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Chi è scontento per il Libano
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Caro direttore,
spero che Lei o Savino scriviate un vostro giudizio sulla elezione del nuovo presidente libanese.
La complessità della situazione libanese è tale per cui mi piacerebbe sentire una vostra opinione.
So che quelli di Informazione(s)corretta non mi paiono contenti, e questo mi pare un buon segno.
Josi


I poveretti hanno ben ragione di soffrire. Perchè dalla nuova sistemazione in Libano escono due grandi sconfitti: gli Stati Uniti e i loro maggiordomi, i sauditi, e a maggior ragione anche Israele. E il grande vincitore è, ovviamente, Nasrallah, il giovane ed abilissimo capo di Hezbollah. E ciò benchè Nasrallah fosse personalmente assente dagli incontri di Doha in Katar, per ragioni di sicurezza personale – come si sa, «la-sola-democrazia-omicida-del Medio Oriente» tenta in ogni modo di assassinarlo.
Il generale Michel Suleiman, nuovo presidente, come si ricorderà ha mantenuto l’esercito sornionamente neutrale nella più recente battaglia tra Hezbollah e il clan Hariri (sub-americano), disobbedendo all’ordine del «governo» illegale di Siniora, sostenuto da Washington e da Al-Mossad, di combattere Hezbollah. Ragion per cui, la propaganda israeliana lo dipinge come filo-siriano e filo-Hezbollah – e tenterà in ogni modo di ammazzarlo, coi suoi assassini professionali o con assassini a contratto.
Ma finchè il generale la scampa, la situazione è questa. Nasce un governo libanese di 30 ministri, di cui 16 sono del clan Hariri e di Siniora (dunque fantocci Usraeliani); ma 11 sono ministri di Hezbollah. Il presidente Suleiman potrà scegliere tre ministri suoi: che non saranno certo molto filo-Siniora, nè sgraditi a Hezbollah. I ministri anti-Hariri e anti-Siniora saranno dunque 14, contro 16. E soprattutto, avranno diritto di veto su ogni legge proposta dalla fazione pro-USA.

Mettetevi nei panni di Washington e dei suoi likudnik: Hezbollah, l’organizzazione «terroristica» per eccellenza («combattente» sarebbe la definizione oggettiva), ha 11 ministri di un governo legittimo, accettato come tale anche da Siniora e dagli Hariri (che hanno dovuto accettare per forza: settimane fa avevano praticamente preparato una incursione di commandos americani per ammazzare Nasrallah, e il tentativo era stato sventato da Hezbollah che ha occupato militarmente le sedi della fazione sub-americana, devastandone le sedi e smantellandone le reti).

Come tratteranno gli americani con 11 ministri insieme «terroristi» e «legittimi»? Faranno finta che non esistano, come fanno con Hamas per ordine di Sion, o li minacceranno di incinerazione atomica come fanno con l’Iran? Impossibile.

Dopotutto, il capo del governo è ancora (fino al 2009) Siniora, il loro uomo. E la sconfitta diplomatica di Bush è ancora più cocente, se si pensa che l’incontro di Doha è avvenuto senza che una delegazione americana sia stata invitata. Anzi, la stessa fazione Hariri-Siniora ha pregato il Dipartimento di Stato di non farsi vedere e di non mettere bocca, per paura di apparire – com’è – troppo «americana» di fronte agli arabi. Anche i sauditi – che si atteggiavano a grandi mediatori della crisi libanese dai tempi di Taif, l’accordo che pose fine alla guerra civile nel 1990 – sono stati messi da parte. I mediatori sono stati quelli del Katar.

Si aggiunga che l’Arabia Saudita guida il fronte islamico anti-sciita promosso e organizzato da Israele contro Hezbollah, Iran e Siria: disfatta su tutta la linea. E tutta la faccenda ha dimostrato che arabi e musulmani in genere riescono benissimo a concordare un accordo, quando non ci si mettono di mezzo gli americani e Al-Mossad. E’ per questo che a Washington si dice che «mai l’influenza USA è stata più bassa nell’area».
A Doha c’era invece il generale Michel Aoun, alleato di Nasrallah: gli si attribuiva l’ambizione di diventare presidente al posto di Suleiman. Ma la Siria non lo ama: è stato il comandante libanese che, al comando dell’esercito dei Cedri, ha più coraggiosamente combattuto l’invasione di Damasco, in condizioni d’inferiorità assoluta.

In realtà, fin dal novembre scorso Aoun e Nasrallah hanno concordato che occorreva una personalità meno anti-siriana. Dunque la scelta di Suleiman è stata una vittoria anche per Damasco, il che sicuramente brucia molto a Informazione Corretta con Menzogne. Tanto più che l’ultima impresa bellica di Hezbollah in Libano ha smantellato le reti di spie e provocatori israeliani a Beirut, che hanno dovuto filarsela in fretta: «Tre anni di lavoro buttato a mare», come ha confessato un noto caporione dell’intelligence sionista.

Infine, Hezbollah si tiene il suo armamento, unica garanzia di difesa nazionale contro il potente Israele, ripetuto aggressore del Libano. Non a caso il ministro nostro (o loro), Frattini, ha subito auspicato che Hezbollah, adesso, disarmi. «Per mangiarti meglio», come disse il lupo a Cappuccetto Rosso. Patetico.

