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Il caso Pinochet
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Prologo

L’11 settembre del 2017 è ricorso il 44° anniversario del golpe cileno capeggiato, nel 1973, dal generale Augusto Pinochet (25 novembre 1915 – 10 dicembre 2006). In quest’occasione mi sembra opportuno ristudiare quel che successe allora, le cause del golpe e ciò che ne scaturì.

Per far ciò mi servo, in questo breve articolo, del bel libro del caro amico, prematuramente scomparso, Mario Spataro, Pinochet. Le “scomode” verità, 2003.

L’egemonia gramsciana esercitata dalla intellighenzia marxista in Italia ci ha propinato il mito manicheo e bolscevico di un ottimo e senza macchia Salvator Allende sconfitto dal malvagio Augusto Pinochet, che sarebbe stato una sorta di incarnazione del “male assoluto”, secondo solo ad Hitler.

Purtroppo anche molti uomini di Chiesa cileni (tra cui spicca l’Arcivescovo di Santiago del Cile cardinal Raul Silva Henriquez) son caddero nella trappola della mano tesa ai cristiani ingenui dal neo-marxismo gramsciano o “comunismo dal volto umano” ed accettarono di camminare assieme ai progressisti e ai marxisti, schierandosi aprioristicamente contro Pinochet e facendo così il gioco del comunismo internazionale, che a quei tempi era ancora guidato da Mosca e che si ammantava della nuova dicitura di “Euro-comunismo”, escogitato da Enrico Berlinguer proprio in occasione del golpe cileno del 1973, rifacendosi alla dottrina gramsciana.

Il Gramscismo e il Cile di Allende

Il campo specifico di Gramsci è stato quello di studiare la tattica per conquistare i corpi intermedi della società civile (la magistratura, l’esercito, la scuola, la stampa, la radio), per poter conquistare il governo stabilmente e senza paura di reazioni alla spagnola come nel 1936 o alla cilena come nell’11 settembre del 1973.

Tutta la dottrina di Gramsci è diretta alla ricerca di una tattica idonea a garantire l’accettazione e poi il  successo del comunismo in Europa o nei Paesi larga maggioranza a cattolica, come il Cile.

Secondo la dottrina di Gramsci “il comunismo non deve cercare soltanto e anzitutto di impadronirsi dell’articolazione economico-politica (la struttura) della società, ma deve cercare... prima, di imporsi e di prevalere in tutte le sovrastrutture culturali, giuridiche, artistiche, religiose, ecc., che non sono completamente riconducibili all’economia”[1].

Gramsci distingue tra conquista dello Stato e conquista della società civile-culturale.

In Occidente (come in Cile nel 1973) il potere politico dello Stato è temperato dalla società civile, ossia da tutti i corpi intermedi che stanno tra l’individuo e lo Stato, cosicché conquistare lo Stato o il governo non significa ancora aver conquistato la società, il potere reale della Nazione. Anzi in Europa la società civile spesso è più forte dello Stato e perciò deve essere conquistata dal comunismo prima dello Stato.

Gramsci distingue direzione e dominio: a) dominio significa sottomettere e liquidare con la forza gli avversari; b) direzione significa condurre gli alleati e gli affini.

Prima di dominare, il comunismo europeo dovrà dirigere; solo quando ha conquistato il governo politico, diventa dominante, ma non deve assolutamente dimenticare di esser anche dirigente[2].  “Tuttavia lo Stato non può essere soltanto coercitivo, altrimenti dopo un periodo di tempo più o meno lungo finisce col crollare (cfr. URSS): mentre esercita la coercizione, cioè mentre è dominante, il gruppo che ha in mano lo Stato deve sforzarsi di essere assieme e contemporaneamente anche dirigente”[3].

La dittatura comunista, secondo Gramsci, in Europa (come il Cile ha poi confermato nel 1973) sarebbe solo dominio, senza direzione; la dittatura proletaria per mantenersi al potere dovrà ottenere dai cittadini non solo l’obbedienza esterna ma anche il consenso. L’eurocomunismo è dittatura più egemonia o consenso[4].  Occorre perciò impregnare la cultura del pensiero marxista, poiché mediante la cultura si organizza il consenso e l’egemonia, che nel caso del comunismo europeo deve essere soprattutto direzione culturale dei giornali, della radio, della TV, delle scuole e dell’università, della magistratura e dell’esercito; le idee comuniste devono diventare le idee dirigenti e della classe dirigente, questa è conditio sine qua non per conquistare il governo stabilmente e durevolmente, altrimenti accadrà come in Spagna nel 1936.

