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Guerra preventiva a Tremonti
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Tremonti non è ancora ministro, e già il Corriere attacca la sua politica.
Lo fa attraverso il suo economista-maggiordomo preferito, Francesco Giavazzi.
Un tipo di inquietante avvenenza, che sorride fisso mentre auspica catastrofi sociali, uno che ha cercato di convincere la sinistra che il liberismo è di sinistra.

Giavazzi se la prende con Tremonti «tentato dal protezionismo»: nel collasso del capitalismo terminale, mentre anche in USA Alan Greenspan raccomanda interventi pubblici per i poveracci che non riescono a pagare il mutuo variabile (mutui a tasso fisso e basso, di Stato), Giavazzi difende il mostro che ci sta ingoiando.
E’ per questo che prende lo stipendio: è il Magdi Allam del liberismo sfrenato.
Il personaggio deride Tremonti che ha parlato di «dazi e quote per difendere le nostre produzioni dalla concorrenza asiatica».

Ma va là, sprezza il Giavazzi ridens: le nostre aziende non hanno bisogno di protezione.
E cita una certa Eurotech, aziendina di Udine che «ha conquistato una nicchia mondiale nei nanocomputer», tanto da aver acquistato un’azienda cinese.
«Un acquisto che Pechino probabilmente non avrebbe gradito se l’Italia avesse imposto dazi sulle sue esportazioni».
Cita solo la Eurotech, Giavazzi.
Anche se assicura che l’ha pescata da «un campione di 4.200 piccole e medie imprese» studiato da Bankitalia, che sono «piene di vita».

Per lui, vale la pena di aver perso centinaia di migliaia di posti di lavoro nel tessile, nel calzaturiero, nell’alimentare, in tutti quanti i settori, perché la Eurotech di Udine viva.
Giavazzi è così, promuove la distruzione creativa.
Miriadi di aziende italiane, sotto la concorrenza cinese, hanno chiuso: ma erano «marginali», non meritano lacrime.
E’ questo il metodo-Giavazzi: il darwinismo portato in economia.

Non si tratta infatti di un economista, ma di un ideologo.
Tutto ciò che dice non ha nulla a che vedere coi bisogni umani, che l’economia dovrebbe soddisfare; è la difesa del dogma.
Il dogma deve restare vigente, a prezzo di vite umane.
Tremonti ha chiesto una «riduzione delle regolamentazioni comunitarie», che impongono costi sconosciuti ai produttori cinesi?
Giavazzi s’indigna: «Quel poco di concorrenza che c’è in Europa lo dobbiamo tutto a Bruxelles!».
E dà due esempi.

Primo: «Chi ha eliminato la tassa di roaming sulle telefonate cellulari internazionali?».
Secondo: «Chi ha obbligato Microsoft a sbloccare i suoi codici consentendoci di ascoltare musica con programmi diversi da Windows Media Player?».
A parte che questi due esempi non riguardano le «regolamentazioni» che ha in mente Tremonti
(un esempio: l’obbligo di una impresa con tre operai fra cui una donna di avere una toilette per signore, e una per invalidi), anzi sono «de-regolamentazioni»; vi siete accorti, voi consumatori, di una riduzione dei costi cellulari dopo l’eliminazione della «tassa di roaming»?
Al contrario: tutto aumenta, rincara il costo della vita, la Telecom ci deruba più di prima.

Magari qualcuno ha effettivamente notato un vantaggio: qualcuno che telefona spesso all’estero col cellulare per grossi affari (le imprese risparmiose usano Skype, quasi gratis).
Diciamo qualcuno con un reddito superiore ai 300 mila euro l’anno, gente dello spettacolo, superbanchieri, che ne so.
E’ la dottrina Bush: benefici solo ai ricchi.
E ai pochi.
A spese dei molti, di tutti gli altri.
A questo serve il liberismo globale.

Impagabile l’altro esempio giavazzano: grazie a Bruxelles, possiamo «ascoltare musica con programmi diversi da Media Player».
Ma scusate, non ci avevate promesso che a forza di concorrenza globale, i consumatori avrebbero goduto di prodotti abbondanti e a prezzi bassi?
Ora che rincarano benzina e gasolio, il pane e la carne; ora che rincarano persino le carabattole cinesi (così Pechino esporta la sua inflazione), Giavazzi non trova altro esempio per raccomandarci il liberismo globale che la possibilità di ascoltare musica «con un programma diverso da Media Player».
Ne valeva la pena?

