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Padoan: «Ci siamo tutti sbagliati». No, tutti no.
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Grande il Ministro Pier Carlo Padoan: «Ci siamo tutti sbagliati. Intendo organizzazioni internazionali, Governi e via di seguito. Tutti prevedevamo una crescita maggiore per quest’anno nella zona euro e nessuno fino ad ora ci ha visto giusto».

È recidivo: il 12 febbraio scorso, quando era ancora l’economista-capo dell’OCSE (l’organizzazione dei Paesi più industrializzati, grande ente sovrannazionale di imposizione delle politiche economiche), ammise candidamente che l’OCSE – cioè lui – avevano sbagliato totalmente le proiezioni, e per conseguenza avevano imposta all’Europa in recessione una cura che aveva aggravato la malattia. E ciò dal 2008 ad oggi.

Questa cura era l’austerità, di cui Padoan («uomo di sinistra», dalemiano) è stato sostenitore dalla prima ora, non a caso proveniva dal Fondo Monetario. Ha fatto l’ammissione in un rapporto sulla crisi dell’eurozona definito «post mortem» (non manca di umorismo macabro): «Il ripetuto aggravarsi della crisi del debito sovrano dell’area euro ci ha preso di sorpresa, per via del contraccolpo più forte di quanto ci si aspettava tra la debolezza bancaria e sovrana», disse.

Traduciamo dalla neolingua: il Padoan, come tutti gli economisti internazionali impiegati negli enti sovrannazionali, adottò come vangelo il teorema Reinhart-Rogoff (due economisti di Harvard) secondo cui un debito superiore al 90% del Pil comprometterebbe irrimediabilmente il tasso di crescita di ogni economia; dunque austerità, rientrare dal debito, stringere la cinghia, svalutare i salari... peccato che un dottorando del Massachusetts, Thomas Herndon, abbia poi scoperto che i calcoli operati da Reinhart & Rogoff per dimostrare la loro teoria, erano inficiati da scelte metodologiche discutibili, e – inoltre – «da un banale errore sul foglio Excel».

Come adepto del dogma Reinhart-Rogoff, Padoan da capo-economista OCSE ne accettava un corollario fondamentale: si poteva tagliare la spesa pubblica senza paura di provocare depressione, perché un euro di taglio provocava «solo» un arretramento del Pil di 0,5 euro. Invece, come scoprì (anche lui con ritardo) nientemeno che il capo-economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, un euro di taglio della spesa provocava una perdita sul Pil non di 0,5 bensì di 1,5 euro: un effetto negativo tre volte superiore.

Blanchard pubblicò il suo studio nel 2013. Padoan non ne prese atto. Nell’aprile 2013, in una intervista al Wall Street Journal, dichiarava: «Il consolidamento fiscale sta producendo risultati, il dolore sta producendo risultati». È stato dunque per lui – capirai, era il capo-economista OCSE – che abbiamo applicato (dal 2008 ad oggi, per sei anni) le politiche rovinose, le quali hanno aggravato il male e ridotto alla rovina economica il paese; anzi i Paesi, visto che adesso persino la Germania è a crescita zero, tutta l’eurozona è -0,2, sottozero.

Non basta, Padoan allora confessò: ci ha indotto in errore, soprattutto, la «ripetuta assunzione che la crisi dell’euro si sarebbe dissolta col tempo»: insomma che la malattia si sarebbe curata da sé, senza far niente.

Sùbito dopo quest’ammissione, Padoan è stato messo a fare il nostro ministro dell’economia, dove ha continuato a ripetere lo stesso errore. E intanto è passato un altro anno, anzi più, da quando Blanchard aveva scritto che si trattava di uno sbaglio, e grave. Il bello di Padoan è che riconosce, ogni tanto, di aver sbagliato, di essere una schiappa in economia e di fare previsioni errate sulla nostra pelle collettiva. Il brutto è che dice: «Tutti abbiamo sbagliato».

Eh no. Altri non sbagliavano. Per dirne uno, l’economista Jacques Sapir ad esempio, già nell’ottobre 2012 spiegava che i metodi di calcolo neo-liberisti su cui basavano le ricette austeritarie, metodi in cui Padoan credeva, «non poggiano su nessuna base seria».

