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USA ed Europa come lo Zimbabwe
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Avete presente l’iper-inflazione dello Zimbabwe, che gira sul 200 mila%? «E’ il destino di euro, dollaro e sterlina»: lo ha detto alla CNC Martin Hennecke, gran gestore di patrimoni privati alla Tyche. A forza di stampare moneta per salvare le banche, i Paesi occidentali mettono in pericolo la loro stesse monete (1).

Hennecke ha fatto il caso dell’Islanda, 320 mila abitanti e con le sue banche esposte per 13 volte il PIL nazionale. L’Islanda ha nazionalizzato le sue banche, sicchè adesso i loro colossali debiti sono a carico dei cittadini islandesi. L’Islanda ha questo debito verso l’estero, in divise straniere; dunque non può stampare la sua moneta per tirarsi fuori dai guai. «Invece l’Europa, gli USA e la Gran Bretagna possono», ha detto Hennecke, ed è questo il problema: «E’ la strada dell’iper-inflazione».

I piani di salvataggio annunciati il fine-settimana non fanno che creare moneta per gettarla dentro il buco nero. «L’agenzia di rating Standard and Poor’s ha preconizzato che i maggiori governi occidentali faranno bancarotta sui loro Buoni del Tesoro, i titoli di debito sovrano. Effettivamente, ora che gli introiti tributari diminuiranno drasticamente (per la recessione) mentre occorre sempre più denaro per questi salvataggi e nazionalizzazioni delle banche onde scongiurare la corsa agli sportelli, ciò può avvenire molto presto. Oggi tutti tengono a tenersi denaro liquido, come la forma  più sicura d’investimento; alla fine, può risultare che il liquido è l’investimento a più alto rischio se l’inflazione accelera».

Di per sè, l’immane restrizione del credito in corso, con la drastica riduzione della massa e della circolazione di moneta (della pseudo-moneta creata dalle banche indebitando il prossimo) dovrebbe portare alla deflazione; la Grande Depressione del 1929-39 gelò infatti il mondo nella deflazione.

Il deprezzamento degli attivi «distrugge» denaro circolante; il farsi raro del denaro configura diminuzione della ricchezza, che si traduce in un calo generale dei prezzi e però anche dei redditi. Il meccanismo della deflazione sembra già instaurato, come dimostra il calo di petrolio, grani e metalli, le materie prime strategiche.

Ma questo meccanismo è più che compensato dalla creazione forsennata di moneta ex-nihilo operata dagli Stati, nel tentativo di sostitursi alle banche nel dare liquidità all’economia, e per i programmi di salvataggio. Cifre spese sia per assicurare i prestiti che le banche si fanno tra loro (altrimenti non se ne fanno, nemmeno per un euro), e per ricapitalizzare le banche in difficoltà. Il Tesoro di ogni Paese diventa così comproprietario delle banche. E noi contribuenti europei di fatto siamo oggi tutti comproprietari di banche.

Ma non c’è da brindare: di cosa siamo comproprietari? Dei debiti. I debiti che lo stesso sistema bancario-finanziario considera irrecuperabili, sono ora a carico dei bilanci pubblici, cioè di noi cittadini. A che prezzo?

Dal 13 ottobre, sui 1.700 miliardi di euro per l’insieme della UE: Londra ne ha stanziati 380 miliardi, Berlino 480, Parigi 360. L’Aia 200, Madrid e Vienna 100, Lisbona 20… (l’Italia non ha specificato la cifra: bravo Tremonti)… Quanto agli USA, sono già impegnati per 3 mila miliardi di dollari.

Intendiamoci, queste cifre astronomiche non sono (per ora) pure e semplici perdite gettate nel buco nero aperto dalla finanza criminale. Quanto perderemo noi banchieri-contribuenti dipenderà alla fine dalle perdite vere che le banche subiranno nell’insieme sui loro crediti: ossia da che percentuale di mutui continuerà ad essere pagata, e dal valore finale che avranno gli immobili ipotecati, il cui prezzo cala drammaticamente ma, probabilmente, non sarà nullo.

Il tutto dipende dalla capacità di rimborsare delle famiglie e delle imprese indebitate, in un ciclo di recessione fortissima. più lunga e severa la recessione, più le perdite per i contribuenti europei si avvicineranno ai 1.700 miliardi (per confronto, una tipica «stangata Prodi» vale 35-60 miliardi).

Ancor più, il conto finale per noi cittadini dipenderà dalla solidità delle «controparti». A questa solidità non credono più nè le banche, nè il «mercato», nè alcuno dei protagonisti del sistema finanziario globale che essi hanno creato. Perchè?

Ecco l’argomento-tabù, di cui tutti i responsabili evitano di parlare (2): sul sistema incombe la massa dei derivati senza regole, che ingolfa il sistema. Almeno 55 trilioni di dollari in Credit Default Swap (CDS). La cifra è superiore al PIL di USA, EU e Giappone sommati. E’ ovvio che i governi - e le loro monete - possono essere vaporizzati dall’esplosione di questa bolla.