Dopo la sconfitta del comunismo in Cile nel 1974, Enrico Berlinguer s’interrogò sul perché del fallimento. E arrivò alla conclusione che in Cile si era creata una situazione anti-gramsciana, vale a dire da una parte il governo comunista, e dall’altra il ceto medio, una gran parte di operai e di contadini. Ecco la situazione che occorre evitare - scriveva Berlinguer - in Italia! “Ecco le ragioni per cui noi ci battiamo per un compromesso-storico[5]. Quindi occorre andare, pian piano, dal potere al governo e non frettolosamente dal governo al potere crollato, come in Cile.

Già Gramsci, nel 1919, aveva scritto: “I popolari [democristiani] rappresentano una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo... I popolari stanno ai socialisti, come Kerenskj a Lenin... Il cattolicesimo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida...[6].

La strategia comunista della “mano tesa” - con Gramsci, Togliatti e Berlinguer[7] - ha intrappolato i cristiani ingenui, che son stati il cavallo di Troia introdotto  nel santuario. I cristiani ingenui risposero, basandosi sulla falsa presunzione che ogni dottrina, anche se originariamente erronea, può evolvere verso il “bene”, non necessariamente verso il vero, che non ha più nessun interesse per i pragmatisti cristiani come per i marxisti.

San Tommaso invece insegna che “un piccolo errore iniziale diventa grande al termine”. Il realismo tomistico si scontra immancabilmente con l’utopismo liberal/modernista, che non tiene conto della ferita della natura umana dopo il peccato originale per cui l’uomo è più inclinato al male e all’errore che al bene e alla verità.

Purtroppo i più fragili, vulnerabili, esposti sono i cattolici fedeli poiché a differenza dei comunisti sono pieni di “buone intenzioni”, mentre il comunismo come il marxismo non si preoccupa del bene e del vero, della metafisica e della morale, ma solo del risultato pratico.

Nel lontano 1945 Palmiro Togliatti (Discorso al Comitato Centrale del PCI, 12 aprile[8]) rilanciò in grande stile l’idea leninista/gramsciana dell’incontro, nei Paesi a maggioranza cristiana, delle masse comuniste e cattoliche, al di sopra dei dissidi teoretici,  nelle azioni sindacali, sociali e pacifiste. Sapendo bene che il marxismo o la pura prassi non aveva nulla da perdervi, mentre il cristianesimo, in cui il primato spetta alla teoria, avrebbe perso il sale e sarebbe diventato insipido e “quando il sale diventa insipido è buono solo ad essere gettato a terra e calpestato” (Mt., V, 13).

Togliatti prospettava l’incontro tra comunisti e “cattolici” (modernisti/cattolici) unicamente sul piano dell’azione, senza nessun riferimento all’ideologia (teologia). Togliatti disse chiaramente: “se si apre un dibattito filosofico, io non ci voglio entrare”[9]. Togliatti non ha ceduto nulla della dottrina comunista. L’importante è agire inizialmente assieme per giungere finalmente alla leadership del movimento marxista su quello cristiano e del modernismo pratico sul cattolicesimo romano.

Cosa è successo? Ebbene l’imprudenza, la fiducia, l’ottimismo esagerato, la presunzione di sé, l’utopismo insano hanno portato i cristiani nelle fauci del marxismo.

Antonio Gramsci nel 1920 scriveva: “In Italia, a Roma, c’è il Vaticano, c’è il Papa; lo Stato liberale ha dovuto trovare un sistema di equilibrio con la Chiesa, così lo Stato operaio dovrà trovare anch’esso  un sistema di equilibrio”[10].

Ancora Togliatti nel discorso al Convegno di Bergamo (20 marzo 1963)  disse: “Oramai anche la Chiesa [dopo Giovanni XXIII e con Paolo VI, ndr] è d’accordo che è finita l’era costantiniana, degli anatemi, delle discriminazioni religiose”[11].

