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Come liberare gli americani dai loro oppressori?
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L’ultima (per il momento) impostura di Goldman Sachs l’ha rivelata il New York Times: la mega-banca d’affari ha confezionato un ennesimo titolo derivato basato su ipoteche dubbie – un altro subprime –, avendo cura di farlo tanto sofisticato da renderlo incomprensibile; lo ha venduto a clienti, per lo più Fondi-Pensione, sostenendo che era solido come una roccia, come dimostrava il rating AAA; ma intanto, Goldman scommetteva sul crollo di quello stesso titolo, facendone «vendita allo scoperto» (short selling nel gergo di Wall Street) e più precisamente comprando una assicurazione finanziaria (CDS, Credit Default Swap) per «assicurarsi» contro la rovina di quel titolo che aveva rifilato a terzi: a Wall Street si può assicurare il valore di un bene che è posseduto da altri.

Poi è bastato a Goldman attendere qualche mese, il tempo perchè il titolo rivelasse tutta la sua insolvenza, rovinando i creduli clienti di Goldman che l’avevano comprato. Goldman invece ha incassato la cosiddetta assicurazione, guadagnandoci milioni.

E il bello è questo: che il New York Times si domanda se questa sia una frode, e ne dubita. Nel liberismo selvaggio, la manovra è lecita, anche se ha «messo l’interesse della banca in contraddizione manifesta con quello dei suoi clienti».

Bisognerebbe dimostrare che Goldman Sachs ha creato «deliberatamente» questi titoli confezionandoli con ipoteche rischiose, sull’orlo dell’insolvenza, apposta per far perdere ai suoi clienti (compratori incauti di quel titolo) miliardi di dollari e guadagnarci su nell’implosione del mercato immobiliare. Cosa difficile da dimostrare per gli inquirenti, perchè quei titoli (detti «syntethic CDO», obbligazioni sintetiche appoggiate a debito) sono stati emessi fra il 2005 e il 2007, nella grande bolla immobiliare-finanziaria collassata con quella dei subprimes. La cosa è tanto più difficile, in quanto i CDS sintetici non sono in alcun modo regolamentati, e non appaiono negoziati, dunque valutati, in nessun mercato.

Ancor più difficile stabilire se tali pratiche siano illegali, perchè – nonostante le promesse di Obama – le leggi di riforma della finanza saccheggiatrice non sono ancora nemmeno discusse dal Congresso. E quando e se una qualche debole regolamentazione sarà varata, sicuramente  non vieterà alle banche d’affari di condurre operazioni per proprio conto, benchè siano in chiaro conflitto d’interessi coi clienti – che infatti hanno rovinato, come hanno rovinato i lavoratori che avevano affidato la loro vecchiaia ai suddetti Fondi-Pensione e l’economia globale in genere.

Il New York Times ci informa che Goldman Sachs non è stata la sola a spacciare titoli guasti per poi puntare contro di essi. Lo hanno fatto anche Deutsche Bank (tramite un suo operatore chiamato Lippman), Morgan Stanley, e «varie piccole ditte come Tricadia Inc, una banchetta d’investimento controllata da Lewis A. Sachs, l’uomo che quest’anno è diventato consigliere speciale del segretario al Tesoro Timothy Geithner».

Dunque un Sachs spaccia titoli di insolventi, si assicura contro di essi, e inoltre è consigliere del Tesoro USA. Non c’è bisogno di chiedersi perchè il governo americano non vari riforme per regolamentare la speculazione selvaggia, nè metta in galera i malfattori. Dovrebbe mettere in galera il ministro del Tesoro e i suoi «consiglieri-Sachs». (Banks Bundled Bad Debt, Bet Against It and Won )

Veniamo a Citigroup, la terza banca americana. Che nel 2008 ha ricevuto decine di miliardi di dollari dal governo USA (il famoso programma TARP: 700 miliardi di dollari dei contribuenti con cui il Tesoro ha acquistato dalle banche «attivi tossici» come fossero oro, per salvarle). L’accesso ai fondi TARP però aveva – per i banchieri – un inconveniente: i compensi ai manager (i famosi bonus miliardari) sono soggetti a restrizioni, almeno finchè la loro banca detiene questi soldi pubblici. Il 16 dicembre, Citi lancia un aumento di capitale, emettendo 20 miliardi di azioni, al solo scopo (scrive la Reuters) «di ripagare i fondi che deve al governo e così evitare le limitazioni dei compensi ai manager».

