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Sospetti USA su Sion?
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Michael Hayden, il capo della CIA, era a Beirut lo scorso giovedì, a parlare con i più alti gradi civili e militari del governo libanese. Si sa poco o nulla dei temi dell’incontro, semi-segreto, riportato solo dal giornale locale As-Safir, e da un sito libanese, Elnasrah.com (1).

«Secondo una fonte informata, la visita di Hayden è servita a raccogliere la maggior quantità possibile di dati d’intelligence nel minor tempo possibile, dato che molti servizi di spionaggio esteri hanno una stabile presenza nel Paese», scrive il sito web: «La posizione del Libano tra Siria e  Israele è importante in quanto gli USA cercano di difendere la sicurezza di Israele ad ogni costo».

Un viaggio tanto più enigmatico in quanto avviene a poche settimane dall’uscita di Bush jr., ormai imminente. E contrasta con altri eventi, che possono far pensare ad un cambiamento di attitudine, negli ambienti dell’intelligence americano, verso il piccolo popolo eletto, forse in preparazione ad una nuova presidenza e a un nuovo «stile» presidenziale.

Sembra dimostrarlo l’uscita dell’ultimo libro di Jame Bamford (un giornalista della ABC con forti agganci nei servizi), «The Shadow Factory: the ultra-secret NSA from 9/11 to the eavesdropping on America». In esso, si parla del National Security Agency (NSA, appunto) come del servizio di spionaggio più oscuro e meno controllato degli USA, che spia e intercetta ogni tipo di comunicazione (eavesdropping) con il sostegno di aziende tecnologiche israeliane, che sono emanazioni del Mossad (2).

Bamford rievoca fra l’altro un fatto avvenuto nel 2006. Allora una ditta israeliana chiamata «Check Point Software Technologies», specializzata nel proteggere reti di computer da intrusioni di hacker e di ladri di dati, cercò di acquistare l’americana «Sourcefire», che opera nel medesimo settore. Il vantaggio per l’acquirente: «Sourcefire» ha tra i suoi maggiori clienti il Pentagono e la NSA.

L’apposita Commissione per gli Investimenti negli Stati Uniti impedì l’acquisizione, dimostrando - in base a dati forniti dall’FBI - che il fondatore della «Check Point», Gil Shwed, e i suoi più diretti collaboratori appartenevano alla Unità 8.200 della Israeli Defense Force specializzata in hackeraggio, intercettazioni e intrusione nei computer (l’equivalente sionista della NSA), e mettendo le mani su «Sourcefire» avrebbero avuto accesso a segreti americani del più alto livello, che avrebbero passato ad Israele (3).

Ma questo è solo l’inizio.

Il giornalista prende seriamente a partito la National Security Agency, dimostrando come l’agenzia avesse intercettato mail e telefonate dei supposti dirottatori dell’11 settembre, e tuttavia non avesse avvisato del pericolo. Con la scusa, poi avanzata, che applicava le leggi a protezione della privacy dei cittadini.

Bamford ricorda anche un episodio gustoso accaduto poco prima, nell’aprile 2000: quando davanti ad una Commissione del Congresso il direttore generale della NSA disse: se in questo stesso momento bin Laden attraversasse il Ponte della Pace (quello che unisce USA e Canada sopra le cascate del Niagara), «i miei uomini dovrebbero rispettare i suoi diritti».

S’intende che dall’11 settembre, in base ai decreti d’emergenza di Bush, gli uomini della NSA ascoltano a tutto spiano, e senza mandato, miriadi di comunicazioni private; con un particolare interesse - più che per le conversazioni fra terroristi possibili - per quel che dicono giornalisti, militari e ufficiali anche in servizio in Iraq.

E’ interessante sapere chi era quel direttore della NSA così  ligio alle leggi nel 2000: era Michael Hayden, l’attuale capo della CIA, e visitatore a Beirut per il bene di Israele. Il che non stupisce quando si sappia che, fra le proteste di altre agenzie come la DIA, la DEA e il Dipartimento di Stato, la NSA, si fa aiutare nelle intercettazioni da due aziende israeliane che hanno avuto una parte molto sospetta l’11 settembre: la «Verint» (allora si chiamava Comverse Infosys) e la Amdocs.

