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Il generale Wesley Clark (già comandante supremo per l’Europa della NATO 1997-2000, veste nella quale guidò la guerra del Kossovo), ha rievocato le sue imprese in un libro intitolato Winning Modern Wars.

A pagina 31 scrive: «... Quando tornai in visita al Pentagono nel novembre 2001, parlai con un ufficiale di alto livello dello staff che aveva tempo per due chiacchiere. Mi confermò:, siamo ancora in carreggiata per andare contro lIraq. Ma cè di più. Questo - disse - è solo parte di un progetto di campagna che durerà cinque anni, e toccherà sette Paesi; si comincia con lIraq, poi tocca a Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan» (1).

(D)Javid Bey
   Rumsfeld, Wolfowitz e Dov Zakheim
Nel novembre del 2001 (un mese dopo l’attentato alle Twin Towers) al Pentagono di Donald Rumsfeld spadroneggiavano i tre noti viceministri neocon ebrei, Paul Wolfowitz, il rabbino Dov Zakheim e Douglas Feith. I programmi bellici erano stilati da un ufficio speciale guidato da Richard Perle, un altro dei loro. Il generale Wesley Clark (lui stesso ebreo bielorusso) non approvava quei programmi; fu uno dei gallonati dimissionati perchè non disposti a dire sì a tutto.

Il piano di guerre quinquennali ha subito qualche ritardo e battuta d’arresto – probabilmente dopo il rovescio israeliano contro Hezbollah (Libano, luglio 2006) che ha raffreddato la baldanza iniziale dei neocon. Ma sembra sia ancora in agenda, e venga eseguito, qualunque sia il presidente seduto alla Casa Bianca. Come si vede, la Libia era nella lista.

«Il presidente Barak Obama ha firmato un ordine segreto che autorizza il governo a sostenere le forze ribelli che cercano di cacciare il dittatore libico Muammar Gheddafi, hanno detto funzionari del governo alla Reuters».

Di fatto, operativi della CIA sono in Libia sul terreno «già da diverse settimane», come consiglieri militari dei ribelli e per localizzare i bersagli che gli aerei della coalizione devono colpire. (CIA Agents in Libya Aid Airstrikes and Meet Rebels)

Il presidente siriano Bshar Assad, nel suo discorso televisivo del 30 marzo in cui ci si aspettava che annunciasse ampie riforme democratiche, ha invece dichiarato che le proteste che travagliano da giorni il suo Paese «sono parte di un piano israeliano» e fomentate da un vasto complotto straniero contro il regime.

Elliot Abrams, uno dei neocon redivivi (è stato «consigliere speciale per il Medio Oriente» di George W. Bush, e in questa veste ha surrettiziamente armato l’OLP palestinese che, avendo perso le elezioni a Gaza, fu incitato da Abrams a prendere il potere con le armi; un putsch che Hamas stroncò duramente) ha scritto sul Washington Post un editoriale in cui invita Obama a prendere contro Assad le stesse misure che ha preso contro la Libia.

(D)Javid Bey
   Dov Zakheim
Gli ha risposto però su Foreign Policy Dov Zakheim (chi si rivede!) invitando alla prudenza: «Mentre le forze americane sono impegnate in tre Paesi musulmani, lultima cosa di cui gli USA hanno bisogno è di immischiarsi nei disordini in Siria». Ma come sempre, non è il destino americano a preoccupare Zakheim, bensì Israele: «Una Siria instabile può essere tentata, come non sono stati gli Assad padre e figlio, di attaccare Israele sul fronte del Golan, o di spingere Hezbollah in una guerraa che Damasco estenderebbe...». (Obama should draw the line at Syria - By Dov Zakheim | Shadow Government)

Richard Morningstar
   Richard Morningstar
In questo quadro, vale la pena di segnalare un incontro ad alto livello avvenuto all’ambasciata italiana a Washington il 28 marzo. Tema: i problemi energetici globali. Vi ha partecipato Richard Morningstar, special envoy (ossia plenipotenziario) del Dipartimento di Stato «per lenergia eurasiatica». Ossia col compito di separare l’Europa dal suo fornitore russo. Morningstar ha fatto notare con un sorrisetto che «la crisi libica ha chiuso il progetto Green Stream»: ossia il gasdotto, che unisce Libia e Italia, costruito dalla Saipem (ENI) e terminato nel 2004. Ciò rende ancora più urgente, secondo lui, le pipelines del corridoio Sud, che porteranno gas e petrolio dal Caspio in Europa. Il Dipartimento di Stato appoggia e preferisce tubature che passino per la Georgia o almeno per l’Ucraina – come ad esempio il Nabucco, che per il Dipartimento di Stato è «una grande soluzione, in quanto può soddisfare i bisogni europei per i prossimi 30 anni». Invece, il Dipartimento di Stato non capisce e non approva il Southstream, ossia il progetto ENI-Gazprom di un gasdotto che traversa in profondità il Mar Nero, portando il gas russo in Italia ed in Europa senza bisogno di passare (nè pagare royalty) a Paesi filo-americani come la Georgia e l’Ucraina.

Di rilievo le presenze nostrane, che ricavo dall’invito: Giandomenico Magliano, Ambassador, Director General for Global Issues, Italian Ministry of Foreign Affairs. Leonardo Bellodi, Senior Vice President for Public Affairs, ENI. Roberto Potì, Executive Vice President International, Renewables Special Projects, Edison. Giovanni Lelli, Commissioner, Italian National Agency for New Technologies, Energy and Sustainable Economic Development, ENEA. Roberto Adinolfi, CEO, Ansaldo Nucleare. Per il governo, c’era Stefano Saglia, sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico.

Stefano Saglia
   Stefano Saglia
Bisogna dire che per una volta gli italiani non hanno avuto un attggiamento pecorile verso l’americano. Saglia ha insistito che i progetti caldeggiati da Morningstar «sono troppo incerti», e mancano di certezza nel finanziamento (Nabucco, ad esempio). Ha poi detto che dei progetti promossi da Morningstar, l’Italia è interessata solo allo ITGI (un gasdotto Turchia-Grecia-Italia) perchè completerà il corridoio Sud, che è una priorità UE.

Quanto al South Stream ENI-Gazprom che tanto spiace al Dipartimento di Stato, Saglia ha insistito che l’Italia vi è interessata per motivi industriali: la posa in acque profonde (Mar Nero) «è una sfida tecnica che lENI vuole affrontare», e inoltre vuole una presenza nei Balcani. Saglia ha poi sostenuto che il South Stream dà ad Italia ed all’Europa la diversificazione di fonti di cui ha bisogno, come la dà il North Stream, non escludendo di usare l’Ucraina (come tramite per l’energia russa), ma chiedendo un ammodernamento della sua rete.





1
) Qui l’originale di Wesley Clark: «As I went back through the Pentagon in November 2001, one of the senior military staff officers had time for a chat. Yes, we were still on track for going against Iraq, he said. But there was more. This was being discussed as part of a five-year campaign plan, he said, and there were a total of seven countries, beginning with Iraq, then Syria, Lebanon, Libya, Iran, Somalia and Sudan». (Libya on Wes Clark's hit list, only one left?)


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