In un capitalismo vagamente normale, gli aumenti di capitale si fanno in vista di acquisizioni, per fare le quali si chiede denaro agli azionisti. Nel caso di Citi, il solo scopo è di rendere liberi i suoi banchieri di pagarsi i bonus che vogliono, nonostante gestiscano banche tecnicamente in bancarotta.

Gli azionisti di Citi non hanno accolto bene l’operazione: le azioni Citi che già detengono vengono diluite dall’aumento di capitale, e valgono di colpo il 20% in meno; ed hanno già perduto valore a precipizio nei mesi scorsi. Sicchè l’offerta di nuove azioni Citi incontra ben poca domanda, e si comprano ad un prezzo molto inferiore ai 3,15 ad azione che Citi sperava.

I piccoli e grandi azionisti privati (i soliti Fondi-Pensione, le vittime designate) sono imbufaliti. Ma non è imbufalito l’azionista più grosso di Citi, che è il governo USA. Esso ha versato a Citi i fondi TARP in cambio di azioni, e ora possiede un terzo di tutte le azioni della superbanca. Un pacchetto che ad ottobre valeva 40 miliardi di dollari, e che con l’aumento di capitale Citi si trova un valore di 24,2 miliardi. Anzi, il Tesoro USA aveva volonterosamente partecipato alloperazione, mettendo in vendita 5 miliardi di dollari in azioni Citi. Data la scarsa domanda, ha dovuto rinunciare. Ci riproverà fra novanta giorni: deve pur aiutare i manager a riprendersi i bonus miliardari dei tempi belli. (U.S. delays its $5 bln Citi sale after weak pricing)

Ma non basta. Un giorno prima, il 15 dicembre, il Tesoro USA aveva rinunciato a pretendere da Citi 38 miliardi di dollari di imposte, in modo che con quei soldi Citi potesse più facilmente ripagare i fondi TARP.

«Altrimenti Citi non ce la farebbe», dice il Washington Post. Il quale riporta i malumori di un consulente fiscale di nome Robert Willens: «Mi occupo di tributi da 40 anni e non ha  mai visto nulla di simile: il governo che rinuncia deliberatamente ad introiti fiscali».

C’è spazio per la protesta di un anonimo esponente repubblicano, che dice nei corridoi del Congresso: «Stanno manipolando le leggi tributarie in modo che il valore di mercato delle azioni (Citi) sia più alto di quanto sarebbe sotto le norme correnti; gonfiano i profitti che Citi pretende di aver ottenuto valendosi dei fondi TARP e abbelliscono i conti».

Va notato fra parentesi che Citi fa pagare interessi del 26% sulle sue carte di credito, e tuttavia non riesce a stare a galla senza i trucchi e le complicità del governo. (U.S. gave up billions in tax money in deal for Citigroup's bailout repayment)

Offriamo questi eventi alla riflessione di quei settori italioti che si sono scagliati contro lo scudo fiscale di Tremonti, bollato come «regalo agli evasori»: in America, lo Stato – il modello che da decenni ci fa lezioni sulle buone regole del capitalismo, la trasparenza, la buona amministrazione anche fiscale – compie evasioni fiscali colossali, sottraendo agli altri contribuenti 38 miliardi di dollari per beneficiare i soli manager delle banche. Lo scudo fiscale di Tremonti almeno ha fruttato 4 miliardi di euro in tasse, e ha fatto rientare nel Paese 80-90 miliardi. Il Tesoro USA ha fatto il contrario. E vogliamo parlare del «conflitto d’interessi» di Berlusconi, quando in USA è un Sachs, coinvolto nelle truffa dei subprime e nelle altre frodi qui illustrate, a dettare al governo come regolamentare la speculazione?

E non basta ancora. Sulla rete circola una voce non controllata, nè controllabile, di gravissima entità. In breve: Hong Kong si è data recentemente dei mezzi per diventare un centro dei traffici in oro fisico, fra cui un caveau di massima sicurezza, simile per ermeticità al mega-forziere del London Bullion Market Association, la grande e primaria piazza mondiale per i metalli preziosi.
Ebbene: ad Hong Kong sono comparsi lingotti da 400 once che non erano oro, ma pani di tungsteno placcati oro. Un trucco reso possibile dal fatto che il tungsteno ha una densità e quindi un peso quasi uguale al metallo giallo. Ben 60 tonnellate metriche di presunto oro si sarebbero rivelate tungsteno placcato. Il che è alquanto sospetto, dato che giusto ai primi di settembre Hong Kong (ossia la Cina) ha ritirato tutti i suoi depositi di oro fisico dal caveau di Londra. (Hong Kong recalls gold reserves, touts high-security vault)

