Ratzinger, appena 35nne, “educato al pensiero progressista dei migliori teologi del suo tempo” (Benedetto XVI. Ultime conversazioni, cit., p. 11) è stato elogiato da Giovanni XXIII poiché “nessuno, eccetto questo ‘teenager della teologia’, ha saputo esprimere meglio le intenzioni che hanno spinto il Papa [Roncalli, ndr] a indire il Concilio Vaticano II” (ivi). Quindi Ratzinger non solosin da giovane ha colto molto bene lo spirito del Concilio come “apertura con cui la Chiesa entra nell’età moderna” (ivi), ma ha partecipato in prima fila con “i suoi impulsi ad imprimere al Vaticano II” quest’apertura alla modernità(1) e, si badi bene, non all’uomo contemporaneo al qualeci si doveva necessariamente rivolgere  nel 1962: egli voleva e vuole tuttora l’apertura alla filosofia moderna, che si basa sul primato del soggetto sulla realtà,per conciliarla con la dottrina cattolica. Ora S. Pio X ha insegnato che la natura del modernismo, “collettore di tutte le eresie” (Pascendi, 1907), è lo spurio connubio tra pensiero il moderno soggettivista e la dottrina cattolica, che viene relativizzata ed erosa soggettivisticamente dalla filosofia idealistica di Kant ed Hegel.

Ratzinger è sempre stato una “figura scomoda” (ivi), difficile da inquadrare, data la sua propensione ricercata e voluta a conciliare gli opposti estremismi(2) anche a costo di scandalizzare e provocare, certe volte, pure i modernisti di marcia accelerata, come Küng, Rahner, Boff, Metz. Egli è un modernista di marcia lenta, ma molto acuto, che sa occultare le conclusioni estreme di alcuni suoi atti e pensieri, espressi pacatamente. In questo è più pericoloso di papa Bergoglio, che esprime apertissimamente il suo super-modernismo radicale e che suscita reazioni certe volte anche esagerate come quella di accusarlo di eresia formale e manifesta e, quindi, di dichiararlo deposto ipso facto da Cristo. Certamente Ratzinger incarna meglio la figura del modernista classico, condannato da S. Pio X nei primi del Novecento con l’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907), come colui che vuol erodere e trasformare occultamente la Chiesa dal suo interno, senza esplicitare la sua perversa intenzione. Invece Francesco I, anche data l’ultima tappa che sta percorrendo il modernismo da Giovanni XXIII sino ad oggi, rappresenta il neo-modernista, condannato da Pio XII nella seconda metà del Novecento con l’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950), che può permettersi di non occultare più nulla, poiché le reazioni anti-moderniste sono oramai dopo circa 60 anni quasi del tutto scomparse. Siamo arrivati all’atto finale della folle corsa modernista (“motus in fine velocior”), che si prefigge di cambiare la natura del Papato e della Chiesa. Umanamente parlando la sua battaglia sembrerebbe vinta, ma soprannaturalmente parlando la sua guerra è perduta poiché Cristo ha solennemente promesso che “Le porte degli Inferi non prevarranno” contro la Sua Chiesa (Mt., XVI, 18).

Seewald mette bene in chiaro che Benedetto XVI non è un Papa conservatore, come alcuni vogliono immaginarselo quasi per esorcizzare il “fenomeno Bergoglio”, che sembra un incubo da cui si vuol uscire anche sognando una situazione leggermente meno angosciante e opprimentequale sarebbe il Pontificato di Ratzinger.

Tuttavia bisogna fare i conti con la realtà e non con i sogni ad occhi aperti. Infatti Benedetto XVI: “dopo Giovanni Paolo II è il secondo Papa a parlare in una moschea; è il primo a partecipare ad una funzione religiosa protestante. […]. Nomina un protestante presidente della Pontificia accademia delle scienze; porta un musulmano a insegnare alla Gregoriana” (cit., p. 13).