Entrambe operano sotto contratto per il governo americano e la NSA, e ne formano la punta di lancia nelle auscultazioni di spionaggio interno ad alta tecnologia. Entrambe, benchè formalmente private, sono fortemente finanziate dallo Stato israeliano; entrambe hanno agito in modo da occupare l’intero mercato mondiale dello spionaggio telefonico e giudiziario per conto di governi stranieri; entrambe sono affollate, dai vertici alla  base, da esperti usciti dal Mossad e dallo Shin Bet, e dai vari enti di spionaggio militare di Sion.

La Verint è leader mondiale nella «intercezione elettronica», ed offre i suoi servigi a centinaia di magistrature e Polizie del mondo (collabora anche con la nostra Telecom). Amdocs è il leader mondiale della fatturazione: emette le bollette telefoniche per centinaia di compagnie telefoniche, fra cui tutte (meno una) le più importanti telefoniche USA.

Più volte le polizie americane, e persino l’FBI, hanno segnalato che le due aziende usano «trappole criptate» (encrypted trapdoors) nascoste nei loro software proprietari, e così succhiano informazioni che mandano non solo ai colleghi in quel di Giuda, ma anche al crimine organizzato in USA (la mafia ebraica esiste, ma non lo dite a nessuno) (4).

Da notare: nel 2007, la Amdocs ha dichiarato profitti per 2,8 miliardi di dollari. E’ il bello del giud**mo: guadagnare spiando, a spese degli spiati.

Robert D. Steele, ex alto agente della CIA, conclude: «Questa penetrazione israeliana nell’intero sistema di telecomunicazioni USA significa che le intercettazioni che la NSA fa senza mandato sono le intercettazioni senza mandato di Israele».

«La vulnerabilità delle nostre telecom è un fatto indiscusso», dice un altro agente (in servizio, dunque anonimo): «Come accada, perchè non si faccia nulla per impedirla, chi l’ha fatto, queste sono domande incendiarie».

Il motivo è noto: quel piccolo popolo ha già tanto sofferto, è in pericolo nella sua stessa esistenza, e inoltre in Occidente non si diventa governanti se non si indossa almeno una volta la kippà, per la photo-opportunity.

Eppure ancora nel 1999 la NSA ebbe il coraggio di segnalare ufficialmente che le telefonate del governo USA, Casa Bianca compresa, finivano nelle mani di «entità straniere».

Nel 2002 Robert F. Diegelman, assistente dell’Attorney General, fece una comunicazione sull’argomento al capo della Information Technology (IT) del dipartimento di Giustizia, ma «for your eyes only», ossia: leggilo solo tu. Diegelman ricordava al responsabile, con tono molto duro, che esisteva una circolare interna («640.2 D Information Technology Security») la quale dettava quanto segue: «Elementi stranieri non devono essere autorizzati ad accedere o ad assistere nello sviluppo, nell’operatività, nella gestione e nella manutenzione dei sistemi IT del Dipartimento».

La circolare era stata diramata due mesi prima dell’11 settembre, e veniva già violata. Da chi?

«Ho sentito dire che gli israeliani ascoltano le nostre telefonate», dichiara un anonimo procuratore del Dipartimento di Giustizia, specializzato nel perseguire delitti elettronici. Ha sentito dire.

Philip Giraldi, uno dei più alti dirigenti della CIA nella specialità del contro-spionaggio, ora che è a riposo, diventa più preciso: Israele è seconda solo alla Cina nei suoi sforzi per rubare segreti industriali americani.

«Israele ha un programma attivo per raccogliere informazioni brevettate all’interno degli USA. Queste attività sono dirette primariamente a captare informazioni sui sistemi d’arma e sulle applicazioni computeristiche avanzate che possono essere applicate nella notevole industria militare israeliana».

