>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
Berlino diventa meno anti-Putin?
Stampa
  Text size
Fra le condizioni per partecipare alla grande coalizione, i socialdemocratici hanno voluto il Ministero degli Esteri. Ed hanno messo a quel posto delle personalità, i cui soli nomi scontentano i «ribelli» di Kiev, e il New York Times.

Frank Walter Steinmeier
  Frank Walter Steinmeier
Il primo è il Frank Walter Steinmeier, neo-ministro degli Esteri. Ma lo è già stato nel 2005-2009 nel primo governo Merkel di grande coalizione, e – a quanto riporta il New York Times – «gli attivisti dell’opposizione in Russia hanno espresso il loro scontento: Oleg Orlov, capo del gruppo per i diritti umani Memorial, dice che Steinmeier ha continuato le politiche di (Gerard) Schroeder verso la Russia, e che tali politiche sono state ‘estremamente cattive per la società civile, la democrazia, e il paese». Scontento molto ben fondato: effettivamente, Steinmeier era capo dello staff di Schroeder durante il cancellierato di questo (1998-2005), e alla fine del mandato la Gazprom (ossia Vladimir) ha offerto a Schroeder la presidenza del gasdotto NorthStream, concepito apposta per far arrivare il gas alla Germania scavalcando Polonia ed Ucraina, dunque sottraendo le forniture ai ricatti d questi due governi. Il New York Times bolla Steinmeier di «cinico» in quanto insensibile ai «temi dei diritti umani», cioè agli atti d’accusa che Washington eleva contro i Paesi che vuole aggredire.

Gernot Erler
  Gernot Erler
L’altro personaggio è Gernot Erler, che affianca Steinmeier come capo delle relazioni con la Russia e dei Paesi dell’ex Unione Sovietica, oltreché dell’Asia centrale. Erler ha coperto la stessa funzione anche sotto il cancelliere Schroeder, ed ha sùbito chiarito le sue idee in un’intervista all’EuObserver (il periodico dell’eurocrazia). Un’intervista molto esplicita:

«La UE ha sbagliato – ha detto Erler – a non valutare i possibili conflitti con la Russia prima di offrire la cosiddetta ‘partnership orientale’ a Paesi come l’Ucraina».

In pratica, un rabbuffo alla politica di Catherine Ashton, l’euro-ministra degli esteri inglese (dunque agli ordini della politica anti-russa Usa), di cui Erler ha sottolineato la sventatezza e il pressapochismo, fino a portare l’Ucraina sull’orlo della guerra civile.

«Mi stupisco che solo adesso siano stati convocati degli esperti per vedere se non c’è conflitto tra la Unione Doganale Russa [di Putin] e la Partnership Orientale [offerta dalla UE a Kiev]. Abbiamo bisogno di trovare una soluzione al più presto, perché non è questione solo di Ucraina. Moldavia e Georgia hanno concluso i negoziati e vogliono firmare l’accordo quest’estate. Come reagirà la Russia se questo accade? Dobbiamo assicurarci che non ci sia alcuna tensione tra la Partnership Orientale la la Unione Doganale Russa».

Erler ha detto anche di «comprendere» le preoccupazioni della Russia: se Ucraina, Georgia e Moldavia entrano nell’accordo di «deep free trade» inserito nella Partnership, questi Paesi saranno inondati da merci europee a buon mercato, che danneggeranno l’export russo.

Ma adeso, la massima urgenza è «far finire la violenza», e subito dopo «creare rapidamente un governo funzionante a Kiev», perché «l’Ucraina è sull’orlo della bancarotta , ciò che avrebbe immense conseguenze anche per l’Europa». Erler ha aggiunto poi che, «guardando più oltre» le urgenze, «la UE deve riconsiderare la sua Partnership Orientale e analizzare come mai ha prodotto il fiasco ucraino». Insomma un’urticante critica alla politica eurocratica anti-Mosca, condotta con automatismo robotico, in modo cieco, e finita nel disastro. Questo Erler non sembra usare il linguaggio beneducato che è d’obbligo nelle felpate stanze di Bruxelles: quando deve dare dei cretini agli eurocrati, lo fa.