Sicchè, secondo le voci della rete, le autorità cinesi hanno condotto una silenziosa indagine. Ecco quel che avrebbero scoperto: «Circa 15 anni fa, durante l’amministrazione Clinton, tra 1,3 e 1,5 milioni di lingotti di tungsteno da 400 once furono placcati in oro da un fonditore tecnicamente molto avanzato in USA. 640 mila di questi lingotti di tungsteno che sembrano oro sono stati spediti a Fort Knox dove restano ancor oggi».

Se c’è la minima probabilità che questa storia sia vera, si tratta della più grande impostura finanziaria della storia, commessa direttamente dal governo degli Stati Uniti. Una simile quantità di falsi lingotti al tungsteno non può essere stata falsificata senza l’ordine della Banca Centrale americana (allora governata da Alan Grennspan) e dai ministri e consiglieri speciali dell’amministrazione Clinton, Robert Rubin e Lawrence Summers.

Non sapremo mai se si tratta di una leggenda urbana, perchè Pechino non confermerà certo di avere in cassaforte dei lingotti falsi Made in USA; e la conferma che nelle Banche Centrali del mondo ci sono lingotti di tungsteno placcati basterebbe da sola a provocare una crisi finanziaria mostruosa, e sarebbe un casus belli da terza guerra mondiale. Tutti stanno in silenzio, tremebondi, e si adoperano a coprire l’immane frode (1).


Però la notizia è credibile.

Le Banche Centrali e i grandi operatori che trafficano in oro, come sappiamo, di rado se lo fanno consegnare fisicamente. Per lo più, l’oro di vari Paesi è conservato a Fort Knox; gli «scambi» non sono altro che un cambiamento di cartellino su un cumulo di pesantissimi lingotti. Quel che viene dato ai compratori è un certificato-oro, GLD ETF, che lo assicura che quell’oro esiste davvero (i lingotti hanno punzonature e marchiature identificative, e sono elencati uno per uno  in speciali registri).

Ora, da tempo si sospetta che gli ETF oro in circolazione siano molti, molti di più dell’oro fisico conservato a Fort Knox e a Londra per conto dei proprietari. Sono, si può dire, come assegni scoperti. Il sospetto è diventato più forte negli ultimi tempi, visto che i cinesi si sono fatti consegnare il loro oro conservato a Londra, e che l’India s’è affrettata a comprare 200 delle 400 tonnellate d’oro messe in vendita dal Fondo Monetario Internazionale, facendoselo pure consegnare fisicamente: si può immaginare con quanta ansia le autorità indiane stiano oggi facendo saggiare quei lingotti.

Di recente, gli operatori del settore hano notato alcune inquietanti irregolarità: in ottobre, almeno una Banca Centrale (pare la Banca d’Inghilterra) ha «aiutato» J.P. Morgan e Deutsche Bank a risolvere una negoziazione in cui queste banche avevano venduto oro allo scoperto, e che non avevano al momento della consegna. (Gld ETF Warning, Tungsten Filled Fake Gold Bars

Niente di più facile di una simile grande impostura. Fort Knox conserva dei cumuli di lingotti, che non sono solo del governo americano ma di altri governi; una parte dei lingotti non sono altro che tungsteno placcato. La truffa importa poco finchè il falso oro rimane lì, e ciò che si scambiano gli operatori sono certificati attestanti il  deposito aurifero; diventa imbarazzante quando tanti, tutti insieme, chiedono di farsi consegnare fisicamente il metallo. Allora accade di dover consegnare, mescolato a lingotti veri, del tungsteno.

In fondo, è la stessa frode fondamentale da cui nascono le banche: il credito frazionale, prestare denaro in quantità dieci volte superiore a quello dei depositi. In fondo, così cominciò: quando gli orefici ebrei (Goldsmith) presso i quali era depositato oro dei clienti, rilasciarono ai clienti certificati di deposito; certificati scambiabili, più sicuri e trasportabili dell’oro fisico. Ma presto i gioiellieri Goldsmith si accorsero che potevano emettere una quantità di certificati superiore alla quantità di oro che conservavano: tutto denaro contante per loro, la prima moltiplicazione di ricchezza di carta, la nascita della banca che «lucra gli interessi dal denaro che crea dal nulla».

