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Il maniaco incontra i paranoici
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«Caro Direttore,

non so come interpretare le sue parole piuttosto ermetiche sulla recente visita di Berlusconi in Israele a proposito della presunta guerra tra massonerie che ha velatamente descritto nell’articolo: ‘Un oscuro segnale massonico?’. Qualche ‘indizio’ in più sulle sue ‘intuizioni’ sarebbe gradito.
Intanto vorrei porre alla sua attenzione alcuni ‘messaggi’ lanciati da Berlusconi.
1) prima della visita ha condannato la politica coloniale israeliana;
2) ha definito l’ingresso di Israele in Europa un ‘sogno’ piuttosto che un obiettivo;
3) durante la visita al Museo dell’Olocausto Yad Vashem, sul libro delle firme dei visitatori ha scritto: ‘La nostra anima urla: Non è vero, non può essere vero’.
Che ne pensa?

Saluti,
FT»


Non ho informazioni riservate, ma posso ricostruire la faccenda quasi parola per parola.
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Come si sa (anche se i giornali non lo scrivono) Israele si trova in stato di semi-isolamento diplomatico in Europa a causa delle atrocità commesse a Gaza. A parte la rottura clamorosa con la Turchia, i decisi inviti di Lady Ashton (il semi-ministro degli Esteri eurocrate) a lasciar passare gli aiuti alla popolazione affamata, l’immagine d’Israele è pessima nei Paesi scandinavi: ben informati dell’intento genocida di Piombo Fuso grazie ai due medici norvegesi che erano lì ed hanno operato e amputato centinaia di feriti da armi vietate. Le agenzie di soccorso, a cominciare da Amnesty International, sostengono il rapporto Goldstone. In Inghilterra i loro addetti (Tony Blair e Lord Goldsmith, il giurista capo del governo) sono praticamente sotto inchiesta per aver sferrato una guerra contro l’Iraq in violazione del diritto internazionale. I sondaggi rivelano che le opinioni pubbliche europee considerano Israele lo Stato più pericoloso del mondo per la stabilità internazionale. I suoi dirigenti rischiano l’arresto quando atterrano in Europa, e devono manovrare tutte le loro lobby per sventare questo esito.

Sicchè lo Stato razziale ebraico aveva bisogno di un gesto di aperto, ostentato sostegno da parte di uno Stato europeo. E a chi rivolgersi, se non al Salame?

Il 3 novembre scorso, Berlusconi aveva organizzato un ricevimento fastoso in onor del Keren Hayesold United Israele, una della tante lobby che raccolgo fondi per gli insediamenti illegali: Berlusconi li aveva coperti d’oro (di noi contribuenti), spendendo 110 mila euro solo per i sistemi audio dell’orchestra appositamente invitata. Sicchè, attraverso i suoi canali ben aperti, ha chiesto al Cavaliere un aiutino.

Un aiutino? Non sapeva il Mossad che hanno a che fare con un vulcanico maniaco con venature istrioniche e deliri di grandiosità? Berlusconi ha proposto di arrivare con un intero corpo di ballo di veline-Mediaset, complessi musicali, e regalini in oro per le signore; a fatica è stato convinto a ripiegare su otto diconsi otto ministri; fra l’altro, ha portato in Israele dei rarissimi disegni di Leonardo da Vinci strappati ai musei (speriamo che ce li restituiscano), e intere troupes televisive.

«Sogno Israele in Europa!», ha strillato giulivo, ignaro che Sion in Europa c’è già con tutti i vantaggi e nessuno degli obblighi degli Stati-membri, fra cui l’obbligo di smettere di fare guerre. «Sosterrò sempre le vostre ragioni!»; «Teheran non deve avere l’atomica!».

William Boykin
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Con zelo euforico e ridanciano s’è kippato per Yad Vashem, ha piantato un olivo nella foresta del ricordo ricordando che lui ne ha uno in Sardegna con le impronte di Gesù Cristo (immaginarsi le facce degli ospiti). Al museo dell’olocausto, sul librone delle firme, ha scritto: «La nostra anima urla: non è vero, non può essere vero» (negazionismo preterintenzionale?)… Eccetera, eccetera.