Ai pensionati a 500 euro mensili cui rincara il latte e la pasta, ai giovani precari, agli operai che hanno visto il loro lavoro emigrare in Cina, agli imprenditori truffati dalle banche che hanno rifilato loro derivati, a coloro che hanno preso il mutuo a tasso variabile ed ora rischiano di perdere la casa, Giavazzi replica: ne valeva la pena.
Voi precari e pensionati, voi disoccupati e pignorati, potere ascoltare musica con un programma diverso da Media Player.
Scegliete il software che volete: è la pacchia che vi regala la competizione globale.
La grande abbondanza del mercato-mondo.
Non hanno pane?
Mangino l’Ipod.
Uno potrebbe pensare che Giavazzi sia un immenso idiota.

Di più: che il Corriere abbia fatto una scelta decisiva per propagare l’idiozia attraverso le sue «Grandi Firme», visto che dà la prima pagina a personaggi vuoti anche se altezzosamente dottrinari come Sartori, o a propagandisti del Mossad come Magdi Allam.
Ma sarebbe una spiegazione semplicista.
Quello che Giavazzi, Magdi Allam e Sartori hanno in comune non è tanto la stupidità (che c’è) quanto la crudeltà.
La crudeltà dei dottrinari che impartiscono lezioni distruttive a cuor leggero, sapendo che loro saranno riparati dalle conseguenze.

Per Giavazzi è un vero godimento sadico consigliare ai pensionati minimi di usare «un programma diverso da Media Player», esattamente come per Allam è un piacere insegnarci che Israele (con 500 bombe atomiche) è minacciata dai reclusi di Gaza «nella sua stessa esistenza».
E’ il sadismo, il gusto di deridere chi sta male, cui conduce l’abitudine all’impunità.
Non c’è nessuna concorrenza cinese che metta in pericolo le numerose poltrone di Giavazzi nei consigli d’amministrazione, nessun giornalista più bravo sarà chiamato a sostituire Magdi Allam onde privarlo della paga da 40 mila euro mensili.

Non occupano i loro posti lucrosissimi e inamovibili perché hanno vinto una competizione sul «mercato»; sono lì perché hanno giurato fedeltà alla religione vigente, ai suoi dogmi e ai suoi luoghi comuni, al «politicamente corretto» del momento.
Non hanno bisogno di pensare: ricevono i pensieri dall’estero e dall’alto.
Godono dei privilegi delle classi dirigenti terminali: l’assoluta irresponsabilità.
La crudeltà ne è la conseguenza, l’indifferenza alle sofferenze del proprio popolo.
Sono così tutti quelli che in Italia vengono intervistati in ginocchio in qualità di «economisti»,
in quanto hanno ricevuto una cattedra universitaria grazie alla loro natura di pappagalli del dogma.
E questi, mentre i dogma collassa nella rovina planetaria, ancora ripetono le formulette apprese.
Prendiamo Giacomo Vaciago, «economista».

Al giornalista che gli domanda come mai la Banca Centrale europea non abbassi i tassi, provocando l’enorme rialzo dell’euro sul dollaro che strangola le nostre esportazioni e ci affonda nella recessione-depressione, Vaciago dice la vera ragione di questo mistero: «Bisogna dare una mano agli Stati Uniti».
Per questo non deprezziamo l’euro per riavvicinarlo al dollaro, per aiutare l’America.
Traduciamo: l’economista Vaciago accetta lietamente che l’Europa produca milioni di nuovi disoccupati, che blocchi la sua economia nel gelo recessivo, che sparga miseria suoi popoli europei, accentuando la miseria dei poveri, per aiutare il governo e le banche USA a ripudiare, pagandoli con dollari svalutati, i debiti enormi che hanno contratto facendo guerre dementi, togliendo le tasse ai ricchi, ed esponendosi in speculazioni folli e sterili, per giunta andate a male.
E come lo dice, Vaciago l’economista!
Lo dice come naturale che la Banca Centrale Europea pensi agli americani anziché agli europei.
Lo dice come se ci fosse un trattato, firmato e sottoscritto, che ci obbliga a non fare concorrenza agli Stati Uniti mentre ci sottraggono quote di mercato svalutando il dollaro.

Nemmeno una scintilla di pensiero fa rilucere nel cranio di Vaciago e di Giavazzi l’idea che questo non è «liberismo», non è «competizione», non è «mercato»; che questo è dirigismo molto più di quello minacciato da Tremonti, ma dirigismo a vantaggio della speculazione, anziché dei posti di lavoro e della società.
Macchè.
Ci dev’essere un trattato, come quello di Maastricht.
Noi non l’abbiamo mai visto, nessuno ce ne ha mai parlato.
Ma qualcuno deve averlo firmato per noi.
E a nostre spese.

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