Gli «esperti» a cui ha alluso Erler, infatti, hanno ammesso retrospettivamente che se l’Ucraina firmasse l’accordo richiesto da Bruxells, ne avrebbe gravi danni: «Pochissimi prodotti ucraini sono competitivi nella UE», ha appurati Il DGAP, Consiglio Tedesco per le Relazioni Estere. L’industria ucraina è vecchia e per nulla competitiva; se il mercato venisse aperto, «porterebbe ad enormi costi di modernizzazione e la disoccupazione salirebbe alle stelle». La separazione dalla Russia e dalla sua unione doganale, «primi clienti dei prodotti ucraini», farebbe affondare settori come «le petrolchimiche e il traffico aereo», e la disoccupazione porterebbe rapidamente (entro un anno) alla «caduta del sostegno popolare verso l’integrazione europea» (Ewald Böhlke, Maria Davydchyk: Die Ukraine-Politik der EU ist gescheitert. DGAPstandpunkt No. 9, November 2013).

Sono ovvietà. Ma quando l’eurocrazia ha fatto le sue sconsiderate offerte agli ucraini, non aveva a cuore il loro benessere, bensì l’espansione della zona d’influenza Usa ad Est, e il saccheggio globalista (o «privatizzazioni») che a cui l’accordo avrebbe aperto il Paese senza difesa. Invece, è il suggerimento, Bruxelles deve «sostenere le piccole e medie imprese in Ucraina, molto importante settore che può affrontare la pressione competitiva del mercato europeo». Insomma un processo d’integrazione graduale...

Il precedente Ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, s’era fatto vedere a partecipare alle dimostrazioni contro il governo a Kiev, il 4 dicembre, imitando i visitatori americani nell’ingerenza. Berlino, per il «regime change», puntava sull’ex pugile Vitali Klitsko, foraggiato, finanziato e addestrato dalla Konrad Adenauer Foundation (CDU) fin dal 2010, con lo scopo di mettere al potere a Kiev un governo «cristiano-conservatore» (sic).

Se Erler farà seguire le parole ai fatti, questa politica di ingerenza in funzione anti-russa dovrebbe terminare, almeno da parte di Berlino (1). Non che gli altri demordano. Per esempio:

McCain va a Budapest, a sovvertire un po’

Antefatto: il premier ungherese Victor Orban è volato a Mosca a metà gennaio ed ha ottenuto importanti risultati quanto alla sicurezza energetica del suo paese. «La collaborazione fra Russia e Ungheria in questo campo sta diventando una partnership strategica», secondo lo Strategic Culture Foundation, un sito di analisi russo. Pochi giorni dopo, Orban ha ricevuto la visita del senatore dell’Arizona ed ex candidato presidenziale John McCain, in missione semi-ufficiale ed accompagnato da altri senatori USA: ed ha voluto incontrare l’opposizione al governo Orban. Solo il sito dell’Ambasciata Usa a Budapest ha riportato quel che McCain ha detto al premier e ai suoi avversari.

«Abbiamo espresso la speranza che l’Ungheria affronterà i suoi bisogni energetici in modi che diversifichino di più la fornitura di energia dell’Europa»: melliflua allusione al fatto che l’accordo petrolifero con Mosca è spiaciuto. E poi, una appena velata minaccia. McCain ha alluso alle «preoccupazioni sullo stato della democraza in Ungheria che sono sollevate da persone sia dentro, sia fuori dal Paese. Alcune di queste preoccupazioni sono molto gravi... e devono essere risolte democraticamente, da ungheresi, e le istituzioni democratiche del paese, i pesi e contrappesi e lo stato di diritto, devono essere abbastanza forti da sostenere questo processo...».

Nella realtà, è da un ben determinato «fuori» che vengono le critiche al governo Orban, e che McCain ha echeggiato: Orban è al centro di campagne di stampa ostili e diffamatorie dai media europoidi, e di lezioncine di democrazia da parte dell’eurocrazia di Bruxelles. La BBC lo ha dipinto come il capofila di pulsioni autoritarie e nostalgiche che coverebbero in Europa. Le Monde ha intervistato il letterato (Nobel) Imre Kertesz, il quale ha dichiarato che «il mio Paese ha preso la direzione sbagliata della storia». Forti sospetti vengono alimentati dalla Commissione UE, per il fatto che Orban, cattolico, abbia fatto inserire nella costituzione il riferimento a Dio e alle radici cristiane dell’Europa, e (soprattutto) la tutela costituzionale della vita umana «fin dal concepimento». McCain è andato a far capire ad Orban che non ci si mette niente a montargli e gettargli contro una «opposizione democratica» che avrà l’appoggio di tutto l’Occidente, come quella in Ucraina, con cui il paese magiaro ha una frontiera in comune. Un nuovo piccolo contributo al disordine dell’Est: ma forse, Berlino non vi parteciperà. (Remarks of Senator John McCain (R-AZ), Delegation Co-Chair)