Già allora prevedeva che, obbedendo ai diktat degli economisti sovrannazionali, «la politica scelta dal Governo Hollande conduce il Paese ad una impasse e lo affonderà in una grave recessione, però senza raggiungere gli obbiettivi di deficit che s’era fissato», il leggendario 3% del Pil. Adesso, l’impasse prevista da Sapir si realizza, la Francia è a crescita zero (0), il suo deficit supera il 4% e dovrà chiedere per pietà a Berlino di chiudere un occhio... cosa che Berlino non concederà, perché se già non voleva pagare il vantaggio del «suo» euro quando ci guadagnava, sarà ancora meno disposto adesso che sta rallentando con le sue eccezionali esportazioni... La Germania perderà anche la terza guerra europea, e per lo stesso motivo: la tirchieria.

Che dico Sapir? Bastava leggere sul Telegraph il giornalista Ambrose Evans-Pritchard, che ha previsto benissimo tutto quel che è successo all’eurozona e sta succedendo. Quanto ai blogger senza titoli né cattedre accademiche né stipendio dell’OCSE, quelli che hanno previsto prima e meglio di Padoan sono legione: da Paolo Barnard agli amici di Scenari Economici, da Gustinicchi (uno del 5 Stelle) a ignoti che scrivono con pseudonimi pazzerelli (GPG Imperatrice Oscura, Joe Black, Minonea), tutti sapevano e prevedevano esattamente – per dire – che l’euro ci stava rovinando, de-industrializzando, facendo sì che la Germania rubasse quote di mercato all’industria italiana.

Se posso aggiungermi, modestamente, anch’io sono in grado di pronunciare la detestabile frase: «Ve l’avevo detto!». Giusto per elencare un po’ di titoli a caso da EFFEDIEFFE:

«Sull’euro, pensare l’impensabile – Conviene anche all’Italia cominciare a pensare a sé stessa, e a concepire l’impensabile: ossia a fare default sul suo debito, e simultaneamente ad uscire dall’euro»: data, 29 gennaio 2009. Capite? Cinque anni fa.

«Salvano l’euro distruggendo gli europei. E forse nemmeno l’euro», è del 12 gennaio 2011.

«Fuori Berlino dall’euro,e presto!», lo gridavo nel luglio 2011, quando la situazione italiana non era ancora del tutto compromessa.

«Ora il mal d’euro attacca la Francia» sono stato capace di prevederlo il 3 novembre 2012.

«L’UE, prigione dei popoli», datato 18 gennaio 2012. Non continuo perché non finirei più, i lettori lo sanno quanto li ho annoiati con le mie analisi economiche e le mie critiche all’eurocrazia.

Voglio dire: no ministro Padoan, non ci siamo sbagliati «tutti». Anzi persino il sottoscritto ha avuto più ragione di lei. S’è sbagliato lei.

Il motivo per cui al posto di Padoan non c’è, poniamo, un Sapir, né l’OCSE apre le sue porte a un Paolo Barnard (che sicuramente farebbe meglio), non è banale come sembra. Indica che quasi tutte le persone senza potere sono in grado, applicandosi, di scoprire la verità. Per questo non l’OCSE, il FMI, la UE non ne ha bisogno: appunto perché sono tante, e se gli occorre possono prenderne a mazzi con pochi soldi. La merce rara sul mercato, quella che veramente sono disposti a pagare bene al Fondo Monetario, alla BCE o a Bruxelles, sono quelli che non si permettono di avere idee. Il vantaggio competitivo di questi tipi umani alla Padoan, alla Draghi o alla Schioppa, consiste in un preciso abito mentale: di fronte a un’idea, non si domandano «sarà vera»? Sarà la soluzione? Quel che si domandano è, anzitutto, questo: è consona al potere? Qualunque potere, il Sistema, Berlino, Francoforte, la Loggia, chiamatelo come volete. E siccome sono bravissimi a valutare le verità che il Sistema non accetta, non si permettono di proporle anzitempo. Anzi: si vietano addirittura di pensarle, di albergarle nella mente.