Ciò perchè alla Verint è stato affidato, per contratto, tutto il lavoro delle intercettazioni ordinate dai magistrati e dalla polizia.  «Le telefonate», dice Giraldi, «sono intercettate, registrate e trasmesse dalla Verint, che le passa poi agli investigatori».

Ma le tecnologie e il software che usa la ditta ebraica sono segrete, e Giraldi è sicuro - avendo ricevuto molte segnalazioni da ex colleghi e da agenti in servizio - che nel software è inserito un «trojan», appositamente creato perchè qualcuno, anche da remoto, acceda a settori «sicuri» di memorie e reti. Si noti che la Verint svolge lo stesso servizio (chiamiamolo così) a 50 altri governi, complici o stupidi, del mondo occidentale (5).

Philip Zimmerman, uno dei pionieri della tecnologia della criptazione (è l’inventore di un sistema di autenticazione crittografica, il PGP, che è diventato uno standard) dice: «Io non mi fiderei di affidare la sicurezza dei nostri dati a tecnologie fatte all’estero. Un agente della sicurezza informatica alla NSA mi ha detto: la criptologia fatta all’estero è il nostro incubo. Ma siccome la nostra industria elettronica è diventata sempre più marginale, affidarsi all’estero è diventato inevitabile. All’annuale riunione della International Association  for Cryptological Research, i partecipanti israeliani sono più numerosi di ogni altra nazionalità».

Nei tragici giorni seguiti all’11 settembre, un solo giornalista sollevò la questione dello spionaggio israeliano interno agli USA: Carl Cameron, della Fox News. La sua coraggiosa inchiesta in quattro puntate, subito fatta sparire dai siti della Fox, è diventata un classico nelle letteratura alternativa sull’11 settembre.

Cameron parlò della Comverse Infosys, del fatto che «molte agenzie di Stato avevano espresso grave preoccupazione per il fatto che troppe persone non autorizzate e non incaricate dell’ordine pubblico avevano accesso al sistema di intercettazione»; parlò del «trojan» e della possibilità che lo spionaggio israeliano aveva di curiosare nelle comunicazioni americane con la scusa della «manutenzione remota».

Unico risultato delle rivelazioni di Cameron: immediatamente, la Comverse Infosys ha cambiato il nome in Verint. E ovviamente non ha imposto al giornalista alcuna rettifica, men che meno lo ha minacciato di querela.

Già dal 1997 dirigenti della DEA (l’antidroga USA) avevano notato che il loro ente - che prima usava un sistema di intercettazione creato e gestito in proprio - aveva in quell’anno cambiato tutto: aveva acquistato e adottato una tecnologia della Comverse Infosys detta T2S2 (la sigla sta per «translation & transcription support services») in cui la ditta del Mossad forniva l’hardware e il software, e inoltre - secondo contratto - «i servizi di supporto, addestramento, miglioria» e manutenzione.

Subito dopo, gli agenti della DEA ebbero la sensazione che i criminali spacciatori di droga della mafia ebraica conoscessero in anticipo le mosse degli investigatori. La DEA, per questo servizio, ha pagato alla Comverse 25 milioni di dollari. La tecnologia T2S2 è stata acquistata anche dagli olandesi. E il controspionaggio olandese ha reso noto - invano - nel novembre 2002 che «esistono forti indizi che i servizi segreti israeliani abbiano accesso incontrollato ai dati riservati di intercettazioni raccolti dalla Polizia e dall’intelligence del Paese».

Ne parlò la radio privata dei Paesi Bassi, «Evangelische Omroep», nel gennaio 2003, in una trasmissione intitolata: «La stanza olandese delle intercettazioni non è kosher». La informazione fu ripresa e ampliata dalla principale rivista olandese di elettronica e computers, «c’t». L’autore, Paul Wouters, notava che il codice-fonte (source-code) del T2S2 fornito dalla Verint «non era accessibile a nessuno» tranne che al personale della Verint.

Insomma, non si sapeva che cosa c’era dentro, se c’erano «trapdoors» che consentivano l’ascolto remoto e il furto di dati, se il «generatore random» (necessario a creare la criptazione) era adeguato o «intenzionalmente fallace»; soprattutto, non si poteva verificare quanto sopra. E le autorità olandesi avevano accettato questa limitazione per contratto...