Francois Hollande, gli inglesi e gli americani non sanno più cosa fare per mandare a monte la festa delle Olimpiadi invernali a Sochi, sapendo che Putin ci tiene al loro successo. «Voli per Sochi? Attenti ai tubetti di dentifricio, possono essere esplosivi»: e lo dice nientemeno che il governo americano. Ban Ki Moon: «Il mondo si sollevi contro gli attacchi a lesbiche e gay» . 150 scrittori di best sellers (Rushdie, Oran Pamuk, l’inevitabile Gunther Grass) si dichiarano sgomenti dalla repressione contro gli invertiti che esisterebbe in Russia: è in pericolo la liberta di «pensiero»...

Dispettucci, invio di atleti strafinocchi incaricati di produrre qualche scandalo (così si potrà strillare alla «repressione»), annunciate diserzioni di capi di governo all’inaugurazione, servizi giornalistici che ridicolizzano tutto l’evento e i grandiosi preparativi. Un fotografo della BBC, Steve Rosenberg, è giunto al punto da lanciare questa foto nei gabinetti del Biathlon Center di Sochi, per mostrare quanto stupidi e rozzi siano i russi, tanto da fare delle toilettes per due... ovviamente la foto è stata scattata mentre i lavori erano in corso e gli operai avevano lasciato lì due water... Eppure anche USA Today e il New York Times hanno ripreso la cosa come vera.



I media americani si sono riempiti di resoconti scandalizzati sulle spese faraoniche «fuori mercato» delle installazioni olimpiche costruite, e la corruzione che ha accompagnato le grandi opere… in speranzosa attesa, inoltre, del grande attentato della cosiddetta Al Qaeda... Economist, almeno, s’è rifiutato di scendere così in basso. In una inchiesta speciale, riconosce «Il trionfo di Vladimir Putin», con questa avvertenza: «i successi in politica estera e le Olimpiadi invernali fanno parere la Russia forte; ma dove conta davvero, è debole».

Le debolezze della Russia vengono elencate, e non mancano di colpire nel segno (2). Il Paese dipende ancora troppo per le sue esportazioni dalle materie prime energetiche: il 78%, addirittura aumentate rispetto all’era sovietica (67%). Il 45% di ciò che i russi comprano, è importato dall’estero. Il calo dei prezzi petroliferi può dunque danneggiare l’economia, che ristagna. Sì, Putin ha aumentato le paghe; ma ciò ha aumentato il costo del lavoro del 40-50%, «mentre la produttività resta la metà di quella nella UE», e rende la Russia poco attraente per gli investitori esteri, che preferiscono i paesi a bassi salari. Un quarto della forza-lavoro è impiegato nel settore pubblico; dal 30 al 40% ne dipende indirettamente. Le imprese di Stato si servono di ditte apparentemente private ma in realtà possedute da vecchi compagni del Kgb, che fanno affari sotto l’ombrello pubblico. Invece dell’efficienza e della meritocrazia, sono «le relazioni e le maniglie a decidere tutto» nell’economia, e corrono le mazzette e le tangenti. In conclusione, l’Economist consiglia: «privatizzare le imprese di Stato, un sistema legale più affidabile, un quadro di regole più trasparente, una migliore protezione degli investimenti stranieri». Insomma, le «riforme».

Via via che leggevo l’Economist, infatti, mi domandavo: ma si parla di Russia o di Italia? Clientelismi e corruzione, spesa pubblica senza controllo, magistratura da buttare e leggi civili da far pietà, inefficienze e mancate riforme, privatizzazioni insoddisfacenti per le banche globali... due cose però mi hanno convinto che si parla della Russia. Una, «il livello di debito pubblico relativamente basso» che dà spazio al governo Putin di fare politiche espansive, se occorre. L’altra è la descrizione delle «Grandi Opere» di Sochi e di come i suoi costi siano lievitati: «quadruplicati dal 2007, oggi sono a 50 miliardi di dollari (3), le più costose Olimpiadi della storia. Secondo un membro del Comitato olimpico internazionale, un terzo di questa cifra è stata rubata».