Il caso Williamson: uno dei momenti più difficili del suo Pontificato

Uno dei momenti più difficili del suo Pontificato è stato il “caso Williamson”. Infatti “si ritiene ancora oggi che revocando la scomunica al vescovo Richard Williamson della Fraternità San Pio X il Papa avrebbe riaccolto nella Chiesa cattolica un negazionista dell’olocausto. Effettivamente questa notizia, nel gennaio del 2009, produsse una svolta nella percezione dell’opinione pubblica, che sino ad allora aveva espresso un giudizio estremamente positivo sul lavoro del Papa” (p. 14). Il libro in esame torna sul “caso Williamson” a pagina 22, 210 e 222. In effetti questo caso ha significato qualcosa di veramente decisivo nell’ambiente ecclesiale, sia progressista che tradizionalista. È stato una “pietra d’inciampo”. Il fatto singolare è quello che a condannare mons. Williamson è stato in primis il superiore generale della Fraternità San Pio X, seguìto dalla sua grande “maggioranza silenziosa”, il quale ha aderito alla vulgata sterminazionista ed ha preteso l’adesione al dogma della “HolocausticaReligio” da mons. Williamson, che ha avuto la disgrazia di aver chiesto solo delle prove di un piano sistematico di distruzione dell’ebraismo europeo tramite camere a gas e forni crematoriper potervi aderire e siccome non gli son state date non ha potuto prestare un “ragionevole ossequio” a ciò che non è ragionevolmente provato. Quindi mons. Richard Williamson - paradossalmente, ma non troppo dati i tempi che corrono - è stato assolto dal Tribunale penale di Norimberga in Germania, ma è stato condannato dai modernisti post-conciliari (cosa del tutto normale dopo 50 anni di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale a partire da Nostra aetate, 28 ottobre 1965). Tuttavia ciò che impressiona e fa capire quanto il virus modernista di omologazione del pensiero cattolico al mondo moderno sia profondo è il fatto che mons. Williamson è stato espulso dalla Fraternità San Pio X nata per combattere il modernismo e che invece ha sposato la causa di coloro che hanno contribuito ad elaborare la “nuova teologia” giudaizzante del Vaticano II mediante “Nostra aetate” (Paolo VI, 1965), la “Antica Alleanza mai revocata” (Giovanni Paolo II, 1981) e gli “Ebrei fratelli maggiori dei cristiani nella fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, 1986).

Il tema del rapporto tra mondo ebraico e cristiano quello che sta più a cuore a Ratzinger

Seewald spiega che “il tema del rapporto tra il mondo ebraico e quello cristiano è tra quelli che stanno più a cuore a Ratzinger. Senza di lui, affermò Israel Singer, segretario generale del Congresso ebraico mondiale dal 2001 al 20017, non sarebbe stata possibile la determinante svolta storica nei rapporti bimillenari tra Chiesa cattolica ed ebraismo. Rapporti che, riassume Maram Stern, vicepresidente del Congresso ebraico mondiale, sotto il Pontificato di Benedetto XVI sono stati i migliori di sempre” (p. 15). Quindi, impossibile ma vero, in fatto di giudaizzazione dell’ambiente ecclesiale e cattolico Ratzinger sorpassa lo stesso Woytjla (Singer et Stern dixerut).

Dopo l’Introduzione al libro/intervista Seewald inizia con le domande e chiede a Benedetto XVI: «C’è stato un momento in cui ha pregato Dio: “Toglimi di qui, non ce la faccio più, non ne ho più voglia?”» e Ratzinger afferma: “Così no. Non in questi termini. Ho pregato il buon Dio, pensando per esempio al caso Williamson, di strapparmi da quella situazione e aiutarmi. Questo sì” (p. 22). Ed ancora alla domanda: “Il caso Williamson si può considerare una svolta nel suo Pontificato?”, risponde: “Ci fu naturalmente un’enorme propaganda denigratoria nei miei confronti. La gente che era contro di me ebbe il pretesto per dire che ero inadatto […]. Quindi fu un momento cupo e un periodo molto pesante” (p. 211). Verso la fine del libro/intervista Benedetto XVI conclude: “Non riesco a vedermi come un fallito. Per otto anni ho svolto il mio servizio. Ci sono stati momenti difficili, basti pensare allo scandalo della pedofilia e al caso Williamson” (p. 222). Forse è un “lapsus calami” (oggi vanno di moda), ma mi sembra che sia molto poco elegante accostare due casi completamente “diversi”.

