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Karadzic protetto dalla CIA? E poi da chi?
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Dai giorni degli accordi di Dayton (novembre 1995) fino al 2000, Radovan Karadzic ha vissuto sotto la protezione degli Stati Uniti: lo sostiene il quotidiano di Belgrado Blic, che cita una «fonte ben informata dell’intelligence USA», che ha parlato di un «accordo segreto e informale» tra la CIA e il caporione serbo-bosniaco (1).

In cambio della protezione, Karadzic -ricercato per genocidio e crimini di guerra come mandante del massacro di Srebrenica, 8 mila sterminati - si era impegnato a non impegnarsi più in politica. La protezione infatti sarebbe terminata quando la CIAnel 2000, ha intercettato una telefonata del ricercato, da cui risultava che lui aveva personalmente presieduto una riunione del suo vecchio partito, quello dei serbo-bosniaci.

Dopo il suo arresto e appena ha potuto prendere la parola davanti al tribunale dell’Aia, come si ricorderà, Karadzic aveva parlato di un accordo esistente fra lui e Richard Hoolbroke, il mediatore americano, che gli avrebbe garantito «l’immunità». Hoolbroke ha replicato: «Una menzogna pura e semplice. Sono 12 anni che (Karadzic) diffonde questa storia fra i suoi amici, ed ora lo fa di persona. Non abbiamo fatto nessun accordo».

L’esistenza di tale accordo è stata sostenuta a Radio Belgrado da Aleksa Busha, già «ministro degli Eteri» di Karadzic nel «governo» della Republika Srpska di Pale. Costui ha precisato che l’accordo fu stretto «nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1996». Si può non credere a questo uomo di Karadzic.  Ma anche Mohamed Sacirbey, che fu ministro degli Eteri della Bosnia musulmana in Sarajevo assediata -che dunque militava nella parte nemica - ha sostenuto che questo accordo ci fu. Intervistato da Dnevni, giornale di Mostar, Sacirbey ha detto di aver saputo dell’accordo da Robert Frowick, il diplomatico americano che guidava la missione dell’OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) «nell’estate del 1996».

I due (ex?) avvversari coincidono dunque nell’indicare la data. Data l’ambiguità delle manovre internazionali che si agitarono attorno alla questione balcanica, non stupisce nulla: il «patriota serbo» coperto e protetto dallla CIA non è il più sporco degli affari che avvennero.

Il vero mistero è un altro: se la CIA strappò il suo manto protettore dal patriota Karadzic nel 2000,  come ha fatto il patriota a vivere da uccel di bosco fino al 2008, sfuggendo per ben otto anni alle vaghe ricerche della «comunità internazionale»? Il giornale austriaco Kurier ha appurato che Karadzic, sotto il nome di «dottor Dabic», medico alternativo, ha addirittura esercitato in Austria, e andava e veniva dall’Italia quanto gli pareva. Vuoi vedere che, dopo la CIA, qualcun altro s’è incaricato della sua protezione?

Nel 1997, durante il governo Prodi numero 1, Telecom Italia (allora società a partecipazione statale, controllata dal Tesoro al 61%) acquistò il 29% di Telekom Serbia, la disastrata agenzia di telefoni fissi di Milosevic: 893 milioni di marchi, pari a  878 miliardi di lire, in parte pagati in contanti, i sacchi postali di banconote mandati a Belgrado. Uno dei peggiori affari di Prodi come privatizzatore dell’IRI: la quota italiota di Telekom Serbia fu quasi subito dopo rivenduta allo stesso governo di Belgrado per 300 miliardi, con una perdita secca di 600: pagati da  noi contribuenti. Di fatto, l’Italia finanziò l’ultima guerricciola di Milosevic.

Prodi disse di non saper nulla di quella transazione. Telecom Italia non aveva bisogno di informare il governo per compravendite di quel genere, fu la tesi difensiva. Vero che Telecom apparteneva ancora al governo (IRI), ma era in via di privatizzazione e seguiva già le regole privatistiche dettate giusto - guarda caso - allora da Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro di Prodi e Venerato Maestro. Si parlò anche di tangenti ricevute, per quel cattivo oculatissimo affare, da Lamberto Dini, Piero Fassino (allora ministro) e da  Prodi.

Il successivo governo Berlusconi ha allestito una comissione d’inchiesta - la cui legittimità non è mai stata accettata dalle sinistre - che è riuscita a confondere così oculatamente le tracce e ad intorbidare le acque con tanta attenta incompetenza, che la faccenda è finita nel nulla. La Commissione non ha presentato nemmeno la relazione finale. Il supertestimone che aveva accusato Dini, Fassino e Prodi di intascare tangenti, la spia Igor Marini, è stata condannata per calunnia. La magistratura di Torino (Fiat) ha colato a picco tutto l’affare, archiviando le ultime accuse agli amministratori delegati di Telecom di allora.

Ci resta in mano pochissimo. Qualche frase giornalistica (2), qualche frase del presidente della Commissione di non-inchiesta, Enzo Trantino (AN): «Macroscopica disapplicazione dei principii  basilari di una corretta amministrazione... mala gestione con chiare e forti connotazioni politiche... i governanti di allora, dal presidente Prodi al ministro Dini al sottosegretario Fassino sembra fossero al governo di un altro Stato, non dell’Italia, quando questo inquietante affare si compiva».

Già: governanti di uno Stato estero. O per conto di uno Stato estero messi a governare l’Italia; in cambio di buoni emolumenti, come si devono a bravi maggiordomi. Chi avrà protetto Karadzic, dopo la CIA? Mah.




1) Vesna Peric Zimionjic, «Karadzic lived under protection of CIA agents until he broke deal», Independent, 4 agosto 2008.
2) Alcune frasi di Galli della Loggia su Il Corriere: «E’ mai pensabile che una azienda pubblica italiana potesse condurre in porto un simile acquisto, per una cifra così considerevole e soprattutto da un venditore di così dubbia reputazione come Milosevic, signore della guerra dei Balcani, senza una preliminare autorizzazione politica dal governo di centrosinistra dell’epoca?… Se si appurasse che le cose stavano effettivamente così, sarebbe di una gravità politica per lo meno pari (se non superiore) a quella rappresentata dalla consapevole decisione presa da qualcuno (magari in cambio di qualche tangente) di aiutare il regime criminale di Milosevic. I piani alti della politica dell’epoca, insomma, ospitavano degli inetti o una quinta colonna balcanica?…». E Giampaolo Pansa su L’Espresso: «Quello che i giudici hanno sempre detto per le illegalità, vere o presunte, alla Fininvest, e cioè che Silvio Berlusconi da presidente non poteva non sapere, deve valere anche per il presidente del Consiglio professor Prodi. Chi sta in cima a una piramide di potere, non può non conoscere che cosa va facendo chi gli sta sotto». E così  Ezio Mauro, direttore de La Repubblica («Il governo non poteva non sapere»), Francesco Merlo su Oggi («L’acquisto del 29% di Telekom Serbia era un affare di Stato e non è credibile che gli uomini dello Stato non sapessero quel che faceva lo Stato»), Claudio Rinaldi su L’Espresso («Non credo a tangenti che sarebbero state incassate da uomini di governo, ma debbo dire che l’acquisto di una quota di Telekom Serbia durante il governo Prodi fu un grave errore: finanziario, perché la Stet-Telecom Italia, nel 1977 ancora controllata dallo Stato,  pagò un prezzo altissimo; politico, perché l’operazione fornì denaro fresco alla bieca tirannia di Slobodan Milosevic»).
 

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