Un aiutino così pagliaccesco e spropositato, comico e pieno di gaffes, è risultato imbarazzante per Israele. La prova è che i giornali di là hanno dato notizia del trasferimento in Giuda del governo italiota al completo o quasi, solo per dovere d’ufficio; Haaretz ha sommessamento ricordato che Berlusconi è un politico sotto inchiesta per varie malversazioni, a cui la magistratura sta alle calcagna, a cui l’ex moglie sta strappando metà del suo mega-impero; e non proprio ben visto in Europa. Un politico al tramonto, se non con un piede nella fossa.

L’immagine internazionale di Berlusconi non è migliore di quella di Israele: valeva la pena di far vedere che hanno un «amico» così?

Questo per dire ai lettori che quel che fa Berlusconi in Israele, a mio parere, non ha alcun significato. Nemmeno il fatto che abbia chiesto bonariamente di fermare gli insediamenti e cercare di far la pace con la Siria, restituendo il Golan: questa è una direttiva europea, a cui il Salame non poteva sottrarsi. Tutto ciò che dice di eventualmente giusto è involontario, ed è vano cercarvi qualche significato politico recondito o profondo: lo prova il fatto che ha aggiunto «l’amico Netanyahu» all’«Amico Erdogan» e all’«amico Putin». Vedete quanti amici ha Salame?

Ad Israele non fa danno, ma nemmeno giova. Può darsi che Berlusconi abbia calcolato di trarne un vantaggio per sè: ha sentito dire che se si va a farsi fotografare in kippà si diventa intoccabili. Ormai Berlusconi pensa solo a salvare se stesso dai processi; per non presentarsi adduce il «legittimo impedimento» (premier troppo occupato), e cerca di farne una legge. Eppure è andato davanti alla nona sezione penale del tribunale di Milano per discutere la spartizione dei beni con l’ex-velina Veronica, passando anche un dossier comprovante che se lui metteva le corna alla Veronica, anche la Veronica gliele metteva. Ci sono processi per cui il premier troppo indaffarato in impegni istituzionali trova il tempo di andare. E non capisce nemmeno che così spoglia di ogni verosimiglianza (se mai l’aveva) la scusa del legittimo impedimento.

Sicchè chiediamo ai lettori di guardare alle cose serie.

Da settimane le forze armate israeliane si preparano ad attaccare di nuovo Hezbollah, e cercano la provocazione. Domenica 31 gennaio un commando israeliano è penetrato in territorio libanese ed ha rapito un pastore di 17 anni, Rabih Zahra, che conduceva le sue pecore presso Kfar Shouba. Il governo del Libano ha protestato per questo fatto all’ONU; il regime israeliano ha risposto minacciando che, se Hezbollah attaccasse, «l’intero Libano sarà ritenuto responsabile» e dunque interamente bombardato e le sue infrasttutture distrutte completamente, come già hanno fatto nel 2006. (Israeli soldiers abduct Lebanese teen shepherd from south)



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Dahiya in Libano, prima e dopo la cura israeliana del 2006
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I gallonati israeliani concepiscono questa come l’inizio di una guerra regionale più vasta: già che ci siamo, perchè non ci riprendiamo «Samari e Giudea» (i terrirori occupati) e Gaza, e non inceneriamo anche Siria e l’Iran? E magari, perchè no, anche l’Egitto per prendergli il Sinai con i suoi villaggi turistici?

L’esercito affiancato dai «coloni» moltiplica le violenze e le espulsioni nei territori occupati; carri armati giudaici continuano a bombardare villaggi di Gaza. Ehud Barak, il ministro della Guerra, cerca di convincere i paranoici di Tsahal ad assicurarsi almeno la neutralità di Damasco.

«In mancanza di un accordo con la Siria», ha detto ai caporioni militari lunedì, «non solo ci lanciamo in una guerra totale regionale, ma immediatamente dopo tale conflitto ci siederemo coi siriani a negoziare esattamente gli stessi temi su cui trattiamo (invano) da 15 anni».