La figura del Papa emerito: un cambiamento radicale del ministero petrino

Peter Seewald chiude la sua Introduzione al libro/intervista con queste parole: “Lo storico gesto delle sue dimissioni ha cambiato radicalmente il ministero petrino, restituendogli la dimensione spirituale delle origini. […]. Visto così, l’ultimo Papa di un’epoca di decadenza ha costruito un ponte per l’avvento del nuovo. Una volta portato a termine il suo compito ha rimesso il suo incarico” (p. 17). La frase è inquietante, poiché sa di millenarismo gioachimita (secondo il quale all’èra veterotestamentaria del Padre sarebbe successa quella neotestamentaria del Figlio e poi la terza èra dello Spirito Santo, guidata non più  dalla gerarchia sacerdotale, ma da una élite tradizionale spirituale e profetica) perché vi si parla 1°) di un cambiamento radicale del ministero papale; 2°) di un ultimo Papa di un’era decadente, che fa da ponte al nuovo Papa dell’era nuova; 3°) questi due passaggi son visti come il compito di Benedetto XVI, svolto il quale,egli ha potuto dimettersi avendo compiuta la sua missione. Cerchiamo di capirne il significato senza stravolgerlo scandagliando parola per parola le domande del Seewald e le risposte di Benedetto XVI.

Seewald domanda: “Veniamo alla decisione che già di per sé fa apparire storico il suo Pontificato. Con le sue dimissioni […], con quest’atto rivoluzionario lei ha cambiato il Papato come nessun altro Pontefice dell’epoca moderna. L’istituzione è diventata più moderna, in un certo senso più umana, più vicina alla sua origine petrina” (p. 31). In breve: non con le dimissioni dal Sommo Pontificato, che son contemplate dal CIC e si sono verificate circa quattro volte nel corso della storia della Chiesa e quindi non possono essere lette come “rivoluzionarie”, ma con la creazione della figura del “Papa emerito”, inesistente de jure e de facto nella teologia, nel diritto e nella storia ecclesiastica, Benedetto XVI ha compiuto un atto storico, unico e veramente rivoluzionario. Egli “ha cambiato radicalmente il Papato”, ma il Papato è di istituzione divina e nessun Papa può cambiarlo radicalmente. Infatti, se il Pontefice romano non ha un’autorità umana al di sopra di sé, egli tuttavia è limitato dal diritto divino, ossia da ciò che Gesù ha istituito fondando la Sua Chiesa e non può cambiarlo, sotto pena di commettere un grave abuso del potere datogli da Dio per conservare e tramandare inalterato il Depositum fidei e non per cambiarlo.

Ora, il Seewald afferma che Benedetto XVI “ha cambiato il Papato”, nel senso di averlo reso “più moderno, più umano e più vicino alla sua origine petrina”. Innanzitutto balza agli occhi l’evidente e stridente contraddizione tra il “più moderno” e il “più vicino alla sua origine petrina” risalente a 2000 anni fa. Poi si afferma che tale gesto ha reso il Papato una istituzione più “umana”, mentre esso è di divina istituzione e di natura che confina con la divinità poiché il Papa è il Vicario di Cristo vero Dio e vero Uomo. Perciò Seewald afferma candidamente che Ratzinger ha cambiato il concetto, la natura e la funzione del Papa e daVicario di Cristo lo ha reso, abusivamente e contraddicendo la divina volontà e la pratica bimillenaria della Chiesa universale, una semplice istituzione umana. Il che è abominevole. “Che l’uomo non sciolga ciò che Dio ha unito” (Mt., XIX, 6). Tale versetto del Vangelo si applica direttamente al Matrimonio, ma si può applicare analogicamente al Papato in cui Dio ha unito una persona umana (Pietro e i suoi successori) ad una funzione rappresentativamente divina, ossia ad essere il Vicario o il Rappresentante in terra di Cristo (asceso in Cielo) sino alla fine del mondo; ad essere il Fondamento su cui poggia la Chiesa di Cristo e il Capo visibile di Essa, che è il “Corpo Mistico di Cristo” (S. Paolo, Coloss., I, 18-24; Efes., I, 23 e Pio XII, Enciclica, Mystici Corporis Christi, 1943). Se il Capo è divino anche il Corpo lo è quanto alla sua causa efficiente (Dio/Cristo) e finale (il Paradiso) e quanto ai mezzidi cui la Chiesa è stata dotata da Cristo per la salus animarum, suprema Ecclesiae lex(Sacramenti, Magistero infallibilmente assistito da Dio a quattro specifiche condizioni e il Governo delle anime in ordine alla loro salute eterna e soprannaturale). Infine il fatto di avere reso l’istituzione del Papato più vicino alla sua origine petrina lascia più che perplessi. Infatti significherebbe che per centinaia e centinaia di anni la Chiesa si è allontanata dall’istituzione del Papato quale Dio l’ha voluta e fondata nella persona storica di Pietro. Ora ciò è impossibile perché, se così fosse, le porte degli Inferi avrebbero prevalsocontro la Chiesa, che sarebbe stata “vacante” per secoli interi e solo con Benedetto XVI, “Papa emerito”, avrebbe ritrovato le sue vere origini e la sua vera natura.

