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Ragazze, imparate i codici
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Tra la marea di commenti al mio articolo sul Rasta e la Cassazione (lettura deprimente, con tanti «esperti» di Ganja) , mi ha colpito uno. A proposito della ragazza ammazzata in Catalogna, Silvia scrive: «No, no, una ragazza con tatuaggio, diamantino nel dente, orecchino, è una ragazza molto solare, che lavora per pagarsi le vacanze all’estero, per fuggire dalla noia mortale della provincialità. Il Gordo però adesso ha sulla coscienza la morte di una ragazza che è andata a spegnere la sua solarità molto lontano...».

Perchè mi ha colpito? Perchè il pericolo per tante ragazze è proprio in questo: nel non essere consapevoli del «messaggio»  che emanano con il codice del vestiario o degli ornamenti. Una si fa delicati tatuaggi in certe parti, si fa mettere un brillantino sul dente ed è convinta di dire al mondo: «Guardatemi: sono una ragazza solare, che emana solarità». Ignara che per altri, per lo più maschi, nati in mondi lontani, il messaggio risulta: «Ecco un’altra di quelle che sono venute qui a farsi scopare». E non è un equivoco, da parte del Gordo.

Anzitutto uno come lui, avventizio lavapiatti che bazzica a Lloret del Mar a caccia di donne, ha esperienza diretta di centinaia di ragazze, di impiegate provinciali, italiane o no, che sono venute lì proprio a scopare: ed hanno lo stesso diamantino, la stessa catenina alla caviglia, gli stessi tatuaggini sulla nuca o sul pube della ragazza «solare».

Io stesso ho conosciuto decine di impiegate milanesi che sciamano due settimane nei «villaggi-vacanza», o posti come Lloret (tutti uguali), con lo scopo preciso di fare sesso. Non le giudico: la vita delle impiegate a Milano è squallida, l’incontro sessuale resta difficile o almeno impegnativo.   Ma almeno, se non vogliono finire veramente male, quando «vanno all’estero» per la «vacanza» che si sono pagate lavorando, dovrebbero rapidamente imparare alcune cose.

Anzitutto: «l’estero» è il vasto mondo, affollato di esseri che hanno radici, lingue, culture e società diverse, ed hanno un passato di cui le ragazze di provincia non sanno nulla. I voli charter hanno messo in grado di andare «all’estero» in poche ore troppi sprovveduti, che estendono questa facilità anche al vasto mondo. Il vasto mondo resta difficile.

I mari tropicali celano pesci bellissimi con pungiglioni letali, le foreste piante carnivore, velenosi ragni, sui quali il viaggiatore avvertito si informa in anticipo; Uruguay e Venezuela non sono come la provincia di Padova; sono società guaste, devastate, dove la disperazione e la violenza sono endemici, dove la durezza vitale forma esseri umani addestrati ad abbrancare ciò che viene - alcool o altro - come viene, perchè domani non si sa.

Almeno di questo, una ragazza di provincia deve essere avvertita. Altrimenti è meglio che, in vacanza, vada a Lignano Sabbiadoro. Lì potrà esercitare la sua «solarità» esibendo tatuaggini, con rischio diminuito. Perchè i codici del vestiario e del corpo sono linguaggi. E come tutti i linguaggi, vengono compresi solo dalla cerchia che frequentiamo.

Magari fra i suoi amici padovani, la povera ragazza era considerata «solare», una allegra bonacciona; magari loro sanno dare il peso che meritano agli inviti sessuali impliciti nei tatuaggini (sono solo uno scherzo, è una brava ragazza che lavora tutto l’anno). Ma non si può pretendere che altri, che vengono da altri passati e società - di cui la ragazza non sa nulla - intendano i segnali allo stesso modo.

Si aggiunga che gli stessi messagi, presunti «solari», assumono un significato tutto diverso quando sono esibiti di notte. Un tatuaggino pubico ha un senso sulla spiaggia, in piena abbronzatura; un altro in discoteca alle due del mattino. Il mondo notturno ha i suoi notturni abitanti, con le loro voglie notturne, parlano le  lingue della notte.

Abbiamo visto le foto della ragazza di Padova, scattate dall’amica (altra tenebra) nella discoteca finale: abbiamo visto il Gordo che le stava addosso, con tutti i suoi tatuaggi, biascicandole baci sulla faccia da brava impiegatina. Per il Gordo, una simile vicinanza, simili approcci accettati, avevano un solo sbocco naturale. Per la ragazza padovana no, magari.

Ma allora, che cosa ci voleva a respingerlo? Lì in discoteca, fra tanti amici, uno spintone, una parola secca, era impossibile? Avrà pur sentito l’odore alcoolico del suo fiato, il pulsare sudaticcio del drogato. Non era poi irresistibile, il Gordo. Alla peggio, lo si poteva piantare lì e ci si poteva chiudere in albergo, a pochi passi: pazienza, una serata rovinata, domani è un altro giorno.

Invece la povera padovana, esce con lui. Sta via qualche ora. Poi ritorna in discoteca. Che cosa c’è di «solare» in questo?

A meno che «solare» non significhi, per Silvia, questo: ragazza improvvidamente fiduciosa. Che nella vita vede solo il sole ed esseri «solari» attorno a sè. Per cui tutto il mondo è il suo paese padovano, dove tutti si conoscono e si capiscono.

Per ragazza molto solare, io intendo un altro tipo: una che sta al sole, che vive nel sole, che la sera - dopo tante nuotate, dopo tanto mare  - magari è troppo stanca per andare in discoteca a farsi biascicare da uno sconosciuto ubriaco. Forse sbaglio io, dev’essere questione di codici.

A me, a dirla tutta, il termine «ragazza molto solare» suona come una retorica falsa; la stessa retorica, vischiosa pietà che i TG hanno riversato sulla ragazza uccisa lasciata in un cespuglio: poveretta, era lì a «vivere la propria vita», voleva solo divertirsi, e invece... invece, il vasto mondo sconosciuto ha fatto scattare una delle sue mille trappole.

Trappole che il viaggiatore avvertito, s’intende, riconosce, avendo magari appreso qualcosa prima: quella bella lucertola colorata del Kenia schizza veleno, la dolce antilope ha corna affilate e uno spirito aggressivo, i pesci  variopinti non sono gli stessi dell’acquario e della fontana italiana.

Con molto dispiacere, bisogna ammetterlo: il provincialismo uccide. Il provincialismo non rende capaci a sopravvivere nel vasto mondo. I suoi codici sono equivoci, portati altrove da un volo charter.

Ne scrivo, e so già di sprecare fiato e inchiostro. Perchè i nostri giovani li ho conosciuti un po’, in scuole, in corsi di formazione, e conosco la loro chiusura ermetica ad imparare il vasto mondo. Conosco anche troppo l’importanza parossistica che danno al loro vestiario come «codice identitario», unita alla totale incoscienza del «messaggio» che il codice manca.

Tante volte ho ripetuto a giovani disoccupati: quando vi presentate a cercare lavoro, non presentatevi con l’orecchino, i capelli lunghi, le treccine rasta. Quelli sono messaggi destinati ad altro ambiente, al «tempo libero», al «vivere la propria vita»; il lavoro richiede messaggi e codici diversi, e il messaggio che date è: questo non ha voglia di lavorare, è trasandato, dunque impreciso, è insubordinato, incapace di disciplina...

Tutto inutile. Ci tenevano, al loro vestiario. Affidavano ad esso la loro «personalità», la loro «originalità». Originalità che coincide con il conformismo vigente nel loro ristretto gruppo. Perchè l’originalità del vestire è l’ultimo, non il primo tocco della originalità di una persona; prima, devono venire opere originali, originali scoperte, un modo originale - cioè profondo e non superficiale - di studiare, lavorare  e capire.

Troppo facile cominciare dalla cosa  più facile, saltando tutte le tappe intermedie. Ed anche, alla fine, pericoloso: si rischia di vincere il Premio Darwin, che va a quelli che, incapaci, vengono eliminati dalla «selezione naturale» nel vasto mondo. Ma so di dire parole al vento. Lo vedo dai commenti.


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