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Più antichi delle Piramidi
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Vedo che alcuni siti ne hanno già parlato, anche la Custodia della Terra Santa, che è fra l’altro una superpotenza degli studi archeologici e la rivista Nexus.

Ma la scoperta è troppo bella per trascurarla qui, sul nostro sito:

Klaus Schmidt, archeologo tedesco, ha scoperto i templi stupefacenti di una civiltà antichissima e già avanzata. Sulla collina di Gobekli Tepe, nel sud della Turchia vicino alla Siria, ha messo allo scoperto una cinquantina di pilastri di pietra come questo:



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L’opera – un vasto complesso cerimoniale di una religione ignota – risale, secondo le datazioni, a 11.500 anni fa. Dunque il santuario di Gobekli, con i suoi megaliti lisciati e scolpiti a bassorilievo, fu elevato 7 mila anni prima della grande piramide d’Egitto, e seimila anni prima di Stonehenge, più o meno nell’età in cui il mito platonico pone la fine di Atlantide.

Come a Stonehenge, i pilastri sono all’interno di cerchi di pietra levigata, di una trentina di metri di diametro. I pilastri a T sono più piccoli di quelli di Stonehenge, alti fra i 2 e i 4 metri, qualcuno però anche 7; ma pesano pur sempre una decina di tonnellate l’uno; alzarli e trasportarli dalla cava (a qualche centinaio di metri) dovette essere un’operazione non facile per una popolazione che non «doveva» avere strumenti (non si parli nemmeno di metalli), nè animali da soma e da trasporto (addomesticati solo millenni dopo), nè agricoltura nè scrittura e nemmeno – si dice – era ancora capace di foggiare umili oggetti artigianali come vasellame di creta.

Perchè la datazione pone questo incredibile sito come opera di uomini allo stato di «cacciatori-raccoglitori» del Neolitico, che campavano cacciando selvaggina e completando la loro dieta con la raccolta di bacche, germogli, molluschi, dato che la caccia è sempre stato un metodo di nutrizione incerto. Ma i cacciatori-raccoglitori che conosciamo, per lo più viventi in piccole bande, e senza animali addomesticati da lavoro, non sembrano mai essere stati capaci  di costruire più di qualche capanna e palafitta. Invece a Gobekli Tepe abbiamo non solo il primo e più antico santuario in pietra, ma anche di un’imponenza insospettata: Schmidt, sondata la collina con il radar penetrante nel terreno, ha localizzato altre sedici cerchie megalitiche, estese su una decina di ettari; e ritiene di aver portato alla luce solo il 5% del sito.



Gobekli_1.jpg



Nessuno si immaginava, prima, che i cacciatori-raccoglitori avessero tali qualità artistiche. Né che vivessero in tale abbondanza alimentare, e ad un grado di organizzazione sociale così complesso, da poter dedicare abbastanza gente a quel lavoro colossale.

«Non possono essere state piccole tribù di raccoglitori. Per intagliare, scolpire (senz’altri strumenti  che di pietra) ed innalzare pilastri da sette tonnellate, occorrono centinaia di lavoratori, da alloggiare e nutrire», dice Schmidt.

Imprese del genere erano credute possibili solo dopo la scoperta dell’agricoltura, che diede all’umanità surplus alimentari e organizzazioni sociali accentrate, le famose civiltà idrauliche egizie, sumere e babilonesi, nate appunto – secondo la vulgata dominante – per compiere opere pubbliche di canalizzazione irrigua o per contenere le irregolarità delle piene, nonchè magazzini per la conservazione delle granaglie, il che implica anche  una burocrazia pubblica di contabili ed economi come in Egitto (da cui la scrittura).

A quanto pare, gli archeologi della preistoria sembrano convinti che la religione sia stato un fenomeno comparso relativamente tardi nella vita dell’uomo, ancorchè lo stesso Neanderthal circondasse i suoi morti di una qualche specie di culto.