Nelle proposta comunista e modernista del “compromesso storico” si fanno pubbliche e concrete garanzie per l’esercizio della fede dei cattolici, ma non si pensa volutamente a una domanda che sorge spontanea: “e dopo?”. Si scorge, quindi, la disonestà della promessa marxista e l’ingenuità dell’accettazione cattolica.

In breve come nel 1963 si diceva che Cristo e Marx non possono andar d’accordo, ma i cristiani e i marxisti possono trovarsi insieme a collaborare nella conduzione della cosa pubblica; così nel 1973 si diceva che socialismo e cattolicesimo sono inconciliabili, però i cattolici e i socialisti potevano marciare assieme e collaborare nella conduzione della Chiesa, aiutandola a sormontare questo lungo periodo di crisi. L’importante è, come diceva Lenin, “non attaccare frontalmente il nemico, ma invischiarlo nei compromessi”[12].

Il clero progressista contro Pinochet

Alla fine del febbraio del 1987 in un edificio della periferia di Santiago si verificò un’esplosione. La polizia scoprì che in un appartamento del suddetto edificio vi era un arsenale di armi e risalì facilmente all’identità di coloro che vi erano vissuti. Una era la nipote del vescovo Carlos Camus Larenas, capofila dell’opposizione “cattolica” a Pinochet. Spataro commenta: “in certi ambienti progressisti dell’episcopato cileno molto vicini all’arcidiocesi di Santiago da tempo fornivano al terrorismo comunista e filo-cubano aiuti non solo umanitari (cibo e assistenza medica), ma anche consistenti in denaro liquido, salvacondotti e documenti per camuffamento. Fra i terroristi che avevano trovato rifugio presso l’arcidiocesi furono identificati persino quelli che avevano preso parte all’assassinio del generale Carlos Urzua. Già negli anni Sessanta (esattamente: a partire dall’ottobre 1962, conseguenza diretta del Concilio Vaticano II) si erano manifestati in Cile i primi segnali dell’abbandono della dottrina tradizionale da parte di un buon numero di religiosi. […]. Un consistente aiuto alla sinistra marxista venne dato da quella parte dell’episcopato cileno che era vicina alla teologia della liberazione” (cit., pp. 42-43).

Pinochet massone?

Allende era massone oltre che marxista, secondo il Corriere della Sera (18 ottobre 1998), p. 9) pure Pinochet lo sarebbe stato. Mario Spataro commenta: “cosa ben strana, questa, dati i sentimenti notoriamente cattolici di Pinochet che, assieme alla moglie, si recava quasi quotidianamente alla santa Messa” (cit., p. 52, nota 47). Inoltre lo definisce “cattolico strettamente tradizionalista e preconciliare” (cit., p. 168, nota 29).

Per quanto riguarda i rapporti che ebbe Pinochet con Milton Friedman della Scuola iper-liberista di Chicago essi furono puramente funzionali al ristabilimento del benessere economico cileno, che era stato rovinato, come vedremo in séguito, da tre anni di nazionalizzazioni ed espropri da parte di Allende e quindi occorreva liberalizzare, ma in maniera equilibrata, lasciando allo Stato il potere di intervenire in questioni economico/finanziarie, senza cadere nell’eccesso anarco/liberista dello “Stato minimo”.

Queste sono le due gravi accuse, che vengono mosse contro Pinochet (massonismo e liberismo selvaggio), ma che vengono sfatate dal libro di Mario Spataro.

Nella prossima puntata vedremo come uno dei nemici più acerrimi di Pinochet sia stato il card. Raul Silva Henriquez arcivescovo di Santiago apertamente schierato su posizioni comuniste e come Pinochet abbia dovuto difendersi non solo dai comunisti, ma anche dai catto/comunisti e dai prelati dell’episcopato progressista cileno che gli hanno mosso una guerra spietata sino al resto dei suoi giorni.

Il problema del golpe militare dell’11 settembre del 1973

Il Cile abitualmente è stato una democrazia

Spataro scrive: “Il Cile, a differenza di molti Paesi dell’America Latina, ha visto i militari al potere solo occasionalmente ed è stato infatti sempre retto da parlamentari democraticamente eletti. Proprio questa tradizione democratica spinse il Paese, dal 1970 al 1973, a tollerare pazientemente l’esistenza di un governo che gettava il Paese nella miseria e nel caos” (M. Spataro, Pinochet. Le “scomode” verità, Roma, Il Settimo Sigillo, 2003, p. 157).