Certo la situazione resta fragile e instabile; presto Israele, che ha in Libano gente sua, drusi e «cristiani» spacciatori d’oppio di Geagea, avrà ricostituito le sue reti di spie e assassini. Ma Nasrallah ha mostrato più volte la sua capacità di sopravvivere, fisicamente e politicamente.

Quando nel 2000 gli israeliani si ritirarono «unilateralmente» dal sud Libano, i suoi avversari interni ed esterni lo diedero per spacciato: s’era legittimato in un decennio di lotte contro l’occupazione, ma ora non serviva più; sarebbe stato disarmato, e presto sarebbe sbiadito nella memoria della sua popolazione sciita-libanese. Tanto più che in giugno morì il dittatore siriano Assad: la nuova Siria, si disse, avrebbe tolto il suo appoggio ad Hezbollah.

Nel 2004, l’ONU approva la risoluzione 1.559, che esige il disarmo di Hezbollah. E tutti a dire: stavolta Nasrallah non ce la farà, contro la «comunità internazionale» che lo delegittima, contro l’ONU, la Francia e Washington. Stessa solfa nel 2005,  quando, dopo il molto sospetto attentato ad Hariri padre, di cui la «comunità» noachico-internazionale accusò la Siria, costringendola a porre termine alla sua occupazione del Libano: ora, senza i siriani, Nasrallah è finito.

Niente. Nasrallah è sempre lì. Così, nel 2006, Israele deve aggredire di nuovo il Libano meridionale, con un pretesto falsissimo, e con lo scopo di liquidare Hezbollah. Stavolta, contro l’invincibile nemico, Nasrallah è spacciato, pensano tutti (anche l’esercito libanese, che sta a guardare la devastazione feroce del Libano per mano ebraica; i suoi ufficiali brindano a bicchieri di tè con gli ufficiali di Giuda).

Macchè: come sappiamo, è Israele a subire dai disciplinati Hezbollah durissime perdite e una inattesa sconfitta politico militare, che comincia a intaccare la sua fama di invincibilità e a indebolire la sua minaccia permanente, la sua «deterrenza».
Naturalmente interviene la «comunità internazionale»: l’ONU vara la risoluzione 1.701, che piazza una forza d’interposizione nella zona di guerra libano-israeliana, più precisamente in Libano. Stavolta, lontano dai suoi campi di battaglia e di vita, e dalla sua popolazione, Hezbollah dovrà svanire, pensano tutti. I Caschi Blu, proclama Israele, devono disarmare i «terroristi». Israele per giunta viola costantemente quello spazio neutrale, con i Caschi Blu a far la figura di burattini.

Ma ancora una volta, Nasrallah sopravvive. Mantiene il controllo del suo territorio come sempre. Nella guerra ha trovato l’appoggio dei cristiani di Aoun: ora nessuno può dire veramente che contro Siniora c’è solo la fazione sciita isolata nel Paese; c’è invece una coalizione nazionale.

Non solo: è lui a mantenere l’iniziativa politica, alleato con Aoun, contro il governo-fantoccio Siniora. Questo governo, per il ritiro dei ministri sciiti nel novembre 2006, è per la costituzione libanese decaduto; restando al potere con l’appoggio americano, è illegale e illegittimo. Resta al potere perchè anche l’Arabia Saudita lo vuole e lo riconosce.

Passano i mesi: poi Nasrallah e Aoun organizzano una manifestazione nel centro di Beirut, cuore degli affaristi sunniti, per chiedere le dimissioni del governo illegale; alzano tende in piazza, restano lì ad oltranza. E’ una battaglia politica.

Nasrallah accusa il governo Siniora – non più primo ministro, per gli sciiti – di aver complottato con americani e israeliani nella guerra del 2006 (la pura verità) e di aver premuto per la risoluzione 1.559, praticamente un invito ad Israele ad attaccare, nella speranza che Sion li liberasse da Hezbollah.

Passano 18 mesi di stallo. Hezbollah non obbedisce al «governo», e governa la sua zona in autonomia, tenendosi le armi in pugno. Nonostante tutte le pressioni possibili e immaginabili.

Da ultimo, il tentato assassinio di Nasrallah. Doveva avvenire nei giorni della celebrazione dei 60 anni di Israele; forze speciali americane avrebbero dovuto sbarcare all’aeroporto di Beirut a sorpresa, e farla finita. Siniora prepara l’operazione arrestando il capo delle telecomunicazioni dell’aeroporto, sciita ed Hezbollah: allo scopo di accecare le telecamere-spia e le trasmissioni autonome di Hezbollah e rendere così possibile la «sorpresa». Le milizie private di Hariri figlio e dei drusi di Jumblatt avrebbero dovuto condurre azioni di supporto. Hezbollah previene tutti, attaccando i quartieri di Beirut controllati dai nemici interni e distruggendoli, e sventando la manovra.

Tutta la propaganda grida al «colpo di Stato»; ma Hezbollah si ritira dalle zone occupate, chiamando l’esercito regolare del generale Suleiman. Tutta la propaganda strilla che, avendo rivolte le sue armi contro i connazionali, arabi e musulmani, Nasrallah ha macchiato per sempre la sua fama di eroe. La Lega Araba, la Francia e gli USA esigono un accordo. L’accordo avviene in Katar ed è quello di Doha.

Oggi il più volte dato per spacciato, finito, politicamente disperato Nasrallah ha 11 ministri nel governo Siniora. Ha umiliato un’altra volta gli americani, gli israeliani e i loro fantocci interni. E si tiene le armi.


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