L’eccezionalità della scoperta consiste nel fatto che essa rovescia il supposto processo di civilizzazione di cui sopra. Schmidt la mette così: non fu lo sviluppo dell’agricoltura a rendere possibili i primi templi, ma al contrario: fu l’urgenza di adorare e celebrare il divino a raccogliere insieme quegli uomini nel primo santuario-città mai esistito. E il bisogno di costruire e mantenere questo tempio multiplo obbligò i costruttori a cercare una fonte stabile di nutrimento, a coltivare grani e ad allevare animali, dunque anche ad abbandonare la vita nomade.

Riceve un duro colpo la tesi dello scientismo, che descriveva gli uomini «primitivi» come dominati dai loro bisogni primari, incalzati dalla fame, dal freddo e dalla paura delle fiere, e che cominciarono ad adorare forze naturali per acquietare le loro paure (la tesi di Feuerbach sulla religione come «proiezione» di bisogni e angosce primordiali); si conferma una tesi sapienziale più antica, secondo cui l’uomo primitivo era anzitutto un metafisico, e il suo «bisogno primario» era  comunicare con le potenze invisibili, porsi in relazione con esse. Per sè, si contentavano di capanne; per le divinità, costruirono megaliti.

«Il tempio ha dato inizio alla città», come dice Schmidt. O per dirla in altro modo: la religione diede origine alla civiltà, e non la civiltà (o la cultura) ad una religione.

William Boykin
   Avvoltoi e scorpioni
La religione di Gobleki Tepe, comunque fosse, era una religione altamente organizzata: come dimostrano gli affascinanti rilievi di animali (selvaggina del luogo, ma anche leoni e volpi, e creature «infere» come scorpioni, ragni, mostri con tre zanne), quei creatori emersero da 140 millenni di cultura della caccia e raccolta con un vocabolario o repertorio già maturo di simboli e immagini spirituali, evidentemente elaborato in quei millenni di «oscurità» presunta. E di colpo si mostrano capaci di  un grande sforzo economico, logistico ed anche politico, perchè delle autorità riconosciute dovettero essere in grado di adunare genti diverse e numerose, unite dalle stesse credenze, per lo scopo collettivo: gente che forse si riuniva lì già per celebrare feste sacre, sacrifici   e banchetti rituali, vista la quantità di ossami animali  trovata.

Vari indizi sembrano confermare la tesi di Schmidt. La mappatura genetica conferma che il frumento fu domesticato nelle immediate vicinanze del complesso di templi (che si trova all’estremo nord dell’antica Mezzaluna Fertile) alcuni secoli dopo la costruzione del santuario. Anche il maiale domestico comparve per la prima volta in quest’area, verso l’8 mila avanti Cristo. I primi bovini furono domesticati nell’Anatolia, Turchia, dal 6500 avanti Cristo.

Il più antico villaggio neolitico mai scoperto, Çatalhöyük, giace in Turchia a 400 chilometri di distanza, è di un millennio più giovane di Gobleki e già i suoi abitanti disponevano di animali e sapevano coltivare grani; e tuttavia non hanno costruito nulla di lontanamente simile all’insieme dei santuari.

I primi grandi templi in muratura sorsero solo 5 mila anni più tardi, nell’odierno Iraq. Le sole costruzioni imponenti più antiche sono le mura dell’antichissima Gerico (esistente molto prima dell’arrivo degli ebrei), datate più o meno all’ 8 o 7 mila avanti Cristo, di un millennio più tarde del complesso templare di Gobleki.

E il sito non è, ne è mai stato, un villaggio. Anche scavando tonnellate di terra per mettere a nudo i resti, Schmidt non vi ha trovato nè pozzetti per fuochi (le «cucine»), nè cumuli di spazzatura primordiale che non mancano mai negli abitati. Del resto, sul luogo non ci sono fonti d’acqua.

William Boykin
   Una fiera
Era un luogo esclusivamente di culto e di feste, dove quegli esseri umani si riunivano periodicamente, portando con sè tutto, dagli alimenti alle selci intagliate. E poi se ne tornavano ai loro insediamenti profani, di tutti i giorni.

Molti i resti di animali, forsa mangiati dopo essere stati sacrificati. Pochissime invece le ossa umane: apparentemente quello non era un luogo di sepolture, o gli antichi credenti si riportavano alla capanna le ossa dei morti, in qualche culto degli antenati.