Il che dimostra che, come in USA, il settore militare non obbedisce al governo, e come i rabbini, non vuol cedere il Golan siriano. (Barak: Without Syria peace, we could be headed for all-out war)


Leon Panetta
   Leon Panetta
Pochi giorni fa il direttore della CIA Leon Panetta è andato in segreto in Israele a incontrarsi con Netanyahu, Ehud Barak e il capo del Mossad, Meir Dagan. La visita è vista in Medio Oriente come la preparazione e il coordinamento del conflitto regionale voluto da Tsahal, centrato sull’Iran; ma è anche possibile sia un tentativo di Washington di tenere a freno i paranoici e scongiurare il disastro. (Secret CIA-Mossad meeting, preparation for new war?)

Questa è l’interpretazione di Mosca, ad esempio.

I missili Patriot che Obama ha piazzato nel Golfo in queste settimane, insieme alle vendite massicce di armi agli staterelli «amici», Arabia Saudita, Katar, Emirati, Kuweit e Bahrein, sarebbe un modo sia di dissuadere l’Iran ad attaccare, sia di dissuadere Israele a lanciarsi in una guerra contro l’Iran in cui gli USA sarebbero trascinati. Gli iraniani hanno contato ben 92 navi da guerra occidentali nel Golfo Persico, senza contare i due o tre sommergibili israeliani con testate atomiche: situazione per sè capace di innescare un conflitto «involontario». (U.S. to beef-up Gulf air defense force to keep Iran, Israel in check - Guardian)

Da mesi Hillary Clinton sta facendo pressioni su Pechino perchè si aggiunga ai Paesi del Consiglio di Sicurezza ONU che impongono più dure sanzioni all’Iran. Lo sforzo, già di per sè improbabile, è stato vanificato dalla decisione di Obama (o di chi per lui nel settore militare-industriale) di vendere a Taiwan 6,4 miliardi di dollari in armamenti. La Cina minaccia sanzioni contro le ditte americane, e le relazioni tra Pechino e Washington sono ai ferri corti; e Pechino è il massimo creditore del massimo debitore Washington, come si sa. (U.S. regrets China's response to arms sales)

Mosca invece è meglio disposta: dopotutto, non ha mai consegnato a Teheran gli SS-300, missili anti-aerei puramente difensivi, che Teheran ha già pagato. Il Cremlino non ama la prospettiva di un Iran - suo concorrente nel settore petrolifero e del gas - tornato libero da embarghi. Ebbene, che cosa fa Obama (o chi per lui)? Annuncia che posizionerà in Polonia fra marzo e aprile prossimi quei missili che Bush aveva voluto col pretesto di proteggere l’Europa da fantomatici attacchi iraniani, un programma che per Mosca era solo un atto ostile e minatorio verso la Russia, e che lo stesso Obama aveva cancellato il settembre scorso. E stavolta dichiarando apertamente che i missili (che saranno posizionati a 50 chilometi dall’enclave russa di Kaliningrad) non sono contro l’Iran, ma proprio contro Mosca. (Obama Makes Clear that Missile Shield is About Russia, not Iran)

In più, il Pentagono stazionerà missili navi nel Baltico dotate di missili Aegis, di 500 chilometri di raggio, che tengono sotto tiro direttamente San Pietroburgo e Mosca. E il 28 gennaio ha annunciato l’inizio di grandi manovre aeronavali con gli alleati dell’ISAF (noi europei in Afghanistan) da condurre nel Baltico insieme agli staterelli baltici. L’esercitazione si chiama «Colpo di sciabola 2010» (Sabre Strioke 2010) e dovrà mettere a punto l’inter-operatività delle forze USA-NATO con quelle di Lettonia, Lituania, Estonia, con sbarchi simulati e teste di ponte ostili.