I CDS sono nati come «assicurazione» contro le obbligazioni cartolarizzate, ossia quelle confezioni di vari mutui, affitti, pagamenti su carte di credito, che sono stati macinati insieme come un insaccato e poi tagliati a fettine e venduti tra banche e a clienti. Queste fette d’insaccato, chiamate obbligazioni appoggiate a mutui, recano un interesse. Ma le banche sapevano bene che erano cose rischiose; sicchè i loro genietti finanziari hanno inventato una «assicurazione» contro il rischio che rappresentavano, i Credit Default Swap.

Ma rispetto all’assicurazione che avete sull’auto, c’è una differenza fatale: questi CDS a loro volta sono stati venduti e comprati. Insomma, sono diventati essi stessi oggetto di speculazione. Se il rischio diminuisce, i CDS diventano meno cari; se il rischio aumenta, rincarano. Con complessi modelli matematici i rischi vengono calcolati in modo continuo, e gli hedge fund ci hanno giocato da matti (3).

L’altra differenza sostanziale è che l’assicuratore non ha i soldi per pagare. Il fallimento Lehman lo ha dimostrato. La banca aveva sottoscritto CDS per 440 miliardi di dollari, che non ha potuto onorare. La settimana scorsa, questi contratti sono stati messi all’asta, e comprati per 8 centesimi per dollaro di valore facciale. Ciò significa che coloro che hanno in mano questi contratti devono pagare la differenza, il 98%, ossia 414 miliardi di dollari.

Ma chi sono i detentori di questi CDS? Nessuno lo sa: Deutsche Bank? Unicredit? Qualche banca asiatica? I fondi sovrani del Dubai? Si sa di certo che solo Barclays Bank e Royal Bank of Scotland hanno in pancia ciascuna 2,4 trilioni di dollari di CDS: più del PIL britannico.

Ecco i prestiti interbancari, come le cartolarizzazioni, si sono bloccati. Tutti sono paralizzati dal terrore e dal non sapere chi dovrà pagare trilioni di dollari, in quali pance sono quei debiti più grossi del PIL dell’Occidente sviluppato.

I ministeri del Tesoro euro-americani hanno dunque esteso la loro «garanzia illimitata» ad un mare di debiti la cui entità è sconosciuta; si sa solo che essa è astronomica.

Dunque, è la solidità delle monete ad essere in questione. Il rischio è stato trasferito dagli speculatori ai contribuenti; non è scomparso, ha solo cambiato di natura.

«L’incertezza della fattura finale», scrive Paul Jorion, «si tradurrà nel migliore dei casi in una pressione sulle monete giudicate deboli, e nel peggiore, nel rifiuto di prestare agli Stati in difficoltà».

Questo chiama in causa soprattutto la nostra Italia, con il suo debito pubblico pari al 104% del PIL. In tempi normali, il debito non viene mai ripagato, ma solo rinnovato: lo stato emette nuovi BOT ad ulteriore scadenza, e gli investitori internazionali continuano a comprarlo perchè rende interessi. Ma oggi, dove sono gli investitori internazionali?

Sono agghiacciati dal terrore, hanno perso trilioni, sono sotto la tenda ad ossigeno, con in bocca il sondino della alimentazione fornito dagli Stati, in condizione di coma depassé.

Chi prenderà i BOT che lo Stato emetterà nei prossimi mesi?

Per adesso, la domanda sembra smentita dai fatti: nella corsa generale alla liquidità, gli italiani stanno sgomitando nel vendere titoli, azioni e quote di fondi bancari per comprare BOT, ritenuti sicuri.

Ragionamento giusto, quando esisteva la lira. Infatti, il debito pubblico italiano allora era costantemente coperto dai cittadini italiani, grandi risparmiatori, che ci mettevano i loro risparmi; lo Stato s’indebitava con i «suoi» cittadini, nella «sua» moneta (che poteva stampare e svalutare).

Con l’euro, il debito pubblico italiano - che rendeva poco - è stato messo alla mercè di «investitori» stranieri: lo ha fatto per primo Ciampi, correndo ad indebitarci con l’estero, perchè a Goldman, o nella Loggia Massonica, gli avevano detto che era più moderno, dato che c’era la globalizzazione. Grazie, padre della patria massonica del Katz.

Adesso il problema è: emettiamo BOT in euro. Da mesi, per renderli appetibili, i BOT italioti devono offrire un interesse superiore ai BOT tedeschi, benchè anche questi siano in euro. Oggi, nell’abisso della crisi, ogni Stato continua ad emettere BOT in euro a interessi diversi, in base alla sua maggiore debolezza; dovrebbe farlo l’Unione Europea, ma non lo fa perchè non ha un ministero del Tesoro.

Jorion si domanda: «Francia e Germania (i presunti Stati solidi) accetteranno di chiedere prestiti a loro nome (emettendo più BOT nazionali) per venire in aiuto degli Stati europei più deboli, Italia, Spagna, Grecia?».

Qualcosa mi dice che si può rispondere tranquillamente di no. Tanto più che la Germania, solida in economia reale, è meno che solida nelle sue banche strapiene di debiti e CDS tossici, a cui ha già staccato un assegno di 480 miliardi di euro (4).

