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I bugiardi della Shoah
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Dopo diverse settimane di lavorazione, siamo lieti di poter finalmente presentare al pubblico l’ultimo sforzo editoriale che ci vede protagonisti, ovvero l’atteso I bugiardi della shoah (Menteurs et affabulateurs de la shoah) della scrittrice Anne Kling, che con questo primo libro lanciamo presso il pubblico italiano.

Qualche accenno biografico sull’autrice. La Kling è una brillantissima scrittrice francese, con tutto il fascino del caso, oltretutto di lontane origini italiane (scrive e parla abbastanza correttamente la nostra lingua). Negli ultimi quindici anni è stata al centro di numerose iniziative – sia politiche che culturali – anti-europeiste a difesa dell’identità nazionale fortemente compromessa dall’azione di lobbies che in Francia, come sappiamo, sono storicamente potentissime. Denunciata nel 2001 dalla LICRA (Lega Internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo…) per un libello dal titolo “Abbiamo diritto alla sicurezza” – dove sostenne la possibilità di un legame tra immigrazione e delinquenza giovanile in aumento come principio di destabilizzazione della Francia –, è stata trascinata davanti al Tribunale Penale di Strasburgo nel febbraio 2001, dal quale è stata prosciolta già nel marzo dello stesso anno, giusto una settimana dopo le elezioni municipali e cantonali di Strasburgo, dove, guarda caso, era candidata come seconda in una lista di adunata identitaria (per altre info biografiche rimandiamo alla scheda del libro).

Da allora – invece che fuggire impaurita davanti a queste ed altre intimidazioni – la battaglia culturale e politica della Kling contro l’azione della lobby antirazzista – ed in definitiva contro la virulenta propaganda sionista in Francia – è al contrario andata intensificandosi, tanto che il suo primo libro (datato 2007), dal titolo La France licratisée, è un’aperta denuncia sulle vere origini, finanziamenti occulti e scopi di questa lobby (la LICRA) che secondo la ricerca della Kling trae le sue origini a cavallo tra la confluenza del bolscevismo ed il secondo dopoguerra, quando la sua influenza nefasta si è andata sempre più rafforzando. Da allora, la Francia e soprattutto i suoi cittadini (cosa avvenuta in tutta Europa d’altronde, noi ne sappiamo qualcosa...) sono stati presi d’assalto attraverso una campagna mediatica a tappeto (tv, giornali, istruzione scolastica e tribunali nei casi più gravi) che, secondo la Kling, ha portato ad un “lavage de cerveau” totalizzante, in nome dei tanto sbandierati diritti umani — ovvero quella “tolleranza” e “rispetto dell’uomo” tutto laico che da oltre tre secoli ha rappresentato il cavallo di battaglia dell’azione massonica in Europa.

Dopo aver sferrato queste denunce, ovviamente censurate e silenziate dall’opinione pubblica dominante, e dopo aver pubblicato altri due libri (tra cui uno contro l’azione di un’altra influente lobby, il Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche in Francia, dal titolo: Le CRIF, un lobby au cœur de la République), la Kling, a metà del 2013, piazza il suo colpo da maestro pubblicando il presente Menteurs et affabulateurs de la shoah, che va diritto a colpire il cuore e la struttura portante di tutta l’impalcatura propagandistica sionista. Quella della Kling è pertanto una produzione letteraria dal crescendo impressionante. Una donna di grande coraggio.

Arriviamo alla presente edizione italiana: venuti a conoscenza della pubblicazione di un testo sui Menteurs olocaustici, lo abbiamo acquisito con l’intento di tradurlo e pubblicarlo in Italia. Oggi coroniamo questo desiderio dopo un intenso lavoro di localizzazione e lo presentiamo al nostro pubblico.

I protagonisti del libro sono i mitomani della shoah, i traghettatori dell’Olocausto, quelli che, con i loro drammatici scritti autobiografici (prontamente tradotti in numerosissime lingue), a partire soprattutto dagli anni ’60, hanno imposto al mondo un ricordo costante di orrori indicibili, instillando nella nostra testa un perenne senso di colpa per tutto quello che concerne le persecuzioni contro gli ebrei, oramai riunite sotto il magico termine di shoah, termine che – precisa la Kling – «solo di recente ha assunto questa accezione, e precisamente nel 1985, quando venne proposta con questo significato dal film di Claude Lanzmann intitolato, per l’appunto, Shoah. Il film, lungo 9h30!, fu qualificato come “progetto di interesse nazionale” da parte dello Stato di Israele che partecipò direttamente al suo finanziamento».

Il lavoro della Kling, senza porsi precisi intenti revisionistici, si attesta in maniera diretta e sagacissima nel novero dei libri di denuncia, passando in rassegna i casi più eclatanti di psico-mitologia olocaustica che negli ultimi 50-60 anni, via via sempre più ingigantendosi, hanno infestato le librerie di tutto il mondo, gli show televisivi, i film, gli esami universitari e migliaia di articoli giornalistici; in definitiva l’intera cultura occidentale con la sua vitalità, ormai evirata.

Il punto di forza dell’opera della Kling è di aver raccolto in un’unica, ed a tratti esilarante galleria, tutte quelle menzogne che in questi ultimi decenni sono state qui e là denunciate, qui e là scovate da voci che gridarono e tuttora gridano – è il caso della stessa Kling – nel deserto di un’opinione pubblica disattenta e lobotomizzata.

Qualche accenno storico dall’introduzione a firma dell’autrice:

«Nella scia di Norimberga, a titolo di parziale “risarcimento” per le persecuzioni subite, fu concesso ai superstiti ed ai sionisti della prima ora quello che quest’ultimi attendevano da molto tempo: la creazione dello Stato d’Israele. Un avvenimento di portata storica, che si realizzò nel 1948. Finalmente i campi profughi si svuotavano e la terra promessa si riempiva. Ma c’era ancora tanto da fare. Un grande lavoro attendeva difatti il giovane Stato nascente e per diversi anni, ovvero fino al 1960, non si sentì più granché parlare – né in Israele né nella diaspora – delle disgrazie patite dagli ebrei durante la guerra. Era un argomento tabù che metteva tutti a disagio».

Quando cominciò ad imporsi la battente propaganda che tutti conosciamo?

«La situazione inizia a cambiare nel 1960 con la cattura di Adolf Eichmann ed il successivo Processo a suo carico tenutosi a Gerusalemme nel 1961, ovviamente diffuso capillarmente tramite i mass media; un processo a cui seguì una prevedibile impiccagione nel 1962. I sopravvissuti dei campi sfilarono alla sbarra dell’imputato per esprimere finalmente tutto ciò che non avevano avuto l’opportunità di dire fino a quel momento; tutto quello che avevano represso per quindici lunghi anni; tutto quello che i loro correligionari non avevano voluto più sentir nominare, ma che in quel momento erano pronti ad ascoltare, perché i tempi erano finalmente “maturi”. Era giunta difatti l’ora di coalizzare lo Stato ebraico intorno ad un passato comune e di sfruttare il senso di colpa che gli Stati occidentali provavano al riguardo».

Storicamente, dunque, la macchina della propaganda olocaustica si accende a partire da questo evento all’epoca enormemente mediaticizzato, ovvero l’impiccagione del tenente-colonello delle SS Adolf Eichmann avvenuta a Gerusalemme (per questo processo fu prontamente rimessa in vigore la condanna a morte comminabile da un’autorità giudiziaria e che in Israele era stata abolita nel 1954). Non a caso, come la Kling racconterà nel corso del libro, anche i due sommi sacerdoti della shoah – Wiesel e Wiesenthal – videro le loro carriere prendere il volo proprio a partire dai primi anni ’60.

«Nessuno si azzardò a mettere in dubbio o verificare i ricordi, i traumi e le accuse di questi testimoni. Al contrario, la stampa mondiale – in modo compiacente – diede loro carta bianca per raccontare i dettagli più orribili di quelle passate esperienze. L’emotività prese il sopravvento sulla ricerca della verità. I superstiti stavano per passare dallo stato vagamente disonorevole di sopravvissuti a quello di eroi, utili al loro Paese».

La corsa alla balla più grossa (come al più grosso conto in banca) era pertanto cominciata. E da qui, ovvero dai primi anni ’60, parte anche la descrizione che l’autrice fa di questa furbesca pletora di personaggi – metà mitomani, metà pazzi – che perlopiù furono e sono autori di ciniche menzogne. Confrontando i loro scritti e le loro dichiarazioni rilasciate anno dopo anno, l’autrice enumera le approssimazioni, le inverosimiglianze geografiche o storiche e, soprattutto, le contraddizioni che minano i ricordi di questi monumenti alla “Memoria”. A mostri sacri della “Sacra Causa” del calibro di Anna Frank, Elie Wiesel ed il “cacciatore” Simon Wiesenthal, sono stati dedicati i tre capitoli finali (dal titolo perentorio “Tempi duri per i miti”). Il testo si chiuderà poi con un capitolo dedicato alle conclusioni dell’autrice, che termina ponendosi domande scomodissime.

Terminiamo questa piccola anteprima affidando il lavoro al giudizio dei nostri preparati lettori, nella speranza vogliate continuare a lottare con noi e supportarci attraverso l’acquisto dei nostri testi.

Con questa pubblicazione, speriamo di aver contribuito, una volta di più, ad alimentare un dibattito sano ed onesto su un tema tanto inavvicinabile ed in generale sulla ricerca storica che deve tornare ad essere libera. Perché, ricordiamocelo sempre, «Il dovere dello storico è di essere onesto. Talvolta la verità fa male, tanto peggio se non piace a tutti».

Lorenzo de Vita


I BUGIARDI DELLA SHOAH

Quando la Memoria fa cilecca...


 

(320 pagine con bandelle)
 






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