Un’altra esercitazione parimenti separata, vedrà come protagoniste la marina USA e quella finlandese: «Sarà il più grande gioco di guerra mai visto nelle acque territoriali finniche», hanno scritto i giornali di là, e «la Finlandia vi porterà praticamente tutta la sua flotta». Ci saranno anche navi e truppe di Danimarca, Francia, Germania, Polonia e Olanda, per non dire dei soliti staterelli baltici. Lo scenario simulato, «un conflitto tra due Paesi capace di coinvolgere i Paesi vicini». E queste grandi manovre si aggiungono ad altre già da tempo annunciate, nel quadro delle ormai consuete BALTOPS (Baltic Operations), nominate «Baltic Host», «Amber Hope» e «Col Response 2010», quest’ultima con i Marines stanziati in caverne in Norvegia da decenni.

Secondo tutti gli osservatori, le manovre hanno di mira il gasdotto russo-tedesco North Stream, in costruzione, che scorrerà nelle profondità del Baltico. (Pentagon Confronts Russia In The Baltic Sea)

Si aggiunga che il Pentagono o chi lo governa (il complesso-militare-industriale) sta facendo rudi pressioni sulla Francia perchè non venda alla Russia la nave Mistral. Si tratta di un naviglio anfibio per proiezione rapida che porta 16 elicotteri, un buon numero di carri armati e 750 commandos. 

«Con questa nave potevano vincere la guerra in Georgia in 40 minuti anzichè 26 ore», ha dichiarato  l’ammiraglio Vladimir Vissotski, capo della Marina russa, quando ha visitato il gioiello attraccato sulla Neva a San Pietroburgo, il novembre scorso, per una visita dimostrativa.



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Il Mistral a San Pietroburgo



Per l’industria cantieristica francese sarebbe un bel colpo: ogni Mistral costa 500 milioni di euro, e la Russia ha ventilato che potrebbe ordinarne cinque («Abbiamo cinque mari») purchè in co-produzione.

Ariel Cohen
   Ariel Cohen
Ma le reazioni ufficiali e ufficiose americane sono state freneticamente astiose: «I membri della NATO non devono espandere la cooperazione militare con la Russia finché questa non recupera la sua credibilità e amicizia on l’Occidente», ha tuonato Ariel Cohen, analista militare alla Heritage Foundation.

«Proprio mentre Mosca vede ancora nella NATO un avversario (!) ed occupa il 20% del territorio georgiano, un alleato della NATO fornisce i mezzi di modernizzazione navale di cui la Russia manca, indebolendo i fianchi della NATO e importanti rotte energetiche».

Ed Hillary Clinton: «Questa vendita invia alla Russia il messaggio che la Francia aderisce sempre più al suo (della Russia) comportamento, ogni giorno più bellicoso e fuorilegge».

Fuorilegge. Si noti che nemmeno una briciola di questa rabbia s’è vista quando Mosca, nel 2009, ha comprato una cornucopia di droni (aerei senza pilota) da Israele.

Ma più delle furenti dichiarazioni pubbliche, valgono le minacce commerciali dietro le quinte: la Total ha affari in corso con l’Iran, e sta brigando presso il Congresso, dominato dalle note lobby, onde ottenere una qualche esenzione dall’embargo decretato da Washington contro Teheran, e che sta per inasprirsi. E Bernard Kouchner, che copre il ministero degli Esteri a Parigi, è contrarissimo alla vendita (chissà perchè).

Igor Sechin
   Igor Sechin
Alla fine, forse, sarà la Russia a rinunciare: perchè se la dirigenza politica s’è accorta durante il conflitto georgiano che parte del suo apparato militare è obsoleto e richiede tecnologie acquistabili dall’estero, anche loro hanno il loro complesso militare-industriale. Il vice-primo ministro Igor Sechin assicura che la OSK (il conglomerato dei cantieri russi) può costruire «un equivalente del Mistral»: buona fortuna. Sechin è, per caso, il presidente della OSK. Les vents contraires du Mistral)

Nell’insieme, la situazione mondiale configura un ritorno allarmante di guerra fredda (creata dagli USA contro Cina e Russia) e minacce imminenti di un conflitto regionale di vastità indefinita in Medio Oriente, per volontà dei paranoici di Sion.

E mi venite a parlare di Berlusconi?


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