«Non ci si può fidare di un programma di criptazione se il codice-fonte non è pubblicato», dice giudiziosamente il pioniere del settore Philip Zimmerman: «La fonte aperta significa due cose: che puoi controllare se si sono o no inserite nel sistema di criptazione delle ‘porte posteriori’; se ci sono difetti (bug) non volontari. Puoi anche capire se quei punti deboli sono messi lì apposta o accidentali. Ovviamente, se i punti deboli sono messi deliberatamente, chi l’ha fatto non vuole pubblicare il codice-fonte».

E la Amdocs?  Appena un cittadino americano alza il telefono e fà il numero, la Amdocs lo sa, e registra - se non il contenuto della telefonata - a chi è diretta e quanto è durata: serve per emettere le bollette telefoniche, ciò che la Amdocs fa sotto contratto per le telecom, fra cui le due più grosse, AT&T e Verizon.

Da anni, l’FBI ha vanamente indagato la Amdocs per spionaggio a favore di Israele e del crimine organizzato ebraico. Dal ‘97, gli agenti federali hanno condotto un’ampia indagine su un dipendente della Amdocs, isrealiano, che lavorava ad un programma di fatturazione... della CIA! Questo personaggio avrebbe anche reso possibili le intercettazioni del telefono del presidennte Clinton alla Casa Bianca.

La cosa saltò fuori quando Monica Lewinsky, davanti al procuratore speciale Ken Star che voleva incastrare Clinton con lo scandalo sessuale, testimoniò quanto segue: il presidente mi aveva avvertito che «un’ambasciata estera» ascoltava le loro roventi telefonate. Sotto giuramento, Bill Clinton negò di aver mai detto una cosa del genere. E la faccenda tornò ad essere seppellita.

La rivista Insight Magazine tirò di nuovo fuori la storia nel maggio 2000. Raccontando come il personaggio israeliano sospettato dai federali fosse stato trovato, dai federali stessi, in possesso di «numeri telefonici di estrema delicatezza, comprese le linee ‘nere’ usate dall’FBI per le intercettazioni giudiziare e contro-spionistiche più riservate. Aveva persino le linee che l’FBI usava per tenere sotto controllo sospette azioni di spionaggio israeliane».

I federali chiesero un mandato d’arresto per questo dipendente della Amdocs. Stranamente, il Dipartimento della Giustizia lo negò, e l’ha sempre negato. L’israeliano è oggi uccel di bosco.

Nello stesso maggio 2000, nel pieno del «Levinsky-gate», un giornalista ebreo di nome Uzi Mahnaimi scrisse per il Sunday Times di Londra un reportage, in cui spiegava come anche le email del presidente Clinton venivano in possesso dell’intelligence giudaico. Il sistema di comunicazioni della Casa Bianca era affidato alla Nortel, una ditta americana con tutti i clearing del caso. Questa però aveva sub-appaltato parecchio del riservatissimo lavoro ad una ditta più piccola, la Telrad, ampiamente infiltrata da agenti del Mossad.

Dopo l’inchiesta sulla fuga di informazioni riservate, i dirigenti della Nortel «dissero di non aver mai saputo che dei circuiti elettronici praticamente impossibili da scoprire erano stati installati durante la messa in opera dell’impianto; erano quelli a rendere possibile per agenti remoti di succhiare il flusso di dati in partenza dalla Casa Bianca».

La polizia di Los Angeles - il leggendario LAPD celebrato da tanti telefilm - scoprì nel 1997 che tutte le sue indagini sulle attività criminali della mafia ebraica (essenzialmente spaccio di droga a New York, Miami, Las Vegas e l’Egitto; estorsioni a Los Angeles; riciclaggio, assassinio, frodi su carte di credito, eccetera) erano perfettamente note in anticipo alla stessa mafia ebraica. Anzi, l’organizzazione di delinquenti di Sion era in possesso dei numeri riservati, anche cellulari, dei 500 agenti della squadra-narcotici del LAPD, di quelli degli informatori e degli inquirenti sotto copertura.