In qualche modo, siamo tornati all’origine. Ma qui è lo Stato americano, il super-Stato, unica potenza rimasta, irta di tutti i suoi missili e portaerei e testate nucleari, a «falseggiare la moneta» e a spacciare similoro. Quella superpotenza che, dall’alto della sua superiore moralità, tiene arroganti lezioni alla Russia e alla Cina sulla necessità di «rispettare i diritti umani», la «trasparenza» negli affari di Stato, e l’ampliamento della «democrazia», è la stessa che rifila a Pechino falsi lingotti.

Questo pone un problema inaudito, e difficile persino da enunciare: che cosa fare con uno Stato che si comporta così? Che dopo aver trascinato l’economia mondiale in un disastro immane, continua a negare i principii stessi che proclama e che vuole imporre al mondo? Che vive di impostura e di evasione dagli obblighi internazionali a cui richiama gli altri, che tradisce la fiducia dei suoi partner mondiali  in questo modo?

Se a comportarsi così fosse, poniamo, l’Iran, la risposta sarebbe pronta: durissime sanzioni, messa al bando dalla comunità internazionale, e ovviamente intervento bellico per «liberare» gli iraniani dal regime che li opprime e li manda alla rovina. Sono discorsi che si fanno tutti i giorni, per l’Iran. Ma per l’America?

Verrà in giorno in cui il mondo dovrà liberare gli americani dai tiranni che li opprimono. La cosa è semplicemente impensabile, visto che lo Stato canaglia è anche la prima superpotenza atomica mondiale. Nessuno lo vuole fare, contando i sacrifici, le perdite e le rovine che l’impensabile produrrebbe; ma sono proprio le guerre che nessuno vuol fare quelle necessarie. Oggi domina il mondo un potere assolutamente criminale, onnipotente in armamenti, che si è preparato proprio per la Terza Guerra Mondiale. Dove trovare un liberatore?

Perchè là c’è un popolo oppresso, un popolo che invoca la liberazione, e non riesce a liberarsi da solo. La liberazione è quel che invoca l’autore di un sito economico molto buono, il Washington’s  Blog:

«Le banche giganti stanno trattando noi, il Cittadino Americano, come un loro dipendente; tengono in ostaggio l’economia, ci derubano dei nostri depositi e li usano per speculare in giochi d’azzardo da casinò. Le banche hanno comprato il Congresso e la Casa Bianca. Saremo capaci di debellare questa impostura senza valore, o permetteremo alle banche fallite come Goldman Sachs, JP Morgan e Citigroup, che già hanno predato miliardi di dollari dei contribuenti, di farsi una fortuna con queste truffe a spese nostre? Saranno in grado gli americani di esercitare la loro sovranità, o diventeremo servi di una monarchia bancaria inamovibile?». (Will Americans Reclaim Our Nation in 2010 From the Thugs and Con Artists?)

Come resistere a un simile grido di dolore?

Oltre Atlantico un popolo geme sotto un potere illegittimo, che lo rovina, lo manda in guerra, lo priva delle sue libertà; soffre sotto il tallone della più inaudita dittatura mai vista, quella dei finanzieri che hanno occupato il governo legale.

Il mondo si mobilitò per liberare gli italiani dal fascismo e i tedeschi dal Terzo Reich, non badò a spese e sacrifici, a sangue e distruzioni per restituirci la libertà (2). Vero è che quando si trattò di liberare gli ungheresi e i polacchi dal giogo sovietico, il mondo seppe resistere molto meglio ai gridi di dolore...

Ma il problema è posto, e un giorno si porrà concretamente: come liberarci dell’ultimo super Stato canaglia rimasto, la cui ideologia totalitaria – chiamata liberismo globale – ci sta facendo affondare nella fame e miseria?




1) Sia qui onorata la memoria del solo statista che osò sfidare la superpotenza truffatrice: Charles De Gaulle, nel 1971, visto l’eccesso di debito pubblico americano sotto Nixon, fece ritirare l’oro della Francia conservato a Fort Knox, e più precisamente comprò oro dagli USA pagando in dollari USA. De Gaulle mostrò che il coraggio paga, e che il gigante ha piedi d’argilla.
2) Non badarono a sacrifici, i liberatori, seppur la maggioranza degli italiani e dei tedeschi non aveva coscienza dell’oppressione subita. Il grido di dolore di una minoranza bastò a indurre l’Occidente a battersi, per il bene di noi tutti, anche degli ignari.

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