Solo un terzo?! Ma allora la Russia è un Paese modello rispetto al nostro! In Italia, come sapete, un chilometro di autostrada costa 18 milioni di euro. Ora, io sono un inesperto di movimento terra ed asfalto; eppure posso assicurare al buio che se il governo Letta vuol affidare a me – personalmente a me – la costruzione di un chilometro di autostrada per la metà della cifra, 9 milioni, sono quasi sicuro che posso farcela, arruolando il personale e i macchinari che occorrono, e posso scremarne l’onesto profitto per me di un milioncino di euro, abbastanza per andare a vivere i miei ultimi anni a Parigi. Insomma, persino i vecchi siloviki sono più frugali dei nostri politici.

Ma naturalmente, mi direte, la Russia è il Paese della repressione, dove le libertà di pensiero possono essere azzerate per arbitrio dello Zar. Il contrario di quel che avviene nella libera Europa; e ancor più contrario a quel che avviene nel Regno Unito, terra delle tradizionali libertà, e modello di tutti noi che la libertà amiamo...

Ah sì? Allora leggetevi questo titolo. È l’ultimo.

«A Dieudonné vietata l’entrata in territorio britannico»

Dieudonné è il noto umorista francese della «quenelle». Stava andando a Londra con l’intento di sostenere il calciatore Nicoals Anelka: costui è sotto processo della giustizia sportiva inglese per aver fatto il gesto della quenelle il 28 dicembre scorso a fine partita, e rischia la sospensione per 5 settimane dalla squadra di cui è l’attaccante, la West Bromwich Albion (WB). Lo Home Office, Ministero dell’interno, ha reso noto che «Dieudonné è oggetto di una misura di esclusione», precisando che il ministero può espellere o sbarrare l’accesso al Regno Unito ad ogni persona per ragioni politiche che detto Ministero non ha bisogno di spiegare a nessuno. A suo arbitrio, insomma, insindacabile.

La patria delle liberties, sbarra l’accesso ad un comico. Libera circolazione, invece, per delinquenti, pervertiti, pedofili di grido, e soprattutto oligarchi russi ricercati dalla giustizia russa.

È proprio vero: «Non esiste maggior intollerante pratico del tollerante dogmatico» (Curzio Nitoglia, Le Forze Occulte della sovversione, EFFEDIEFFE. pagina 80).





1
) Si aggiunga che le rivelazioni di Snowden sul fatto che la NSA spiava le telefonate dei cancellieri (non solo la Merkel, ma ora si apprende, anche Schroeder) ha aperto un solco fra Berlino e Washington, che minaccia di essere durevole. Attualmente le azinde tedesche abbandonano i materiali di IBM. Cisco ed altre imprese americane e si servonoquanto più possibile di hardware e software interno. Deutsche TeleKom (il gigante di internet) ha dichiararo di voler tenere i dati più possibile in Europa, in cloud locali separati. Ovviamente contro queste misure, e a favore del business americano, si è schierata la Commissaria europea per l’Agenda Digitale Neelie Kroes....
2) Ovviamente Economist non cita i risultati ottenuti da Putin tra il 2000 e il 2010: il prodotto interno lordo è raddoppiato, il commercio estero quadruplicato, il debito estero rimasto è un sesto di quello che aveva la Russia nel 2000, i salari sono aumentati di 2,5 volte e le pensioni di 3. Il tasso di poveri è dimezzato, i disoccupati sono passati dal 10 al 7%. La demografia è in ripresa, l’aspettativa di vita s’è allungata di cinque anni, la mortalità infantile è calata del 30%, i delitti del 10 (gli omicidi del 50%), i suicidi e le morti per alcolismo sono notevolmente diminuiti.
3) Il Cremlino nega questa cifra. La spesa per le installazioni olimpiche a Sochi è stata di 6,3miliardi di dollari. Altri 45 miliardi sono stati spesi per costruite grandi infrastrutture che resteranno anche dopo le Olimpiadi, nell’intento di fare dell’area un moderno centro di vacanze, nella speranza di attrarre i ricchi e spendaccioni russi dalle vacanze all’estero (i russi danarosi vengono a sciare in Austria, Francia e Italia); ed anche, con il rilancio, di creare posti di lavoro in un’area tradizionalmente depressa, e che di infrastrutture era totalmente priva. Tra queste infrastrutture ci sono: una linea ferroviaria Adler-Sochi, un aeroporto ad Adler-Krasnaya Polyana, reti stradali, 50 ponti, un porto a Sochi, la centrale energetica per tutto questo, più shopping malls, abitazioni, alberghi, e un ospedale a Lazerevskiy.





L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità