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Il potere occulto dell’alta finanza sul mondo moderno
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I Rothschild

Introduzione

Nell’iniziare una serie di articoli su questo tema occorre evitare i due errori opposti (per eccesso e per difetto); infatti, spesso, 1°) si tende, per difetto, a negare ogni influsso dell’alta finanza sulla storia moderna; mentre 2°) dall’altra parte, per eccesso, si cerca di vedere solo quest’influsso, trascurando ogni altro, ad esempio quello delle idee.

Ora la modernità certamente ha conosciuto un influsso sempre più forte della finanza sulla vita umana sia sociale, sia familiare, che individuale, si vedano ad esempio il liberismo e il socialismo. Tuttavia la filosofia, ossia le idee che stanno alla base di ogni movimento filosofico, ha fortemente determinato grandi cambiamenti nella storia. I gravi errori o le grandi conquiste in campo teologico, politico e morale sono sempre preceduti da errori o verità filosofiche, che la ragione umana ha sempre cercato di investigare e di mettere a fuoco.

Padre Gabriele Roschini scrive: «l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc… . Venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io ha poi culminato nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Dio è luce, amore, letizia, ha cantato il Poeta: “luce intellettual, piena d’amore; / amore di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore” (Paradiso, XXX, 40-42). Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Si è avuto, così, l’uomo finito, ossia un cadavere ambulante.

Certamente l’Umanesimo e il Rinascimento hanno influito sulla cultura filosofica, teologica, letteraria e artistica dell’Europa del XIV-XVI secolo, ma non si può dimenticare che senza l’oro dei Medici, Ficino e Pico non avrebbero potuto filosofeggiare così tranquillamente come fecero. Perciò è bene vedere le due facce della medaglia, quella culturale e quella finanziaria, che sino a qualche tempo fa andavano ancora a braccetto, mentre oggi sembrerebbe che l’oro abbia occupato quasi completamente il posto lasciato libero dallo spirito e dalle idee.

È innegabile che da una certa filosofia (ad esempio, il materialismo) ne segua immancabilmente una certa forma politica, sociale e teologica (il marxismo, il bolscevismo e l’ateismo di Stato). Tutte le eresie teologiche son precedute da sofismi filosofici e dopo di esse si arriva fatalmente alle rivoluzioni politiche più o meno cruente.

Sino ad ora ho affrontato soprattutto la questione delle idee che dirigono il mondo. Ora cerco di cimentarmi con l’altra parte della medaglia, quella più pratica e “vile” ma non meno forte, che si è sviluppata soprattutto a partire dagli ultimi tre secoli: l’influsso dell’alta finanza sulla storia umana.

Cercherò di evitare ogni semplificazione e generalizzazione, ma nello stesso tempo occorrerà non chiudere gli occhi davanti a una realtà (quella dell’alta finanza), la quale ha avuto anch’essa il suo ruolo nella nostra storia. Purtroppo con la fine del Novecento, è veramente morta (anche se non totalmente) la cultura (filosofica, teologica, artistica, musicale) soprattutto nella nostra cara Europa ed essa è stata rimpiazzata quasi completamente dallo sviluppo tecnologico, finanziario che, nella maggior parte dei casi, è diventato inversamente proporzionato a quello raziocinativo.

Notiamo, soprattutto oggi in occasione del covid/19, come la scuola, la politica, anche gli uomini di Chiesa siano quasi totalmente “vacanti”, assenti, eclissati e abbiano lasciato il campo alla farmacologia o meglio alla speculazione dell’industria farmaceutica su un virus, che sembra essere diventato la nuova “divinità” dell’umanità del 2020. Tuttavia sarebbe errato non vedere che all’origine e al fine di quest’affaristica farmaceutica vi è una concezione filosofica: il Trans-umanesimo, che è una forma di panteismo meccanicizzato, robotizzato e farmacologicamente ottenuto, tramite l’eugenetica delle nano/particelle. Quindi il ruolo, anche in questa tristissima era di profonda crisi logica e teologica, della finanza è senz’altro enorme, ma non va sottovalutato neppure quello se non filosofico/teologico, almeno ideologico. Inoltre anche gli affaristi hanno una loro filosofia più o meno materialistica, sia essa liberista e individualista o socialista e collettivista. Non dimentichiamo i vari Mattioli, Cuccia che hanno influito sull’economia dell’Italia, ma non meno sulla sua cultura, però… erano altri tempi… oggi ci troviamo difronte Soros (che tuttavia ha studiato con Popper), Bill Gates …

Comunque è innegabile che senza conoscere delle realtà come il Bilderberg, la Trilateral, il CFR o la Mont Pélerin Society è molto difficile poter appurare quello che succede nel mondo almeno a partire dagli anni Cinquanta.

Alta finanza e storia umana

Studiando i comuni libri di storia moderna raramente s’incontra il nome delle famiglie Rothschild[1], Warburg[2], Rockefeller[3], Elkann, Lazard[4]. Eppure, dalla fine del Settecento, esse hanno esercitato un’influenza enorme sulla storia umana, sia quanto al punto di vista finanziario che politico.

Queste dinastie di banchieri appartenenti all’alta finanza, soprattutto a partire dal XVIII secolo,  si sono quasi tutte imparentate tra di esse, quando i loro capifamiglia capirono l’importanza di non farsi la guerra o la concorrenza, ma di unire le loro forze per ottenere il dominio del mercato finanziario sul mondo intero e quindi, indirettamente, anche del potere politico e sociale.

Così facendo queste famiglie hanno saputo, con molta lungimiranza e furbizia, prestare soldi ai sovrani di quasi tutto il mondo per diventare poi, pian piano e sempre di più, i padroni monetari dei loro stessi sovrani politici, che si erano fatti loro creditori e potendo, quindi, tassare i popoli sui quali i sovrani sembravano governare, ma che in realtà erano diretti, da “dietro le quinte”, dai banchieri che avevano prestato loro il denaro indispensabile per mantenere il loro potere politico, il quale veniva così a dipendere sempre maggiormente da quello finanziario dei banchieri apolidi, che tramite i sovrani apparenti regnavano realmente, senza essere visti, sui popoli.

Col predominio della borghesia sull’aristocrazia (XVIII secolo) queste famiglie di banchieri divennero, man mano, il potere nascosto, profondo e più forte delle nazioni, che venivano ancora apparentemente dirette con le leggi e con la forza dai monarchi, ma che in realtà dipendevano dal denaro degli gnomi dell’alta finanza con i quali i prìncipi si erano indebitati.

Oramai i regni e i principati non erano più sostanzialmente territoriali, politici, giuridici e legislativi, ma iniziavano a essere soprattutto economico/finanziari; essi iniziarono a nascere in Europa per trasferirsi poi nel “Nuovo Mondo”. I finanzieri europei dopo aver conquistato economicamente le corti del “Vecchio Continente” si spostarono nelle Americhe (e soprattutto nel nord-America) non senza avere lasciato alcuni loro congiunti a continuare l’opera iniziata in Europa e avendo già un occhio puntato anche sul Medio, Vicino ed Estremo Oriente.

Non si riesce a capire pienamente ciò che sta sotto le vicende della storia umana, se non si studia anche (ma non esclusivamente) la storia delle famiglie di questi banchieri apolidi, che si spostano da una parte all’altra del mondo per dominarlo tutto intero finanziariamente. Costoro, infatti, avevano capito che questa è la conditio sine qua non per dirigerlo, senza dare nell’occhio, anche politicamente nascondendosi dietro le apparenze dei politici (siano re o presidenti repubblicani), essendo il denaro finalizzato per lo più al potere, come l’avarizia è dipendente dall’orgoglio e relativa ad esso.

I banchieri sono i veri i registi che dirigono gli attori (i governanti politici) e fanno fare loro quello che è più utile per le loro finanze e per la loro smisurata smania di potere. In breve sono i burattinai che dirigono i fili, che fanno muovere le comparse sul palcoscenico, che è molto simile alla scena di questo mondo in cui si gioca una commedia, un dramma o una tragedia, delle quali noi vediamo, studiamo - superficialmente - specialmente gli attori o le comparse, ma della quale - sostanzialmente - ci sfuggono in gran parte i registi, che nella maggior parte dei casi rimangono nell’ombra e non vengono citati neppure nei migliori libri di storia moderna e contemporanea se non en passant.

Certamente non si può ridurre tutta la storia solo allo studio di queste entità dell’alta finanza, ma neppure si possono ignorarle completamente come se non avessero diretto, tramite i politici, le sorti del mondo almeno a partire dalla metà del Settecento.

Gli esordi dei Rothschild

I Rothschild, come famiglia finanziariamente importante, derivano dall’incrocio della famiglia di rabbini askenaziti Hahn-Elkann (che già nel Cinquecento erano famosi e ricchi banchieri) con quella dei Worms.

Gli Elkann o Elchanan sono una famiglia molto più antica dei Rothschild; essi erano ricchi banchieri già nel secolo XVI e sono gli antenati di Mayer Amschel, il capostipite dei Rothschild banchieri, che è vissuto verso la fine del XVIII secolo. Anche gli Elkann, come i Rothschild, sono originari di Francoforte. Il loro capostipite, Hane Elkann zur roten Rose, morì nel 1550. Egli si era imparentato con i Worms (che erano originari dell’omonima città tedesca vicina a Francoforte), sposando Fogele Worms.

Gli Elkann sono oggi molto noti in Italia perché nel 1975 si sono imparentati con la famiglia Agnelli, quando Alain Elkann (1950), sposò Margherita Agnelli, la figlia di Giovanni e la madre di Lapo e John (1976), l’attuale presidente della FIAT. La parentela tra gli Agnelli e gli Elkann ha portato alla fusione tra la J. P. Elkann Banque, la J. P. Elkann Financière, la IFIL degli Elkann con il gruppo FIAT, EXOR e IFI degli Agnelli (cfr. P. Ratto, I Rothschild e gli Altri, Bologna, Arianna Editrice, 2015, pp. 84-87).

Il primo Rothschild ad assurgere a una certa importanza nel mondo della finanza fu, come abbiamo accennato, Mayer Amschel Rothschild, che nacque nel ghetto di Francoforte il 23 febbraio 1744. Egli proveniva da una famiglia di rabbini askenaziti di Worms. Mayer Amschel era un abile cambiavalute, molto esperto nella conoscenza delle monete antiche, che divenne consulente e fornitore di molti ricchi collezionisti. Inoltre era anche cassiere nella banca degli Oppenheimer

Il nome Rothschild viene dal tedesco Roth (rosso) e Schild (scudo), esso era stato desunto dall’insegna che si trovava sulla bottega dell’omonima famiglia.

A soli 25 anni, Mayer Amschel, ebbe come cliente il principe di Assia Guglielmo IX, il quale era abituato ad affittare i suoi migliori soldati ai sovrani stranieri, guadagnando molto da quest’attività. Egli affittò buoni soldati al re d’Inghilterra per combattere in America del nord contro il generale George Washington.

Mayer Amschel ebbe l’avvedutezza di amministrare, investire e accrescere le enormi ricchezze di Guglielmo IX, che lo ricambiò del favore dandogli il capitale per aprire una sua propria banca a Francoforte.

Mayer Amschel aveva dieci figli, di cui cinque femmine e cinque maschi. La sua sposa era una donna appartenente alla potente e ricca famiglia di banchieri Schnapper, i quali a loro volta erano imparentati con i Worms.

Amschel riuscì a investire e “amministrare” proficuamente anche i suoi dieci figli, tramite la tattica dei matrimoni incrociati con altre ricche famiglie di banchieri ebrei europei (cfr. P. Ratto, I Rothschild, cit., p. 9).

Una delle sue figlie sposò un discendente dei Montefiore di Londra emigrati poi a Livorno. Quest’unione “diede il via a un imponente sodalizio finanziario tra i Rothschild e i Montefiore, a cominciare dalla compagnia di assicurazione Alliance (l’attuale RSA – Royal & Sun Alliance, una delle più grandi multinazionali assicurative del mondo), che i due fondarono nel 1824” (P. Ratto, I Rothschild, cit., p. 10).

Mayer Amschel mandò poi i suoi cinque figli maschi ad aprire cinque filiali nelle maggiori nazioni dell’Europa d’allora. Uno rimase a Francoforte, un altro andò a Londra, un altro a Parigi, un altro ancora a Napoli e infine uno a Vienna. “Nel gennaio del 1880, grazie al rapporto privilegiato con il Casato di Assia, i nostri banchieri erano diventati agenti finanziari dell’imperatore d’Austria” (P. Ratto, ivi).

La loro ricchezza crebbe a dismisura specialmente per la loro abilità nel trasferire i fondi dei re da una nazione all’altra, anche in situazioni d’emergenza come ad esempio una guerra, che spesso vedeva schierate, l’une contro le altre, le nazioni nelle quali si trovavano le cinque filiali dei Rothschild, i quali potevano, così, fare affari con qualsiasi guerra; poiché il vincitore si sarebbe trovato in una delle cinque suddette nazioni e i prestiti fatti dai Rothschild ai re per far la guerra andavano sempre recuperati, in quanto la nazione sconfitta avrebbe dovuto rifondere (chiedendo prestiti alla filiale Rothschild sita nel suo territorio) la nazione vincente (in cui si trovava un’altra filiale dei Rothschild).

Waterloo

Gli affari economici dei cinque fratelli Rothschild cominciarono a diventare determinanti sulla scena politica europea quando, come spiega Jean Bouvier (I Rotschild, Roma, Newton Compton, 1983), la Francia di Napoleone I fu sconfitta dall’Inghilterra di Wellington sul campo finanziario (più che bellico) di Waterloo.

Infatti, furono i prestiti dei Rothschild inglesi a Wellington a determinare la sconfitta di Napoleone. La Francia dovette poi risarcire le spese belliche all’Inghilterra, chiedendo un grosso prestito ai Rothschild francesi. Dunque, dalla guerra franco/inglese riuscirono indebitate sia la vittoriosa Inghilterra e ancor più la sconfitta Francia, mentre, chi si arricchì veramente, furono i Rothschild.

Dopodiché, sempre i Rothschild francesi, prestarono i fondi per finanziare la salita al trono del re di Francia Luigi XVIII.

Inoltre i Rothschild tedeschi finanziarono il principe di Assia Guglielmo IX, che era stato sconfitto da Napoleone, chiedendo a Guglielmo che “venisse sancita la parità di diritti tra gli abitanti del ghetto e il resto della popolazione dell’Assia, e ciò in cambio di un versamento di una somma pari a venti anni d’imposte, nonostante l’imperatore fosse determinato ad arrestare in tutti i modi il processo di emancipazione degli ebrei innescato dalla Rivoluzione francese” (P. Ratto, cit., p. 11).

Il Banco San Giorgio di Genova

La fortuna dei Rothschild fece un enorme balzo in avanti quando Napoleone dette l’incarico ai Rothschild francesi di smerciare i lingotti d’oro, che la famiglia reale francese aveva depositato nel Banco di San Giorgio di Genova e dei quali la Repubblica francese voleva impadronirsi[5].

Quando Genova fu occupata dai soldati napoleonici venne messa fuori combattimento e soppressa  la principale concorrente finanziaria dei Rothschild, ossia il Banco di San Giorgio, che era la prima banca della storia europea, fondata nel XII secolo. In quell’occasione i Rothschild iniziarono a far circolare l’oro tra le varie nazioni europee (cfr. H. R. Lottman, I Rothschild, cit.).

“In pratica, i Rothschild stavano facendo affari con dominati e dominatori, sconfitti e vincitori; ma nessuno l’aveva ancora capito. Una prassi che, come vedremo, la famiglia saprà consolidare nel tempo” (P. Ratto, cit., p. 12).

Mayer Amschel Rothschild aveva insegnato ai suoi cinque figli a non limitarsi a prestare soldi solo ai semplici ricchi o anche ai soli nobili, ma a mirare più in alto e a “donare” anche ai re, che avevano continuo bisogno di denaro per le loro guerre. Inoltre aveva anche spiegato loro che per evitare il pericolo di non essere risarciti dai re, dovevano ottenere sùbito, in cambio del loro oro, la garanzia di poter gestire loro stessi le imposte fiscali sui sudditi dei re. “In pratica, il debito poteva passare dal sovrano al popolo, tartassato a dismisura senza nemmeno immaginare di essere debitore di un usuraio e non del proprio re” (P. Ratto, cit., p. 15).

Infine se si fosse riuscito a rendere il debitore incapace di saldare il suo debito, esso sarebbe stato infinito. Fu così che essi fecero in modo di mettere in circolazione una quantità d’oro talmente bassa da non permettere ai debitori di avere di che saldare il loro debito completamente. Ciò portava a una moltiplicazione del debito all’infinito di modo che i popoli d’Europa diventassero per sempre debitore delle banche e soprattutto dei Rothschild.

Inoltre papà Mayer Amschel aveva blindato proprio tutto pensando anche di porre la seguente clausola all’unione dei cinque fratelli Rothschild: nessuno sarebbe potuto uscire dalla società portando con sé la sua parte di capitale, poiché se avesse voluto uscire avrebbe dovuto lasciare tutto nelle casse comuni all’intera famiglia.

Il denaro, l’economia e l’affaristica bancaria

Economia significa “governo della famiglia o del focolare domestico” (dal greco “òikos, casa” e “némein, governare”). La famiglia - secondo Aristotele (Polit., A, 3, 1253b, 8-14) e San Tommaso (S. Th., II-II, q. 47, aa. 11-12; ivi, q. 50, aa. 1-3) - è la cellula che forma lo Stato, il quale è un insieme di più famiglie.

L’economia innanzitutto è la virtù del buon ordinamento familiare; quindi essa si occupa delle relazioni tra i membri di una famiglia o della convivenza nell’ambito del focolare domestico, cioè tra moglie e marito, genitori e figli, padroni e servitù (la pace e l’armonia interna alla famiglia).

In secondo luogo l’economia si occupa di tutto ciò che può essere posseduto e governato dalla famiglia, ossia delle relazioni, che derivano dalle condizioni di sussistenza della famiglia, cioè le relazioni tra le persone in ciò che concerne i loro bisogni di beni esterni o ricchezze reali (benessere comune temporale familiare).

La ricchezza o il benessere materiale ha rapporto con la prudenza economica non come fine ultimo, ma come causa strumentale, in ordine al raggiungimento del fine ultimo, ossia la ricchezza è un mezzo di cui la famiglia si serve per vivere virtuosamente e unirsi a Dio (S. Th., II-II, q. 50, a. 3, ad 1; ivi, q. 47, a. 12). Sempre per l’Angelico è del tutto lecito avere un’ordinata sollecitudine per procurare il necessario per sé e per la propria famiglia ed anche in previsione delle necessità future (S. Th., II-II, q. 55, a. 6, ad 2; ivi, a. 7). Solo la preoccupazione disordinata dei beni materiali è riprovevole poiché antepone i beni terreni a quelli ultraterreni.

L’economia classica studia prima la famiglia in sé considerata e poi il benessere comune materiale di essa (cfr. S. Th., II-II, q. 47, a. 11; ivi, q. 50, a. 3; Commento all’Etica di Aristotele, lez. 1). Il suo rovesciamento è l’affaristica moderna, che è l’arte di arricchirsi come fine ultimo dell’uomo e delle famiglie. Se alla sana economia familiare segue l’ordine sociale o la politica tradizionale, che si fonda sul diritto naturale, all’affaristica segue la plutocrazia, che è il governo della finanza bancaria su questo mondo in vista dei beni di questo mondo et non plus ultra.

Studiano l’esordio della storia della famiglia Rothschild si costata che con il predominio della borghesia super-capitalistica e soprattutto dell’alta finanza bancaria, il denaro divenne l’arma più potente per governare - da “dietro le quinte” - il mondo, tramite l’intermediario dei politici che apparivano sulla scena, ma che oramai dipendevano dagli ordini dei banchieri dei quali erano diventati debitori.

Secondo San Tommaso d’Aquino (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, capp. 5-6; S. Th., II-II, q. 47, a. 11; ivi; q. 50, a. 3) la moneta è una parte ausiliatrice dell’economia (prudenza familiare) e della politica (prudenza sociale); cioè essa fornisce all’economia (famiglia) e alla politica (Stato) lo strumento di cui esse hanno bisogno, poiché è finalizzata ad aiutare le famiglie per acquistare i beni materiali richiesti, mediante un semplice scambio monetario, e poter pensare meglio alla vita virtuosa. Insomma, la ricchezza è un mezzo subordinato al bene comune temporale politico (fine intermedio), che deve aiutare gli uomini a conseguire quello spirituale (fine ultimo).

Invece nella crematistica bancaria odierna (nata con il monopolio delle grandi banche ebraiche del XVIII secolo) l’uomo è subordinato alla produzione di beni reali e questi sono subordinati alla ricchezza “simbolica” o “rappresentata” dal denaro. Col dominio dell’altra finanza, il fine ultimo dell’uomo diviene, perciò, la ricchezza, che rimpiazza gli Stati i quali dovevano assicurare il benessere comune temporale ai cittadini, subordinatamente a quello spirituale.

Nel De regimine principum (lib. I, cap. 15) l’Angelico spiega ancor meglio che affinché l’uomo possa vivere virtuosamente son richieste due cose: “l’azione virtuosa in sé e una presenza sufficiente di beni materiali il cui uso è necessario per vivere bene”.  Inoltre insegna che “per ottenere la felicità imperfetta in questa vita sono necessari anche dei beni materiali, non come essenziali alla felicità, ma in quanto servono come strumenti per ottenere la felicità di una vita virtuosa; infatti in questa vita l’uomo che è composto di anima e corpo deve poter provvedere anche al mantenimento dei suoi bisogni materiali” (S. Th., I-II, q. 4, a. 7).

L’Angelico aveva già previsto il lato pericoloso del denaro scrivendo: “La moneta o ricchezza simbolica e non reale perde ogni valore e utilità per la soddisfazione dei bisogni umani, se cambia il concetto che l’uomo ha sulla misura di valore della moneta, ossia se coloro che la maneggiano cambiano il loro parere sulla di lei capacità di misurare il valore delle cose reali. Le monete divengono, allora, senza alcun valore per gli scambi della vita, se i dirigenti della Società decretano la loro svalutazione” (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7), negando il loro carattere di misura stabile del valore dei beni reali.

San Tommaso (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7) spiega che l’arte di coniar moneta aiuta come causa strumentale (come il pennello aiuta il pittore) l’economia dandole  gli arnesi o gli strumenti di cui ha bisogno e non la aiuta come causa materiale (come il marmo aiuta l’artista per fare una statua). La moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, perciò, è lo strumento e non la materia dell’economia.

La causa materiale dell’economia sono le relazioni mutue degli uomini riuniti in una famiglia, che usano i vari mezzi di ricchezza artificiale, di scambio, simbolica o monetaria per ottenere il benessere comune. Ora il possedere la ricchezza reale è connaturale all’uomo, poiché il nutrimento, il vestito, il terreno e l’abitazione sono cose necessarie alla vita umana; invece il possesso della moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, non proviene direttamente dalla natura dell’uomo, poiché la moneta è stata inventata dall’uomo per sovvenire alle necessità della vita.

In effetti, possedere la moneta somiglia ma non è identico al possedere una ricchezza reale poiché è grazie a questo mezzo che ci si può procurare facilmente ciò che è necessario alla vita umana individuale, familiare e sociale. Grazie alla moneta ci si può procurare i beni necessari alla vita più facilmente che con il baratto, inoltre la sufficienza di questi beni aiuta a condurre più facilmente una vita virtuosa.

Nel mondo moderno in cui lo scambio di beni reali avviene anche a grande distanza, la moneta come mezzo di scambio di beni tra due parti, è diventata indispensabile. All’inizio ci si è serviti di una determinata quantità di oro, argento o bronzo - utili dappertutto, non corruttibili e facilmente trasportabili - poi si è impresso un sigillo su di essi che indicasse il loro peso o quantità. Infine si è giunti all’arte di cambiare le valute di un Paese con la valuta di un altro Paese. Ora questa seconda maniera di cambiare la valuta con un’altra, che è sopraggiunta alla prima maniera di cambiare una valuta con un bene naturale e reale, può contenere l’insidia di essere praticata non per le necessità della vita, ma per il profitto (cfr. San Tommaso d’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7; S. Th., II-II, q. 77, a. 4), ma la cupidigia del profitto non conosce limite e tende a scambiare il mezzo con il fine e a fare della ricchezza lo scopo ultimo della vita umana. Quindi è necessario moderare l’uso del cambio delle monete in un commercio finalizzato al mantenimento onesto di sé, della propria famiglia, del bene comune della Società o del proprio Paese, senza fare del guadagno il fine del commercio, ma si deve concepirlo solamente come la legittima ricompensa o salario del proprio lavoro.

Infatti, senza il cambio delle valute, molti Stati non potrebbero soddisfare certe necessità di avere merci naturali mediante il mercanteggiamento. Quindi, l’arte del cambio delle valute deve essere autorizzato dallo Stato, non per il profitto personale come fine, ma solo nella misura in cui aiuta i bisogni reali dell’economia e della politica. I cambiavalute possono tirare un certo profitto dal loro sforzo lavorativo poiché esercitano un mestiere che è legale e utile all’uomo, alla famiglia e allo Stato (cfr. Tommaso de Vio, De cambiis, cap. 5). L’essenziale è che il commercio e il cambio delle valute siano ordinati al bene comune della famiglia (economia) e dello Stato (politica) e non esclusivamente all’arricchimento personale concepito come il fine ultimo dell’uomo (crematistica) e alla “creazione” di ricchezza apparente mediante l’emissione di carta moneta alla quale non corrisponde una ricchezza reale.

In breve per l’Angelico il commercio non è intrinsecamente vizioso poiché può essere indirizzato a un buon fine (bene comune della società); se invece è ordinato all’arricchimento in se stesso come fine, allora diventa un vizio che si chiama avarizia; mentre la ricchezza deve essere finalizzata a sovvenire alle necessità di questa vita (cfr. S. Th., II-II, q. 30, a. 4).

Per l’Aquinate (S. Th., I-II, q. 9, a. 1) siccome la moneta è stata inventata per facilitare gli scambi, servendo da misura per la compra-vendita (S. Th., I-II, q. 9, a. 1), per natura essa è uno strumento (e non un fine) ordinato ad aiutare l’uomo a procurarsi i beni sufficienti richiesti per sé e per la sua famiglia affinché possano vivere virtuosamente. Quindi, è contro la natura della moneta se la produzione e la distribuzione dei beni di natura dovessero conformarsi alle esigenze della produzione della moneta, mentre l’ordine naturale è tutto il contrario, ossia la moneta - come misura stabile del valore dei beni di natura - deve conformarsi a facilitare lo scambio dei beni prodotti. La moneta e la finanziaria sono serve o strumenti dell’economia. Invece oggi ne son diventate i padroni, mentre le famiglie (economia) e lo Stato (politica) son divenuti gli schiavi della crematistica o finanziaria.

Lo Stato deve vigilare affinché la finanziaria non si impadronisca del controllo del governo. Infatti, la moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, è uno strumento al servizio della famiglia e dalla polis e non è la padrona di esse. Se lo Stato non riesce a obbligare la finanziaria a praticare e osservare la giustizia sociale, che ha per oggetto il bene comune e non l’arricchimento del banchiere, la nazione ne soffrirà grandemente divenendo la schiava della finanziaria e non garantendo più il benessere comune sociale.

L’instabilità della moneta, la precarietà del lavoro, la disoccupazione costante, la svalutazione crescente sono le conseguenze ultime della crematistica bancaria, che ha sovvertito la sana economia. Da questo disordine finanziario alla Rivoluzione sociale il passo è breve.

Negli articoli che seguiranno - studiando la storia delle famiglie dei grandi banchieri - vedremo come la storia umana sarà sempre più dominata dall’affaristica o finanziaria, come il denaro sia diventato il fine ultimo dell’uomo e degli Stati, che sono scivolati sempre di più verso il caos e l’anarchia.

I veri registi della storia umana a partire della fine del XVIII secolo sono stati, perciò, proprio quelle famiglie di cui non si parla nei libri di storia, limitandosi a studiare le gesta degli attori mossi dai registi o dei “pupi” mossi dai “pupari”.

Conclusione

Come si vede esistono due concezioni diametralmente opposte dell’uomo, della famiglia e dello Stato.

Da una parte la plutocrazia o il regno di Mammona, che fa della ricchezza materiale il fine ultimo dell’uomo e sottomette sia l’individuo che lo Stato alla finanza. Il suo “dio” è l’oro. Essa è caratterizzata dal disordine delle passioni e specialmente all’avarizia, che assieme all’orgoglio e alla sensualità è una delle tre concupiscenze, triste retaggio del peccato originale e forza propulsiva del male e dell’errore. L’instabilità, la smania e la ricerca frenetica del benessere materiale contraddistinguono la plutocrazia.

Dall’altra parte vi è la vera e sana economia, la quale dirige con prudenza la famiglia o il focolare domestico al suo fine prossimo (ordine interno e benessere temporale) subordinatamente al fine ultimo (Dio conosciuto, amato e posseduto). La famiglia in se stessa trova il suo ordine interno e la sua stabilità se si fonda sul matrimonio, in vista della generazione e dell’educazione della prole, in collaborazione gerarchica tra figli, madre e padre. Inoltre la famiglia ha bisogno come ogni creatura di questo mondo di un certo benessere materiale, come mezzo, per vivere virtuosamente e cogliere il fine ultimo più facilmente. Di qui la necessità di scegliere i mezzi materiali o ricchezze reali e naturali che meglio si prestano a far cogliere alla famiglia il suo fine prossimo (benessere comune materiale/vita virtuosa) subordinato al fine ultimo (Dio).

La moneta viene intesa solo come mezzo e misura stabile di scambio dei beni naturali per aiutare le famiglie a procurarsi ciò di cui i loro membri hanno bisogno per vivere nel campo materiale sufficientemente bene e moralmente in maniera virtuosa onde cogliere la Beatitudine eterna. La ricchezza monetaria e naturale sono un aiuto alla sana costituzione e conduzione della famiglia e non il fine di essa. La sana economia al contrario della plutocrazia bancaria moderna si fonda sull’ordine delle virtù, sulla stabilità e il risparmio in vista della ricerca del vero e del bene che in sommo grado è Dio.

L’avarizia indica un attaccamento disordinato ai beni di questa terra, specialmente al denaro e alle diverse forme di ricchezza materiale[6]. Essa è connessa con l’avidità, la bramosia, la cupidigia e l’invidia del bene altrui[7]. L’elemento più importante quanto all’avarizia è l’atteggiamento deviato dell’uomo nei confronti dei beni materiali e del denaro, i quali non sono cattivi in sé, ma, se vi si è attaccati esageratamente, diventano viziosi a causa della nostra cattiva e disordinata volontà. Dunque, è l’atteggiamento, normale o esagerato, della volontà umana riguardo ai beni materiali che è buono o cattivo a seconda che si faccia di essi un mezzo (virtù, che ordina i mezzi al fine, le creature al Creatore) o un fine (vizio, che scambia il fine per i mezzi, il Creatore per le creature).

Ora il fine dei beni materiali e specialmente del denaro è quello di essere usati dall’uomo per poter sussistere almeno sufficientemente. Dobbiamo servirci delle ricchezze e non servirle, averle nelle mani e non nel cuore!

L’avarizia porta, dunque, ad adottare nei riguardi dei beni perituri un atteggiamento disordinato e quasi patologico, conferendo loro un valore assoluto o per se stessi e non relativo o in relazione al fine dell’uomo, godendo non del loro uso, ma del loro possesso, li si ha nel cuore e se ne diventa schiavi[8]. Invece la natura e la definizione dei mezzi è: “ea quae sunt ad finem (ciò che è ordinato al conseguimento del fine)”.

Dio e Mammona, economia e plutocrazia, sono due “amori” incompatibili e si escludono l’un l’altro. “Nessuno può servire due padroni contemporaneamente; poiché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure preferirà l’atro e disprezzerà il primo. Non potete servire Dio e Mammona” (Lc., XVI, 13). San Giovanni Crisostomo commenta: «L’uomo quanto più si attacca al denaro si allontana da Dio, quest’amore vizioso dei beni finiti scaccia dall’anima umana ogni altro amore»[9].

Nella Somma Teologica (I-II, q. 84, a. 1) San Tommaso scrive che «L’avarizia è “radice di ogni peccato (v. San Paolo, I Epistola a Tim., VI, 10)”» e spiega il perché: “l’amore smodato delle ricchezze aiuta a far crescere ogni altro cattivo desiderio [compreso l’orgoglio]” (S. Th., I-II, q. 84, a. 1). Mentre «l’orgoglio è “inizio o principio di ogni peccato, come dice l’Ecclesiastico, X, 45”» (a. 2), in quanto l’orgoglio è un amore disordinato della propria eccellenza, che si ottiene soprattutto cercando il maggiore acquisto delle ricchezze temporali e così viene a coincidere con l’avarizia, che è la radice di tutti i peccati. Come si vede avarizia e orgoglio, secondo S. Tommaso, “vengono a coincidere”. Perciò la plutocrazia contiene in sé un orgoglio radicalmente luciferino.

Tutto ciò ci fa capire anche perché il mondo sia sprofondato sempre più verso “il pozzo dell’abisso” (Apoc., IX, 1). Infatti esso a partire dal Settecento è stato dominato dal culto del denaro e del “vitello d’oro” (Ex., XXXII, 4). Studiando la storia delle famiglie dei banchieri che hanno nei Rothschild, Rockefeller, Worms, Warburg i principali rappresentanti vedremo come questo potere dell’alta finanza diverrà man mano sempre più forte sino a dirigere completamente le nazioni e i governi.

La dottrina sociale della Chiesa propone come rimedio possibile a tanto sfacelo (plutocrazia/collettivismo) l’unica via che si deve e si può percorrere: la frugalità contro il consumismo che spinge a spendere e spandere, indebitarsi e rovinarsi l’esistenza.

Il liberalismo nasce dall’illusione prometeica del “progresso e sviluppo all’infinito”. Pio IX nella sua Enciclica Quanta cura e nel Syllabus (entrambi dell’8 dicembre 1864) aveva condannato sia l’illusione social/comunista sia quella liberal/liberista, e particolarmente la loro conclusione del “progresso all’infinito” o del “sol dell’avvenire”.

Secondo il buon senso (economia come “virtù della prudenza applicata al focolare domestico”, Aristotele/S. Tommaso) per essere nell’abbondanza basta avere solo pochi, essenziali bisogni, che possono essere soddisfatti normalmente e da tutti. La vita dell’uomo (e di sua moglie) non può e non deve essere assorbita al 60% dal lavoro. Essi debbono essere presenti in se stessi, tra loro e con i figli nella famiglia, nella società civile e nella società religiosa, poiché l’uomo ha un’anima spirituale e deve nutrire pure e soprattutto anch’essa.

Il consumismo liberista vive e si regge sull’insoddisfazione dell’uomo borghese o “ricco”, proprio come il social/comunismo che si fondava sul proletario o povero. Senza povero, che odia il ricco, e senza borghese, che si sente insoddisfatto e cerca di ingozzarsi di beni consumistici del tutto superflui, scomparirebbero il social/comunismo, il liberal/liberismo e il potere della banca usuraia.

La “pubblicità” è un’arma di ossessione mentale che crea bisogni inesistenti nella mente del borghese, come la “propaganda” bolscevica creava l’odio di classe nella mente del povero. Sia il borghese liberale sia il proletario socialista si sentono scontenti di ciò che sono ed hanno e desiderano essere ciò che non sono e possedere ciò che non è necessario. Essi sono perennemente frustrati. In più, non avendo la Fede, poiché sia il liberalismo sia il socialismo sono materialisti ed atei o almeno agnostici, non hanno la speranza soprannaturale che li aiuterebbe ad affrontare serenamente le difficoltà intrinseche alla vita umana.

Bisogna, dunque, liberarsi della schiavitù della legge del “mercato” di destra (liberismo) e anche di sinistra (socialismo), per poter tornare ad essere veramente uomo, ossia “animale razionale” che conosce e ama, ed “animale sociale”, che dona, riceve e ricambia. Solo la monastica (la prudenza nel singolo individuo), l’economia (la prudenza nella famiglia) e la politica (la prudenza nello Stato) genuine potranno rimettere l’ordine nell’uomo, nella famiglia e nello Stato.

d. Curzio Nitoglia

Fine Della Prima Parte



[1] Cfr. J. Bouvier, I Rothschild, Roma, Editori Riuniti, Newton Compton, 1984; H. R. Lottman, I Rothschild, storia di una dinastia, Milano, Arnoldo Mondadori, 1994; P. Ratto, I Rothschild e gli Altri, Bologna, Arianna Editrice, 2015; Egone Conte Corti, La famiglia dei Rothschild, Milano, Arnoldo Mondadori, 1938.

[2] Cfr. R. Chernow, I Warburg, Milano, Rizzoli, 1993; P. Ratto, I grandi alleati dei Rothschild. Rockefeller e Warburg. Le famiglie più potenti della terra, Bologna, Arianna Editrice, 2019.

[3] D. Rockefeller, La mia vita, Milano, Arnoldo Mondadori, 2002; J. Abels, I Rockefeller, Milano, Dall’Oglio, 1968.

[4] Cfr. G. De Rougemont, Lazard Frères, banquiers des deux Mondes, Parigi, Fayard, 2010.

[5] Nei prossimi articoli cercheremo di vedere come la Chiesa abbia combattuto l’usura delle banche ebraiche con l’istituzione dei Monti di Pietà.

[6] S. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla Carità, III, 17-18.

[7] Ibidem, 18.

[8] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a San Matteo, LXXXIII, 2; BASILIO DA CESAREA, Omelie contro i ricchi, VII, 2.

[9] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Discorso: A colui che non nuoce a se stesso, in Opere complete, PG 47-64, 11 voll., Bar-le-Duc, 1863-1867.



 
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