Solo per questa loro abilità essi sono tanto pregiati, pagati e elevati essi stessi – cooptati – a posti di potere. È il potere che, in questa fase storica, esclude l’intelligenza. Il che comporta che le misure economiche necessarie ed urgenti arrivino sistematicamente in ritardo; e che questi ritardati (ritardatari) provochino errori tragici e comici, come quelli di Padoan all’OCSE; o come quelli di Claude Trichet che, capo della Banca Centrale Europea, aumentò i tassi proprio all’inizio della crisi recessiva, quando doveva abbassarli; o come Steinmeyer della Bundesbank, che continua ad ordinarci «austerità e compiti a casa». Ma al Sistema (Loggia, Berlino, chiamatelo come volete) importa poco, perché mica sono loro a soffrire dei loro errori: sono i popoli, le società, i sudditi.

Si potrebbe fare della filosofia su questa realtà, per cui il potere apprezza, promuove e valuta molto alti i cretini, almeno questo genere di cretini che volontariamente non arrivano mai troppo presto alla verità, perché nuoce alla carriera.

La vecchia propaganda a favore della democrazia diceva che l’elezione avrebbe garantito l’arrivo al potere dei migliori, invece di figli di re che potevano essere dei subnormali... Lo stesso si dice, o insinua, oggi che la democrazia non serve più al Sistema, della tecnocrazia: il potere dei competenti, economisti, banchieri, è preferibile a quello dei «rappresentanti del popolo» ignoranti e pressapochisti. Il risultato sono i Barroso, i Van Rompuy, i Trichet, i Padoan, i Monti e i Draghi.

Credete che Draghi sia intelligente? Ma sono mesi che il Telegraph (per dirne uno) segnala il rischio di deflazione, e lui dice che tutto è a posto. Anzi, persino il sottoscritto ha spiegato che Draghi dovrebbe essere tenuto, dagli statuti della BCE stessi, a fare inflazione (entro il 3%) aumentando la massa monetaria, mentre lui la tiene apposta – perché così vuole Berlino – in continua diminuzione, strangolando tutta l’economia dell’eurozona.

Ma Draghi lo fa apposta?, scrivevo il 29 febbraio 2012: «Perché Draghi – così generoso con le sue banche – insiste con una politica deflazionista, mentre siamo già in piena deflazione?». Il primo aprile di quest’anno, 2014, son tornato a scrivere: «Draghi obbedisca (agli statuti della BCE)», spiegando «L’Italia può ingiungere alla Banca Centrale Europea, a Draghi e al suo Comitato centrale, di stampare euro per portare l’inflazione al 2%. (...) Sono gli stessi statuti sacri ed inviolabili della BCE che le danno il compito di modulare la massa monetaria, in modo da tenere il tasso d’inflazione «attorno al 2%» (che può essere anche poco meno del 3). Ebbene, a febbraio l’inflazione nell’eurozona è stata dello 0,7. La stessa BCE prevede che non sarà, a fine anno, che dell’1,5%, ed è ottimista...».

Nulla, nessun effetto naturalmente. Finché, sei mesi dopo, il 17 agosto, parlando alla BBC, il ministro Padoan dice, con grande autorità: «Tutti gli attori in campo facciano la loro parte, anche la BCE; il che significaportare l'inflazione nuovamente vicina al 2%". E tutti i media ad applaudire: vedi, ecco che la canta chiara a Draghi, eco un decisionista, uno con le palle e le idee...

Vi aspettate che adesso mi metta a piagnucolare: «Ma l’avevo detto prima io...»? No, nient’affatto. Conosco i miei difetti, quelli che mi hanno impedito di far carriera: avere ragione in anticipo. Mai commettere questo errore, insegnatelo ai vostri figli. Quello, scoprire l’evidenza e vedere il problema e la soluzione, lo sanno fare quasi tutti, se si applicano. Ad essere raro e prezioso è la capacità di aver ragione con sei mesi di ritardo – ossia esattamente quando il potere ha deciso che sì, stavolta la BCE deve stampare un po’, riportare l’inflazione al 2%.

Né prima né dopo. È di cretini che si ha bisogno, nei piani alti del potere.





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