Ma si può fare un’ipotesi più curiosa, dettata dai numerosissimi bassorilievi che raffigurano uccelli da preda, avvoltoi e altri mangia-carogne. Il più grande di questi rilievi mostra un  avvoltoio che sta su un corpo umano senza testa. E’ possibile che i cadaveri fossero esposti sulla collina perchè fossero mangiati dagli uccelli?

E’ il rito funebre ancor oggi adottato dai Parsi, fedeli di Zarathustra; e anche dai tibetani, che (per mancanza di legna da ardere e terreno da sepoltura, nell’altipiano di 4 mila metri) fanno a pezzi i corpi e li lasciano, a volte mescolati con farina d’orzo tostato, come bocconi per gli avvoltoi: i tibetani chiamano questo rituale «sepoltura in cielo».

William Boykin
Numerosissimi gli oggettini («ornamentali», o ex voto?) di notevole espressività artistica, come questo rostro di uccello predatore:
 
Rare le sculture umane (anche se alcuni dei pilastri a T hanno braccia scolpite), ma affascinanti: la scultura qui sotto è la prima statua umana  in grandezza naturale mai scoperta. Fatto notevole, mancano i simboli sessuali tipici di altri siti neolitici. I pilastri a T, benchè esseri umani schematici, non mostrano il fallo – il tipico fallo presente, ad esempio, nelle ben più tarde erme greche.

I rituali sconosciuti che erano compiuti nell’area dei templi cessarono di colpo prima dell’8 mila avanti Cristo: fatto singolare, il sito non fu semplicemente abbandonato, e nemmeno distrutto da qualche armata d’aggressione (impensabile a quei tempi), ma seppellito deliberatamente con tonnellate di terriccio, che per giunta fu scrupolosamente pressato. Sepolto con i pilastri a T in piedi, il che ha salvato il santuario dalle spoliazioni o dalle intemperie per i millenni, fino a farlo giungere a noi intatto.



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Probabilmente, albeggiò una nuova religione, e gli antichi dei dovettero essere ritualmente obliterati, magari perchè non tornassero come spettri malevoli.

«Gli altari abbandonati dagli dei sono ricettacolo di demoni», come sapeva l’antica sapienza.

Molto significativo un ultimo fatto: il sito era già stato scoperto da un archeologo americano negli anni ‘60, che praticamente vi inciampò sopra ma trascurò di approfondire: troppo strano ciò che vedeva, troppo in contrasto con le ipotetiche datazioni sulla nascita della cultura che si insegnano  nelle università. L’americano non sapeva come interpretare ciò che aveva sotto gli occhi, e lasciò perdere.

William Boykin
   Klaus Schmidt
Klaus Schmidt è arrivato sul posto basandosi sugli appunti del suo meno acuto collega 15 anni fa. Ha notato la superficie del terreno coperta di selci intagliate; una cava neolitica nelle vicinanze, con ancora lastroni di pietra calcarea non finiti. Intuì che questo indicava che qualche monumento doveva essere sepolto là sotto. Anche lui, confessa, ebbe la tentazione di lasciar perdere: «Sapevo che, se cominciavo a scavare, avrei dovuto passare tutta la mia vita di archeologo su questo sito». Difatti Schmidt si è sposato con una donna turca e s’è stabilito nella antica città di Urfa, nelle vicinanze del sito.

Frattato sempre nuove scoperte sembrano indicare che l’area templare scoperta dall’archeologo tedesco è ben lungi dall’essere un unicum. Nell’area di Korpiktepe, sul Tigri, a 200 chilometri ad est di Urfa, archeologi turchi hanno riportato alla luce migliaia di vasi di pietra da centinaia di tombe risalenti a quasi 12 mila anni fa, dunque coeve al  santuario di Gobekli Tepe.



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Un rettile sconosciuto?




Archeologi francesi a Djade al-Mughara, nella Siria del Nord, hanno scoperto la più antica pittura murale, un vero affresco, mai ritrovata: due metri quadri di forme geometriche in rosso, nero e bianco, «un po’ simile allo stile di Paul Klee», ha detto Eric Coqueugniot, il capo missione dell’università di Lione.

L’esplorazione della prima civiltà conosciuta è solo agli inizi.

 
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