Tuttavia l’asserto di Seewald ci fa capire come la marcia del modernismo, che a partire da papa Roncalli (1958) ha iniziato l’occupazione del vertice umano della Chiesa di Cristo, sia statacondotta ora con un moto più veloce e apertamente innovatore (Paolo VI, Francesco I) ora con un moto apparentemente più conservatore e realmente più lento (Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI). Infatti Ratzinger, con l’istituzione de facto del “Papato emerito”, ha svolto il ruolo di colui che ha posto le basi per far spiccarea Francesco I l’ultimo balzo in avanti verso la trasformazione radicale della Chiesa (“si fieri potest”): il “Papato emerito” de jure. È ora “che Dio ci metta le mani e i piedi”, come era solito dire don Francesco Putti, perché umanamente non si può nulla contro l’occupazione del vertice della Chiesa da parte dei nemici di Cristo: “Prima Sedes a nemine judicatur”.

Benedetto XVI non corregge l’asserzione di Seewald, ma, facendo una distinzione tra la “funzione” e la “missione” del Papa, aggiunge una precisazione importante.

Secondo Benedetto XVI 1°) la “funzione” papale significa governare in atto la Chiesa universale ossia consiste nel potere di giurisdizione del Papa, svolgendo l’incarico, l’ufficio o il compito di Papa, tenendo “sotto controllo l’intera situazione” della Chiesa universale (p. 35); tale funzione può essere abbandonata tramite le dimissioni, se il Papa non ha più la capacità di fare tutto ciò. Invece 2°) la “missione”, ossia la vocazione e l’elezione del Papa, è simile al fatto di essere padre fisico, il quale è sempre padre e anche se, psicologicamente e moralmente, non riescepiù a fare il padre egli resta ed è padre fisico per sempre, pur abbandonando le “responsabilità concrete”, ossia la “funzione” di padre morale (p. 38).

Poi Benedetto XVI aggiunge che il “Papa emerito” è una figura simile a quella del “Vescovo emerito”, la quale prima del 1966 non esisteva (ivi). Egli ammette che con tale innovazione (del “Vescovo emerito”, introdotta da Paolo VI nel 1966 e con quella del “Papa emerito”, introdotta da lui nel 2013) il “funzionalismo(3) (p. 39) ha conquistato l’istituzione papale e fa il paragone con l’Episcopato emerito, dicendo che “anche i Vescovi si son trovati di fronte ad un passo simile. Prima [del 1966] nemmeno il Vescovo poteva lasciare il posto e molti di loro dicevano io sono il ‘padre’ e tale rimango per sempre. Non si può smettere di esserlo, significherebbe conferire un profilo funzionale e secolare(4) al ministero, e trasformare il Vescovo in un funzionario come un altro” (ivi).Quindi Ratzinger non ripudia la domanda/obiezione di Seewald, che giustamente aveva detto: “Qualcuno ha sollevato l’obiezione  che le sue dimissioni abbiano secolarizzato il Papato. Adesso non sarebbe più un ministero senza eguali, ma un incarico come un altro” (p. 38).