Frei: “il golpe era necessario”

L’ex Presidente democristiano Eduardo Frei ha dichiarato: “Nel 1973 era necessario uscire dal caos, e pertanto bisognava augurarsi che la giunta militare riuscisse a portare a termine la propria missione [di estromettere Allende e governare stabilmente, ndr]” (El Mercurio, 3 ottobre 1988).

Il golpe fu accolto con sollievo dalla maggioranza della popolazione cilena, tranne qualche sparuto gruppo di sinistra radicale.

Mario Spataro commenta: “il golpe del settembre del 1973 può dunque essere considerato una sollevazione popolare che ebbe il consenso generale e la partecipazione di quasi tutti gli ufficiali e sottufficiali delle forze armate e l’aperto appoggio dei Partiti moderati, a cominciare dal forte Partito Nazionale, da gran parte della Democrazia Cristiana, dal Partito Radicale Democratico e dal Partito radicale. […]. Si erano resi conto, i cileni, che solo un transitorio periodo di dittatura militare avrebbe consentito al Paese, in attesa del ritorno alla democrazia, di uscire dalla disastrosa esperienza marxista. La democrazia era morta da tempo, uccisa da Allende e dalle bande paramilitari marxiste-leniniste che lo appoggiavano” (cit., p. 159).

Ancora Eduardo Frei rispose in un’intervista ad un quotidiano spagnolo: “I marxisti cileni disponevano di un armamento [fornito loro dall’Urss e da Cuba, ndr] superiore per quantità e per qualità a quello dell’esercito regolare; essi disponevano anche di un enorme numero di combattenti. La giunta militare con il suo intervento ha salvato il Cile e tutti noi. I militari avevano l’obbligo d’intervenire perché il potere legislativo e quello giudiziario avevano pubblicamente denunciato il fatto che il Presidente in carica e il suo regime avevano violato le norme costituzionali e le decisioni del Parlamento” (ABC, 11 ottobre 1973).

Tentativo di autogolpe da parte di Allende

Occorre sapere che Allende stava preparando, come scritto nel primo articolo, un auto-golpe, chiamando i militari ad entrare nel suo governo per poi imporre una dittatura comunista militare sullo stampo di quella castrista e sovietica. L’autogolpe di Allende era previsto per il 19 di settembre; quello capeggiato di Pinochet[13] (11 settembre) lo precedette di una sola settimana. Questo fatto è stato confermato da Patricio Aylwin, un parlamentare democristiano cileno, che nel 1990 salì alla Presidenza del Cile al posto del dimissionario Pinochet, sconfitto da lui al referendum elettorale.  In un’intervista rilasciata all’Agenzia stampa statunitense/germanica NC News Service (24 settembre 1973, Washington/Bonn) e ripresa dal quotidiano cileno La Prensa (19 ottobre 1973) egli dichiarò: “L’intervento delle forze armate precedette di poco un autogolpe di Stato”.

La magistratura e il Parlamento invocano i militari

Il potere giudiziario il 1° marzo e il 26 maggio del 1973, mediante un pronunciamento della Suprema Corte di Giustizia unitamente alla Controlaria General de la Republica, aveva contestato la legalità del comportamento praticamente tirannico di Allende e, quindi, della sua permanenza in carica (cfr. Verbali della Corte Suprema di Giustizia, Antecedentes Historico-Juridicos, Santiago, Editorial Juridica de Chile, 1974). L’Associazione dei Giuristi cileni sottoscrisse questa dichiarazione l’8 agosto del 1973 (cfr. El Mercurio, 5 novembre 1972, 21 e 23 agosto 1973).

Inoltre la giunta di Allende era stata sconfitta alle elezioni politiche del marzo del 1973, ma il Presidente rifiutava di prenderne atto e di dimettersi. Il Parlamento gli diventava sempre più ostile e lo invitò ad agosto e in settembre a dimettersi, ma invano.