L’Europa non è una «nazione», ma una costruzione burocratica, a cui tutti i Paesi hanno acceduto per convenienza propria, senza alcun caldo entusiasmo, senza alcun impegno a vivere insieme «nella buona e nella cattiva sorte».

Aveva ragione De Gaulle, quando si oppose a un europeismo burocratico, e auspicò la «Europa delle patrie» concepita come «Fortezza Europea». Una comunità di destini che accettavano, poniamo di pagare più cari i loro televisori prodotti all’interno (Philips o Irradio o Telefunken) anzichè quelli Sony: De Gaulle fu sputacchiato, perchè la Loggia voleva un’Europa aperta a tutte le merci estere, senza barriere, sciolta nel mare della globalizzazione. Ora, si vedrà quanto vale come collante solidale l’unione burocratica. L’euro come moneta unica può non sopravvivere a questa prova durissima.

Per l’Italia, questo significa che si può essere costretti ad uscire dall’euro: un’ipotesi a cui si ha paura anche solo pensarla, dato che dovremmo pagare in lire svalutatissime i nostri debiti, che abbiamo contratto in euro «forte».

Ne sa qualcosa la Romania, dove in pochi giorni la moneta nazionale, il Lei, si è svalutato del 30% sull’euro: ma molti contratti ed affitti sono in euro, e i poveri inquilini vengono cacciati dalle case perchè non riescono a pagare, mentre tutto rincara (inflazione).

Lo stesso sta avvenendo per Paesi che non sono inseriti nei grandi insiemi monetari. Il dollaro australiano è calato del 20% rispetto alla yen in una settimana: la sterlina, del 3% rispetto al dollaro, e secondo il Telegraph può subire svalutazioni del 30-40% nel corso della recessione. «Londra può dover di nuovo imporre il controllo dei cambi e dei capitali».

Ci si può rallegrare della vendetta che la realtà impone sull’ideologia: controllo dei cambi e del movimento dei capitali significa tornare all’autarchia finanziaria, dopo tanta «libera circolazione» imposta dal dogma. Ma l’allegria muore, se si pensa che tutto ciò può portarci ad uno Zimbabwe inflazionista.

Non a caso LaRouche sta dicendo ai potenti del mondo: «Finchè non chiudete semplicemente l’intero commercio di derivati, cancellando queste obbligazioni da gioco d’azzardo dai libri contabili del sistema finanziario, state solo prendendovi in giro», perchè i derivati fanno correre il rischio di «una bomba iper-inflazionista, che schiaccerà il sistema finanziario internazionale». E non a caso Tremonti lo riecheggia (più debolmente) sostenendo la necessità di vietare gli hedge fund.

Mi spiace sinceramente di non poter dare notizie migliori. Vorrei tanto.

Non state a guardare le Borse che «si riprendono» dopo i crolli. E’ solo la rana di Volta che guizza perchè le hanno applicato gli elettrodi: ma è morta.

Questi rialzi isterici dimostrano solo come ormai le Borse non abbiano alcun rapporto con la realtà: ci aspettano dieci anni di recessione, o anche di depressione, e i titoli salgono?

Ma mi faccia il piacere, come diceva Totò.




1) P. J. Watson, «Dollar, euro, sterling may be destroyed Zimbave-style», PrisonPlanet, 13 ottobre 2008.
2) Liam Halligan, «Banks must reveal full exposure to subprime», Telegraph, 11 ottobre 2008.
3) Il sofisma logico è stato così spiegato da qualcuno (non ricordo la fonte, cito a memoria). Mettiamo che un tizio vada in banca e dica: prestatemi i soldi per giocare a Las Vegas, ho il 49% di probabilità di vincere. La banca glieli presta, perchè sa di potersi «assicurare» contro il rischio acquistando un derivato. Va da un’altra istituzione finanziaria e propone: mi copri il rischio? é solo del 2% (la differenza fra 51, le probabilità che il debitore perda al casinò, e 49, le probabilità che vinca). La nuova istituzione finanziaria ci sta: chiede un margine di 1,50, perchè a sua volta si riassicura presso una terza istituzione finanziaria per il suo inferiore margine di rischio. E così via, di derivato in derivato. Ovviamente, alla base di questo trionfale smercio speculativo c’è uno che gioca al casinò e che, se perde (ha il 51% di probabilità di perdere), perde «tutto», mica solo 2. Agli economisti che hanno elaborato questo tipo di «modelli», nei decenni scorsi, sono stati decretati infiniti premi Nobel. Ora l’Accademia di Svezia lo dà a Paul Krugman, uno di buonsenso: un po’ tardi.
4) Paul Jorion, «tous banquiers», ContreInfo, 13 ottobre 2008. «Mai prima I G-7 avevano dato prova di tanta generosità.
Molte nazioni emergenti hanno dovuto attraversare questo tipo di crisi. Ma non s’è mai dato di fornir loro liquidità «illimitate» per aiutarli a superare il brutto momento, e gli argentini se lo ricordano bene». Per le nostre amate banche e i nostri pagatissimi banchieri, che meritano l’impiccagione stile Norimberga, risorse statali «illimitate».


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