Benedetto XVI dà, quindi, una breve dimostrazione della natura della riforma dell’Episcopato/Papato emerito. Infatti egli distingue1°) da un lato il Vescovo, che ha una missione sacramentale (missio, da mittere = inviare, il Vescovo è il successore degli Apostoli ed è inviato dal Padre a continuare la loro opera evangelizzatrice), ossia il potere dell’Ordine sacro, che è eternamente indelebile; 2°) dall’altro lato il Vescovo che deve esplicare il compito o la funzione inerente alla sua carica; ora, mentre il carattere dell’Ordine sacro (missione) resta per l’eternità, la giurisdizione che il Vescovo esercita governando la sua Diocesi (funzione) può cessare per malattia invalidante (e questo era pacifico anche prima del 1966, ma con Paolo VI deve cessare e il Vescovo deve andare in pensione diventando “Vescovo emerito” raggiunti i 75 anni di età poiché a tale età il Vescovo non sarebbe più in grado di governare la sua Diocesi. Ora il buon senso, la pratica bimillenaria della Chiesa, la sacra teologia e il diritto ecclesiastico e naturale smentiscono questo principio sofistico, anzi tessono l’elogio della sapienza ed esperienza che si acquistano con la vecchiaia). Analogamente, continua Benedetto XVI, il Papa “che non è un superuomo” (p. 39),… come Gesù non è Nietzsche viene spontaneo da aggiungere…, ha non un Ordine sacro, ma una missione divina come Cristo la dette a Pietro e quindi tale missione o chiamata e investitura da parte di Cristo resta per sempre, però l’esercizio (funzione) di questa missione, ossia il potere di giurisdizione sulla Chiesa universale, non solo può cessare per malattia invalidante (come si riteneva già prima del 2013), ma non può durare in eterno ossia… il Papa deve andare in pensione come i Vescovi (attenzione! Ratzinger non lo dice esplicitamente, tuttavia questa conclusione è contenuta nelle premesse del suo ragionamento). Però, se il Papa si dimette, mantiene la “responsabilità che ha assunto” (ivi) il giorno della sua elezione canonica (missione), ma “in un senso interiore e non nella funzione” o nel potere di governare la Chiesa (ivi). In breveil “Papa emerito” resta interiormente chiamato (vocatus) e inviato (missus) da Dio, ma cessa di esercitare la sua carica(funzione) o potere di giurisdizione.

Dimissioni libere e non sotto ricatto

Benedetto XVI è chiarissimo nell’affermare che tale scelta egli l’ha fatta liberamente e non in séguito a pressioni, ricatti, minacce ricevute, come si vorrebbe sperare per uscire dall’incubo dell’attuale Papa (Francesco I). Anzi Benedetto XVI dice che ha dato le dimissioni solo dopo aver chiarito ogni cosa riguardo lo scandalo “Vatileaks”. Infatti “Uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo” (p. 38). Egli ha avuto un calo di forze nell’estate del 2012 e ha previsto che non avrebbe potuto governare la Chiesa con efficienza, così ha scelto di dare le dimissioni. Se si fosse limitato a dare le dimissioni non ci sarebbe stato nulla da obiettare, ma ha creato la nuova istituzione, che rischia di divenire stabile, del “Papa emerito”, la quale scardina sempre più il concetto di Episcopato monarchico papale, di Episcopato subordinato al Pontefice romano ed accentua quello di Collegialità episcopale.

Poi Benedetto XVI tesse l’elogio di Francesco I non in quanto Papa ma quanto al suo stile, alla sua cordialità, al suo parlare al cuore della gente, al suo decisionismo, al suo saper parlare con Dio e con gli uomini (pp. 42-43), addirittura afferma che  “c’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma” (p. 47) E, dulcis in fundo, dichiara: “Mi chiedo quanto potrà andare avanti” (p. 45), lasciando intendere che la figura del “Papa emerito” oramai de facto è già un’istituzione stabile, anche se non ancora de jure.

Conclusione: “parvus error in principio fit magnus in fine

La figura del “Papa emerito” è la logica conclusione della teoria della Collegialità episcopale, che diminuisce la dottrina del Primato petrino o dell’Episcopato monarchico del Papa e dell’Episcopato subordinato dei Vescovi a quello del Papa. Questa nuova dottrina della Collegialità episcopale fu sostenuta al Concilio Vaticano II (particolarmente durante i dibattiti del 1963) specialmente dal giovane teologo Joseph Ratzinger, che, divenuto Benedetto XVI, ha inventato (esattamente cinquanta anni dopo nel 2103) la figura del “Papa emerito” portando a termine la rivoluzione della Collegialità episcopale.

La Collegialità episcopale e Joseph Ratzinger

La dottrina della Collegialità episcopale è stata innovata ufficialmente anche se pastoralmente e non dogmaticamente il 21 novembre 1964 dalla Costituzione su “La Chiesa” del Concilio Vaticano II Lumen gentium, n. 22.