Il potere politico, tramite pronunciamento della Camera dei Deputati, mise in minoranza Allende e invocò esplicitamente l’intervento dell’esercito con 81 voti favorevoli e 47 contrari (22 agosto 1973); il 23 agosto anche la maggioranza del Senato si allineò alla decisione della Camera dei Deputati (cfr. Verbali della Camera dei Deputati del Cile, anni 1972-1973, pp. 143-149, Santiago, Editorial Juridica de Chile, 1974).

Quindi le forze armate, chiamate in soccorso dal potere politico e giudiziario, non potevano esimersi dall’intervenire per costringere, con le buone o con le cattive, il tiranno a dimettersi o per deporlo[14].

Il primo dovere del governate è garantire un buon governo che assicuri il bene comune temporale della società civile e dei cittadini; il diritto principale dei cittadini è di avere un buon governo, che comandi per il bene comune e lo assicuri stabilmente. Se i governanti non compiono il proprio dovere, i cittadini hanno il diritto di ribellarsi, sino ad arrivare alla rivolta armata e al tirannicidio[15].

Per la descrizione del golpe si può leggere, anche se di parte, Patricia Verdugo, tr. it., Golpe in diretta, Milano, Unicopli, 1999.

Pinochet al potere

Dopo l’11 settembre del 1973 “tutto il Cile cambiò radicalmente. […]. L’offensiva terroristica fu poderosa, e ciò giustifica le energiche misure adottate dalle forze armate per affrontare quell’emergenza” (cit., p. 193).

Secondo i dati più attendibili nel periodo che va dal golpe (11 settembre 1973) al 1976 le vittime furono 333 tra i militari golpisti e 1. 591 tra i guerriglieri comunisti; nel periodo che va dal 1976 al 1990 (quando Pinochet lasciò il potere) le vittime furono 316 tra i militari (i guerriglieri cileni, castristi e sovietici non mollarono la presa e continuarono la guerriglia) e 466 tra i terroristi e guerriglieri filocomunisti. (cit., p. 194).

Nel 1977 e poi nel 1983 Pinochet dette maggiori libertà, ma la sinistra rivoluzionaria ne approfittò per intensificare la guerriglia. Quindi la giunta militare dovette inasprire la reazione. Vi furono degli eccessi da ambo le parti[16], ma quelli commessi dalla ultrasinistra furono di gran lunga superiori. Il 7 settembre 1986 Pinochet con la sua scorta subì un attentato in grande stile, operato da 70 terroristi, che uccisero 5 uomini della scorta presidenziale e ne ferirono gravemente 11. Pinochet ne uscì miracolosamente incolume.

d. Curzio Nitoglia



[1] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, 4° vol., Einaudi, Torino, 1975, p. 9.

[2] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, 4° vol., Einaudi, Torino, 1975, pp. 2010-2011.

[3] AA. Vv., Eurocomunismo, Quaderni di “Alleanza Cattolica”, Piacenza, s.d., p. 10.

[4] Cfr. A. Gramsci, op.cit., p. 811.

[5] E. Berlinguer, La questione comunista, Roma, ed. Riuniti, 1975, vol. 2°, p. 655.

[6] A. Gramsci, Scritti politici, Roma, ed. Riuniti, 1973, vol. 2°, pp. 42-46.

[7] Cfr. A. Del Noce, L’eurocomunismo e l’Italia, Roma, Europa Informazioni, 1976; C. Fabro, La trappola del compromesso storico, Roma, Logos, 1979; Gf. Morra, Marxismo e religione, Milano, Rusconi, 1976, G. Napolitano, Intervista sul PCI, Bari, Laterza, 1976; E. Berlinguer, La questione comunista, Roma, Editori Riuniti, 1975, F. Rodano, La politica dei comunisti, Torino, Boringhieri, 1975; Id., Questione democristiana e compromesso storico, Roma, Editori Riuniti, 1977.

[8] P. Togliatti, Comunisti e cattolici, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 50.

[9] Ibidem, p. 72.

[10] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Roma, Editori Riuniti, 1975, p. 20.

[11] P. Togliatti, op. cit., p. 96.

[12] V. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, in Opere scelte, Mosca, 1948, tomo I, p. 584.