Si constatò persino che erano i criminali ad intercettare le conversazioni che gli agenti di Los Angeles tenevano - su linee protette - con i colleghi della DEA e dell’FBI. La scoperta diffuse il panico fra le agenzie di esecutori della legge. DEA, FBI e CIA aiutarono la LAPD a cercare di risalire alle fonti della spaventosa rottura della sicurezza.

L’indagine-monstre arrivò alla porta di una piccola ditta, J&J Beepers, come fonte del furto di  informazioni e numeri riservati. La ditta ricavava i numeri applicando un particolare software al servizio di fatturazione fornitogli - guarda guarda - dalla Amdocs. La semplice lista delle telefonate in partenza di un intero dipartimento di polizia può infatti fornire - a chi se ne intende - una quantità di informazioni spionistiche assai interessanti; le frequenze di chiamate a certi numeri sono molto significative, e non è difficile risalire a quei numeri che sono «neri» e non appaiono su alcun elenco aperto.

Fu perseguita la Amdocs? No. Il motivo l’ha spiegato al giornalista Christopher Ketcham un agente della CIA che ha voluto rimanere anonimo: «Chi ha fatto domande sulla Verint e Amdocs si è trovato attaccato da tutti i lati nel suo stesso ufficio. Quando si scopre che un agente sta facendo un’indagine su queste due ditte, viene immediatamente bollato come piantagrane, istigatore, ed è schiacciato senza pietà. Viene messo in una condizione in cui è minacciata anche la sua pensione, se non peggio. Come minimo, sei identificato come un filo-arabo e un anti-semita».

Ora, nell’imminenza della transizione presidenziale, una quantità di agenti ed ex agenti, coscienti della intoccabile questione, danno segnali di volerla riportare all’attenzione del nuovo presidente. Ma ci riusciranno?




1) «Mistery surrounds CIA chief Lebanon trip», Haber27.com, 19 ottobre 2008.
2) James Bamford ha scritto vari libri sulla National Security Agency. Il primo «The Puzzle Palace: Inside the National Security Agency, America’s Most Secret Intelligence Organization», gli ha fruttato una minaccia di essere trascinato in giudizio per rivelazione di segreti di Stato. Il secondo  «Body of Secrets: Anatomy of the Ultra-Secret National Security Agency», è stato invece molto apprezzato dalla NSA. Questo terzo lo riporterà probabilmente alla prima casella. Bamford è uno dei qualificati addetti all’informazione che non credono alla versione ufficiale sull’11 settembre.
3) Yossi Melman,  «Is Israel’s booming hi-tech indusstry a branch of the Mossad?», Haaretz, 19 ottobre 2008.
4) Il  capostipite più famoso della mafia ebraica è Meyer Lansky (vero nome Suchowlinski, ebreo-polacco), contemporaneo di Al Capone, potente quanto lui, ma molto meno citato. Oggi la mafia ebraica americana collabora attivamente con la consorella mafia ebraica russa; le sue attività beneficiano dell’anonimato finanziario consentito dalla comunità che commercia in diamanti a New Yorl, perchè questi piissimi ebrei ortodossi usano solo contanti nel loro particolare (e miliardario) commercio. L’ideale per il riciclaggio di denaro sporco. Va detto i confini tra criminali ebrei e rispettabili miliardari ebrei è alquanto sfumato. La famiglia di Edgar Bronfamn (Seagram Whisky) che è stato capo del Congresso Ebraico Mondiale, si è arricchita contrabbandando alcolici dal Canada durante il Proibizionismo; della distribuzione si occupavano Lansky e i suoi picciotti, attraverso la loro rete di locali e bordelli. Si veda «The Jewish mob in America», del dottor William Pierce, www.natvan.com, agosto 2000.
5) Christopher Ketcham, «An Israeli Trojan horse - How Israeli Backdoor Technology Penetrated the U.S. Government’s Telecom System and Compromised National Security» Counterpunch, 28 settembre 2008.


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