Essa attribuisce al Corpo dei Vescovi, del quale il singolo entra a far parte con la sola consacrazione episcopale, un potere e una responsabilità stabile sulla Chiesa intera e non solo sulla sua propria singola diocesi; perciò fu ritenuta da vari Cardinali e Vescovi «recante detrimento al potere primaziale del Papa ed essi contestavano che avesse solide basi nella S. Scrittura» (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia-Roma, Morcelliana-Herder, 1978, p. 240).

Questa dottrina di un duplice soggetto del supremo e totale potere di magistero e impero nella Chiesa (e quindi di un duplice Capo della Chiesa) era già stata condannata da papa Clemente VI (29 settembre 1325) nella Lettera Super quibusdam ad Mekhithar patriarca degli Armeni (DS 1050-1065, De primatu Romanae Sedis).

È stata tacciata di favorire l’eresia da numerosi e valentissimi Cardinali, Vescovi (Ottaviani, Siri, Parente, Staffa, Carli) e da famosi teologi (Lattanzi, Piolanti) durante il Concilio Vaticano II e nel post-concilio sino ai recenti studi di mons. Brunero Gherardini (Cfr. “Divinitas”, n. 2/2011, p. 188 ss.)(5). Per quanto riguarda l’ecclesiologia conciliare di Lumen gentium, non ostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che «Dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte»(6).

Tra i progressisti il card. Franz König fu uno dei paladini principali della Collegialità episcopale ed era coadiuvato dal suo giovane teologo don Joseph Ratzinger.

Giustamente San Tommaso d’Aquino diceva: “parvus error in principio fit magnus in fine”. Dall’innovazione della “Collegialità episcopale” si è arrivati oggi al “Papa emerito”. Ci si domanda: sino a quando i modernisti abuseranno della Pazienza di Dio? Exurge Domine!

d. Curzio Nitoglia




1) Egli continua: “Non volevo muovermi nell’ambito di una filosofia stantia, già bell’e pronta e etichettata, ma […] soprattutto volevo conoscere la filosofia moderna. In questo senso ero moderno e critico” (p. 81) ed ancora: “Eravamo progressisti. Volevamo rinnovare la teologia e con essa la Chiesa, rendendola più viva. […], volevo uscire dal tomismo classico […] e non potevo prescindere dal dialogo con le nuove filosofie” (p. 83 e 84). Ora, padre Gabriele Roschini scrive: «l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc. Venne Rousseau e con i suoi princìpi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io è poi culminata nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Dio è luce, amore, letizia, ha cantato il Poeta: “luce intellettual, piena d’amore; / amore di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore” (Paradiso, XXX, 40-42). Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Si è avuto, così, l’uomo finito, ossia un cadavere ambulante, cui quadra a pennello l’epitaffio che aveva preparato il Papini per se stesso, prima che fosse risollevato dalla fede di Cristo: “L’ascensione metafisica di me stesso è fallita. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi! Sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”. La conquista si è mutata in disfatta».

2) Alla domanda di Seewald se è stato un Papa riformatore e conservatore, egli risponde: “Bisogna sempre fare l’uno e l’altro. Bisogna rinnovare, e io ho cercato di portare avanti la Chiesa sulla base di una interpretazione moderna della fede. Nello stesso tempo c’è bisogno di continuità” (p. 222).

3) Funzionale etimologicamente significa relativo alle funzioni esercitate da una persona e qui dal Papa, che deve adempiere ai suoi compiti o funzioni (N. Zingarelli). Ora dando un risalto principale alle funzioni esplicitate dal Pontefice romano, cioè alle attività connesse alla carica di Papa,  il Papato viene automaticamente diminuito al livello di una funzione umana e il Papa è abbassato al livello di un funzionario puramente umano (che deve soprattutto esplicare le funzioni della sua carica) e dal livello di una istituzione divina e di una persona umana, ma vicaria di Dio qual è il Papa “Vicarius Christi”,  Capo della Chiesa e suo Fondamento, tolto il quale Essa crollerebbe. Si capisce quindi l’enorme portata dell’innovazione prima dell’“Episcopato emerito” e poi del “Papato emerito”.

4) Secolarizzare etimologicamente significa mondanizzare in   contrapposizione a ciò che è spirituale e divino (N. Zingarelli).

5) Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009;Tradidiquod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010;Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Quaecumquedixerovobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.

6) Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011, p. 101.

 
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