[13] Innanzitutto per quanto riguarda la non appartenenza di Pinochet alla massoneria si sappia che “quando aveva 25 anni lo zio lo presentò alla loggia massonica Victoria 15, ma egli non andò mai oltre il grado più basso di ‘compagno’ perché non si presentava alle riunioni e, quindi, ne fu espulso” (http://357.hautetfort.com/archive/2016/12/28/alberto-bachelet-martinez-ou-le-desir-de-liberte-et-de-justice.html). Poi Pinochet sciolse la massoneria non appena prese il potere e nel suo epistolario con Giorgio Almirante Pinochet definì Franco e Salazar (fortemente avversi alla massoneria) “i miei maestri”.

Inoltre per quanto riguarda la politica economica affidata da Pinochet alla supervisione di Milton Friedman si deve sapere che la giunta militare cilena la attuò, ma temperando il liberismo della Scuola di Chicago in un quadro protezionistico, mediante l’intervento - non asfissiante - dello Stato in materia economico/finanziaria, per il bene comune temporale del Cile. Inoltre tra i consiglieri economici di Pinochet figuravano anche i “gremiliasti”, di formazione cattolico/sociale corporativista ed antiliberista. Il Gremialismo è un movimento politico/sociale sorto in Argentina negli anni Quaranta; esso rivendicava il ruolo dei corpi intermedi tra l’individuo e lo Stato, conciliando così, le antiche corporazioni con le moderne strutture capitalistiche.  Il Gremialismo era ampiamente diffuso in tutte le classi della società civile per cui vi fu un Gremialismo obrero, patronal e intellectual. In Cile fu fondato nel 1967 da Jaime Guzmàn ed aveva le caratteristiche di un movimento marcatamente cattolico, nazional/sociale e corporativista. Fu molto diffuso nelle Università cilene tra gli studenti e i docenti, che divennero la classe dirigente del movimento. Anche i minatori, i trasportatori e la classe media si avvicinarono al Gremialismo per protestare contro le nazionalizzazioni collettivistiche di Allende. In Cile negli anni Settanta divenne un forte movimento di massa, guidato da una élite di universitari, che dette la spallata definitiva, con una serie di scioperi e manifestazioni, al governo socialista, fornendo così un forte consenso di massa alla giunta militare, guidata da Pinochet, che defenestrò Allende. Per cui la riforma economica non fu ispirata al liberismo radicale dei Chicago Boys, anche se Milton Friedman se ne occupò da esperto monetarista per liberalizzare. Infatti “era necessario liberalizzare l’economia, anche se bisognava decidere quali attività dovessero restare nazionalizzate. Con cautela, il Presidente ascoltò il parere di alcuni esperti di Chicago e dette vita ad una politica economica libera da paralizzanti controlli burocratici” (M. Spataro, cit., p. 208).

Infine il cattolicesimo di Pinochet era di stampo tradizionalista e preconciliare. Infatti egli favorì molto l’installazione della Fraternità San Pio X di mons. Marcel Lefebvre in Cile (https://www.youtube.com/watch?v=CdA8Ys6Fhx8 ).

[14] Il tiranno non è un legittimo governante, ma un usurpatore di potere, che non governa per il bene comune della società e che può essere avversato anche con la forza dai cittadini, i quali possono, come extrema ratio, giungere sino al tirannicidio per liberarsene.

Il dittatore è un legittimo governante, che durante un tempo di crisi economico/sociale guida il Paese manu militari con somma autorità, senza essere totalitario, per farlo uscire dall’impasse e dal caos anarchico in cui si trova. Una volta risolto il problema e ritrovata la pace interna della Patria, il dittatore si fa da parte e cede il posto ad altri governanti.

[15] Il tirannicidio è ammesso dalla dottrina cattolica ma solo a certe determinate condizioni e come extrema ratio.

[16] È tristemente famosa la “carovana della morte”, che sotto il comando del gen. Sergio Arellano Stark, nell’ottobre del 1973, si presentò in alcuni carceri cileni, fucilò 57 prigionieri marxisti e ne fece scomparire nel nulla altri 18. Pinochet non era al corrente della vicenda e ne fu informato solo molto dopo. Dal canto loro i guerriglieri si servivano di un potente esercito irregolare finanziato e addestrato dall’Urss e da Cuba che volevano distruggere l’esercito regolare, il quale per legittima difesa dovette ricorrere alle maniere forti, che in alcuni casi furono eccessive e illecite.


 
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